Una donna in primo piano durante alcune proteste in Turchia contro l'aggressione della Russia all'Ucraina - © tolga ildun/Shutterstock

Proteste in Turchia contro l'aggressione della Russia all'Ucraina - © tolga ildun/Shutterstock

Ci sarà un dopo anche in questo drammatico conflitto causato dell'aggressione della Russia all'Ucraina. E, per Paolo Bergamaschi, ex funzionario del Parlamento europeo, sarà caratterizzato da una nuova e duratura divisione in Europa

16/03/2022 -  Paolo Bergamaschi

(Pubblicato riginariamente dalla Gazzetta di Mantova il 15 marzo 2022)

Ci siamo cullati per anni nell'idea che l'interdipendenza economica prevenisse i conflitti, che intensificare gli scambi commerciali avrebbe portato ad aperture anche politiche. Più le economie di Ue e Russia si intrecciano, si pensava, più si consolidano le basi per una pace duratura in Europa. Più cresce l'interscambio di merci fra le parti, si riteneva, più si approfondisce il dialogo anche culturale, con interscambio di idee e comprensione reciproca.

Tutto è stato smentito dai fatti il 24 febbraio, quando le truppe di Mosca hanno iniziato l'invasione dell'Ucraina. Era solo un castello di illusioni, rovinosamente crollato.

La posta in gioco per il Cremlino va oltre le questioni economiche e quello della sicurezza ai confini era solo uno specchio per le allodole di casa e non solo. Non importa se a pagarne le conseguenze sarà lo stesso popolo russo, travolto da una tempesta finanziaria che si comincia a intravedere.

La mitologia nazionalista non ammette deroghe, concessioni, cedimenti. L'Ucraina per Putin è terra sacra che va ricongiunta alla madre patria, con o senza chi ci vive.

Erano anni che non perdeva occasione per ripeterlo, solo ora qualcuno ha capito che faceva sul serio. Troppo facile per chi predica l'equidistanza guardare il mondo dal nostro buen retiro italiano a 3000 chilometri da Mosca impartendo lezioni urbi et orbi su come ci si deve comportare con la Russia. Bisogna sforzarsi di vedere le cose anche dal lato dei cittadini delle repubbliche baltiche coi 50 anni di dura occupazione sovietica o da quello di polacchi, ungheresi e cechi con le loro rivolte stritolate dai carri armati dell'armata rossa. Per non parlare dei georgiani a cui Mosca ha già sottratto Abkhazia e Ossezia meridionale, dei moldavi coi soldati russi che presidiano la Transnistria o del “contingente di pace” russo che controlla il Nagorno Karabakh addomesticando in un solo colpo Armenia e Azerbaijan.

Solo così saremo in grado di costruire una politica estera veramente comune e di respiro europeo. Tutti speriamo e scendiamo in piazza per la pace, imploriamo che si metta fine all’assurdo macello che riporta le lancette della storia europea alla prima metà del secolo scorso.

Tutti, però, dobbiamo capire che c'è una nuova guerra fredda alle porte quando cesserà quella sul campo. La preannunciata uscita della Federazione Russa dal Consiglio d'Europa, che anticipa la possibile espulsione, conferma le previsioni più nere e toglie un punto di riferimento alla società civile russa che guardava alla Corte Europea per i Diritti Umani di Strasburgo come ultima istanza a cui rivolgersi per frenare le violazioni in patria.

Si riparte da capo, come se nel 1989 a Berlino il muro non fosse crollato. Intanto l'Ue deve far fronte a una catastrofe umanitaria immane, una crisi energetica a cui siamo impreparati e una prossima crisi alimentare destinata a sconvolgere i paesi più deboli mentre infuria la guerra.

Una delle immagini più nitide che ricordo dell'Ucraina è il mio primo viaggio verso il Donbass da Kharkiv, anni fa in giugno: la strada tagliava per centinaia di chilometri campi sterminati di frumento e girasole, con un cielo luminoso. Due lunghe strisce sovrapposte di blu e giallo, i colori della bandiera ucraina, facevano notare gli amici che mi accompagnavano. Quei raccolti quest'anno non ci saranno, schiacciati dai cingoli dei blindati e soffocati dai residuati bellici.

Per Putin l'Ucraina merita punizioni esemplari indipendentemente da quanta terra strapperà. Kiev dovrà fare i conti con ciò che resta di un paese devastato che impiegherà anni e ingenti risorse per risollevarsi. Il Cremlino non tollera modelli di democrazia alle porte di casa alternativi all'autocrazia russa. È il prezzo che anche noi europei pagheremo per difendere i valori del processo d’integrazione di cui gli ucraini vorrebbero legittimamente far parte. Rimbocchiamoci le maniche.

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