Aleksandr Kabanov, poeta, traduttore, editore e attivista originario di Cherson, di cui è stata pubblicata in italiano la raccolta Nella lingua del nemico (Interlinea, 2022), ci racconta come si sta formando la cultura ucraina al tempo della guerra
Oltre che tragica, la guerra è sempre una situazione paradossale. Soprattutto, com’è il caso dell’invasione russa dell’Ucraina, quando il protrarsi del conflitto mette in gioco questioni legate all’identità degli individui e dei popoli, delle lingue parlate su determinati territori, delle eredità culturali. A Kyiv, e in tutte le città del paese aggredito, numerosi monumenti legati al passato sovietico o alla Russia sono stati abbattuti, diverse targhe rimosse, nomi delle vie cambiati. In generale, è in atto un processo di riscoperta del patrimonio nazionale – che attraversa le arti, il teatro, la letteratura, la poesia e la storia.
Parallelamente, le statue dedicate ai “nuovi” eroi della patria – da Lesja Ukraïnka a Taras Ševčenko, fino a Ivan Franko – vengono ricoperte di materiale protettivo, per metterle al riparo dai bombardamenti. Una salvaguardia che certifica l’importanza, forse addirittura una “sacralità”, di queste figure ma al tempo stesso ne occlude la vista, come a ricordare che comunque l’Ucraina vive un tempo di sospensione, una condizione di costante incertezza sul proprio presente e sul proprio futuro dovuta ai combattimenti che proseguono al fronte.
La scrittura di Aleksandr Kabanov, poeta, traduttore, editore e attivista originario di Cherson di cui è stato pubblicata in italiano la raccolta Nella lingua del nemico (Interlinea, 2022), in un certo senso fissa su carta e in versi una tale incertezza e una tale sospensione.
Già dalla prima fase dell’invasione del 2014, ha infatti raccontato con profonda ironia e guizzante libertà stilistica l’ambigua posizione di chi, come lui, si sente appartenente alla comunità ucraina ma compone spesso in russo (il titolo della raccolta italiana, nella traduzione di Alessandro Achilli, deriva appunto da una sua poesia che descrive questa contraddizione). È stato caporedattore della rivista “Sho”. Abbiamo chiacchierato con lui.
Innanzitutto, come sta? Come vive l’aggressione in corso da parte della Russia di Putin?
Sono già passati due anni e mezzo di guerra. È impossibile vedere ora la fine, anticipare il momento in cui terminerà il conflitto. Perciò, direi che in questo momento tutta la popolazione ucraina – da Kyiv a Cherson – si trova in un momento di attesa, in attesa che la guerra lasci intravvedere il proprio punto di conclusione. Questo vale sia per i soldati, estremamente stanchi per via dei continui combattimenti, sia per i civili, che supportano lo sforzo di resistenza ma si trovano in una situazione di stress costante.
Da un certo punto di vista, io credo che l'Ucraina abbia già vinto. È riuscita a fermare l'invasione su larga scala e a stabilizzare l'aggressione russa su una linea del fronte che grosso modo si sta mantenendo tale da più di un anno. Soprattutto, la giustezza della nostra lotta ha mostrato una linea di divisione netta fra “bianco e nero”, fra democrazia e dittatura, ha fatto vedere dove vige un’aspirazione ai valori di tolleranza e dove invece sussistono xenofobia, sciovinismo, razzismo, ecc.
Credo che in questo momento per noi sia urgente confrontarci con le conseguenze della guerra, con i problemi interni. Gli effetti dell’invasione si legano sempre più alle questioni di natura economica, lo vediamo per esempio con le difficoltà di approvvigionamento energetico. Ma soprattutto, c’è un grosso “esodo” della comunità ucraina: milioni di persone che sono andate all’estero, magari hanno trovato lavoro, dopo due anni hanno imparato l’italiano o il tedesco… Cosa abbiamo da offrire per il loro ritorno? Similmente, migliaia di cittadini rientreranno dai combattimenti al fronte. Di cosa si occuperanno? Ci sono centri psicologici per gestire la “sindrome del Vietnam”, che sappiamo essere un fenomeno comune a tutte le guerre?
Come vede il ruolo della cultura in questo contesto?
Con l’inizio della guerra, si è creata anche l'unità di tutte le specifiche parti della società ucraina. Dai patrioti di estrema destra alle persone di sinistra, fino ai liberali. Assieme a questa unità si è prodotto anche un discorso piuttosto aggressivo sulla necessità di purificazione del popolo ucraino da tutti quei legami che ancora sussistevano e sussistono con l'Unione Sovietica, con l'Impero Russo, con l'Impero di Putin, ecc. Insomma c'è la volontà di strappare, di togliere in maniera assoluta questo "strato identitario" che viene percepito come estraneo.
Questo è un progetto politico che di fatto vede l'Ucraina come un "piccolo paese", un progetto di nazionalismo integrale: un territorio in cui convivono diverse lingue, diverse tradizioni letterarie e identità politiche si trasforma in un'entità con un insieme ristretto di eroi, con una specifica tradizione letteraria e con una sola lingua. Al contrario, ciò che spero io è che la ricchezza sociale, culturale e politica dell'Ucraina possa preservarsi a lungo tempo anche dopo la guerra. Quando il nostro paese sarà tranquillo.
Nonostante l’aggressione che stiamo subendo, nonostante la marginalizzazione a cui l’Ucraina è stata sottoposta nel corso del tempo, non concordo con il discorso di chi vuole leggere la storia dell'Ucraina attraverso l'interpretazione decoloniale. La vedo come una posa vittimizzante, e si tratta di un assunto difficilmente difendibile dal punto di vista storico e fattuale. No, l’Ucraina non è stata una colonia come per esempio l’India britannica. Qua è avvenuto un processo di continua infiltrazione linguistica e culturale mentre, soprattutto a partire dal XX secolo, l’Ucraina ha iniziato a concepire i primi tratti della propria statualità e a percepirsi come un paese distinto.
Ma la guerra non sta cambiando il Suo atteggiamento nei confronti della “cultura russa”?
Penso che per qualsiasi persona esista il diritto all'autoidentificazione. Io considero l'Ucraina come una nazione, una comunità politica. Chi si considera ucraino pertanto ha diritto di esserlo, a prescindere da quale che sia la sua origine. Noi siamo tutti ucraini. Io scrivo in russo e in ucraino e mi considero ucraino. Sono in effetti uno scrittore ucraino, così come tanti miei colleghi che sono scrittori ucraini e scrivono in lingua russa.
Pertanto, il mio atteggiamento verso la letteratura russa e la cultura russa è rimasto lo stesso di prima. Putin non mi ha portato via niente, nonostante utilizzi la cultura russa e dei nomi che fanno parte della cultura russa come Checov per la sua propaganda. Lasciare la lingua russa a Putin è come lasciare la lingua tedesca a Hitler. Penso anzi che verrà un tempo in cui l’Ucraina ricomincerà a radunare tutte quelle figure che hanno contribuito a formare l’identità di queste terre, da Gogol a Bulkagov fino ad Achmatova. In generale, penso che la cultura debba continuare a essere un campo di realizzazione personale, molto libero. Se fosse un modo di rispondere a una guerra, se fosse davvero un potente strumento di propaganda e di controllo delle menti, come dicono, gli stati non la finanzierebbero molto di più? Se così fosse, sarei ricoperto d’oro!
Ha pubblicato la Sua prima opera negli anni ‘80 come samizdat. Che evoluzione ha avuto la letteratura ucraina dopo l’indipendenza?
Quello che spero è che se riusciremo a instaurare un sistema veramente democratico e non totalitario, e che questo possa aiutare lo sviluppo della cultura nazionale. Ma penso anche che occorra aspettare per una vera “fondazione”. La cultura e la letteratura dell'Ucraina libera sono una cultura e una letteratura giovani. Si stanno formando alcune tendenze e alcune scuole. Siamo in un periodo di riscoperta e ristrutturazione.
Serve tempo affinché la letteratura ucraina diventi ancora di più ucraina e ancora di più europea. Capisco bene che sussiste ancora una grossa influenza della letteratura russa, ma così come nella letteratura statunitense c'è stata una grande influenza da parte della letteratura di tutto il mondo, così come la letteratura latinoamericana ha trovato la propria specificità con lo sviluppo del realismo magico con Marquez e Cortázar.
Ecco, forse in Ucraina tra un po’ ci troveremo come Aureliano Buendía a Macondo che vede il ghiaccio per la prima volta portato dagli zingari. Credo che arriverà un tempo in cui la letteratura ucraina con le proprie forze elaborerà una sua corrente fondativa, come è stato per il realismo magico in latinoamerica. Crescerà una generazione che avrà l'influenza sufficiente per mostrare un nuovo modo di fare letteratura, un nuovo mondo.