L’avanzata ucraina in Russia ha portato il fronte a poche decine di chilometri dalla centrale nucleare di Kursk, una delle ultime a utilizzare la tecnologia del disastro di Chernobyl e anche per questo molto più a rischio di incidenti in caso di attacco. Il commento di un esperto del settore
Dopo l’invasione russa, e nonostante i ripetuti e ripetitivi allarmi catastrofisti che prevedevano innumerevoli armageddon nucleari, la centrale di Zaporizhzhia ha dimostrato che, dopotutto, quella atomica è ancora la fonte di energia più sicura. I sei reattori VVER presenti nel sito sono protetti da un involucro di acciaio spesso 20 centimetri e da altri due contenitori di calcestruzzo rinforzato di un metro e mezzo ciascuno, che mantengono il nucleo contenente le barre di combustibile al riparo anche dai missili convenzionali più potenti.
I pericoli di fusione del nocciolo dovuti alle numerose interruzioni elettriche che impediscono all’acqua di raffreddamento di circolare, sono sempre stati risolti con l’intervento dei generatori di emergenza mentre i depositi di scorie a secco comportano un pericolo minore di radioattività entro un raggio locale.
Nel mezzo della crisi energetica causata dalla guerra, con i continui bombardamenti di centrali elettriche, dighe, devastazioni e saccheggi di impianti solari ed eolici, il nucleare ha dimostrato di essere una fonte energetica non fossile stabile e sicura, che fornisce, nonostante il fermo di Zaporizhzhia, il 50% dell’energia prodotta in Ucraina.
Ora, però, ci troviamo davanti ad una situazione assai differente: la centrale nucleare di Kursk, visitata il 27 agosto dal direttore generale dell’AIEA (Agenzia internazionale per l’energia atomica), Rafael Mariano Grossi, evidenzia un potenziale pericolo più reale rispetto sia a Zaporizhzhia, sia ai reattori in uso nelle altre centrali nucleari sparsi nel mondo.
Kursk è, infatti, una delle ultime tre centrali al mondo che ha in funzione reattori di tipo RBMK, lo stesso modello che ha causato l’incidente di Chernobyl nel 1986. Gli altri due siti, tutti russi, che mantengono questi reattori sono quelli di Leningrad, con due reattori, e Smolensk, con tre reattori. L’ultimo RBMK che cesserà di funzionare sarà quello dell’Unità 3 di Smolensk, la cui decommissione è prevista nel 2034.
La centrale di Kursk ha quattro reattori RBMK: due di questi, l’Unità 1 e 2, sono oggi in fase di decommissione (sono, cioè, fermi in attesa di poter essere smantellati) e le barre di combustibile sono già state rimosse dall’Unità 1. Gli ultimi due, l’Unità 3 e 4, smetteranno di funzionare rispettivamente nel 2029 e nel 2031.
Sebbene la sicurezza degli RMBK sia stata rivista per adattarsi agli standard europei dopo il 1986, il principale problema posto da questi reattori è la loro esposizione ad eventi bellici. A differenza dei reattori oggi in uso nelle centrali nucleari di tutto il mondo, gli RMBK sono stati progettati per un uso ibrido: militare e civile. Al fine di consentire la frequente estrazione di plutonio-239 i reattori mancano di una protezione adeguata; mentre i nuclei delle altre centrali sono riparati da più strati di acciaio e calcestruzzo rinforzato, gli RBMK non hanno alcun contenimento rimanendo così vulnerabili anche a colpi di artiglieria.
Ecco perché, di fronte all’attacco del drone abbattuto il 22 agosto, la AEIA si è prontamente mobilitata accettando la richiesta del direttore generale di Rosatom, Alexey Likhachev, di visitare la centrale di Kursk.
Ma il sito non contiene solo reattori RBMK: l’agenzia atomica russa aveva iniziato a costruire un prototipo, il MKER, che avrebbe dovuto essere il successore dell’RBMK e dotato di una struttura di contenimento, ma la cui realizzazione è stata sospesa nel 2012.
Oltre a questo, Kursk ospita la futura generazione (la terza generazione plus) di reattori VVER, i VVER-TOI, che vengono visti come il modello più avanzato sviluppato dalla Rosatom e che questa vorrebbe commercializzare all’estero. Due reattori di questo tipo sono in costruzione a poca distanza dal sito originario ed uno di essi è già stato ultimato, è già stato riempito di barre di combustibile e sarà pronto a entrare in attività entro la fine del 2024.
Nel settembre 2023 un drone fu abbattuto nei pressi del villaggio di Makarova, al confine perimetrale della centrale che ospita i VVER-TOI, ma il fatto, oltre a generare una reazione di circostanza da parte delle forze russe, passò quasi inosservato proprio perché i reattori erano in costruzione e, comunque, la protezione era tale che la carica esplosiva non avrebbe rappresentato alcun pericolo.
Sebbene i VVER abbiano sufficiente protezione da poter sostenere senza problemi un attacco missilistico convenzionale, la presenza di truppe ucraine a poca distanza dal più sofisticato reattore nucleare russo, rappresenta un duro colpo morale e psicologico per il Cremlino e per la Rosatom stessa.
A Kiev basta questo: innalzare le proprie bandiere a pochi chilometri dalla centrale di Kursk. Del resto, l’Ucraina non ha né energie né risorse per occupare un sito così pericoloso e così tragicamente riconducibile ad un fatto di storia che si preferirebbe dimenticare. I tecnici, gli ingeneri, i chimici e i fisici che potrebbero avere sufficienti conoscenze per far funzionare e controllare un reattore RBMK sono per lo più occupati a Chernobyl e nessuno vuole ripetere l’esperienza del 1986.