Il Pravy Sektor è la formazione più estremista della destra ucraina. Al suo interno ci sono formazioni paramilitari che hanno svolto un ruolo di primo piano nelle manifestazioni di Kiev. Ora che l’Ucraina ha un nuovo presidente, e che Euromaidan ha smontato le tende, molti suoi componenti si sentono orfani della rivoluzione
Oleg non dice mai di no a un goccetto. Passa le sue giornate alla sede del Pravy Sektor di Leopoli. Non si nascondono. La loro sede è nel cuore storico di Leopoli, con vista sulla chiesa barocca della Trasfigurazione e a un passo dalla ploša Rynok, affollata di turisti. Oleg siede a uno dei tavoli all’aperto. Beve e fuma, e guarda il passeggio. Ogni tanto fa qualche commento pesante su una ragazza che ci passa davanti, ride mostrando il vuoto tra un canino e un molare, e ingolla un altro sonoro sorso di birra. “Ti sembriamo tipi pericolosi? Nazisti che ammazzano la gente?”
Eccoli quelli del Pravy Sektor, in una soleggiata giornata di primavera tra gli stucchi cadenti di Leopoli, lontano dalla Maidan messa a ferro e fuoco tra dicembre e febbraio. All’interno della sede le pareti sono ricoperte di cimeli dalla battaglia: uno scudo ammaccato, mazze e molotov, una bandiera rossonera, messi lì come un altare. E poi foto di Kiev in quei giorni. Un ragazzino le sta spostando, un uomo con gli occhi trasparenti gli dà ordini scontroso. “Non c’è bisogno di gridare”, lui grida ancora più forte. Litigano, il ragazzino sbatte tutto e va fuori. L’uomo dagli occhi trasparenti è un capo, ma ha voglia di parlare.
Le foto mostrano con orgoglio membri del Pravy Sektor nel pieno della battaglia. Passamontagna e maschere antigas, fiamme e colonne di fumo nero, sangue. Sono immagini forti, che stridono con gli ideali liberali. Le molotov non vanno d’accordo con la democrazia. Eppure qui trasmettono un messaggio positivo. Dire di essere stati sulla Maidan, sulle barricate, vale una medaglia sul petto. “Anch’io ci sono stato, certo”, dice Oleg. “Da gennaio a marzo. Mi sono preso le mie bastonate, e ne ho date pure un bel po’. Ero in prima linea, come gli altri di qui”. Eppure degli oltre cento morti di Euromaidan nessuno faceva parte del Pravy Sektor. Com’è possibile se – come dicono – costituivano l’ossatura della prima linea? “Che c’entra? C’erano migliaia di persone nella Maidan. I cecchini della polizia hanno sparato sulla folla. Sarà stato un caso”.
Il giusto peso del Pravy Sektor
La prima volta che ho rivolto la parola a Oleg, l’uomo dagli occhi trasparenti gli ha abbaiato contro di non parlare con i giornalisti. Un po’ di birra però ha aiutato a sciogliergli la lingua. Oleg indossa una tuta mimetica e degli anfibi, un po’ l’uniforme del Pravy Sektor. Qualcuno ha la testa rasata, qualcun altro porta i capelli lunghi. Sono per lo più giovani o giovanissimi senza parte in commedia, a volte veri perdigiorno, i più pericolosi. Molti di loro hanno trovato nei giorni di Euromaidan una ragione e un senso, o anche l’illusione di aver qualcosa da fare. Il Pravy Sektor stesso è nato sulle barricate di Euromaidan, riunendo sotto un’unica bandiera una galassia di formazioni di estrema destra e accogliendo al proprio interno l’Unso, un’organizzazione paramilitare che continua a esistere con una identità distinta. E subito ha dato una svolta alla protesta, spingendo per l’occupazione dei palazzi pubblici, per la linea intransigente col governo e adottando metodi da guerriglia urbana contro la polizia. È difficile da casa nostra dare il giusto peso al ruolo del Pravy Sektor durante e dopo Euromaidan. Ma lo è altrettanto osservando dal di dentro la realtà ucraina. La sua presenza non è vista di cattivo occhio da chi ha sostenuto la rivoluzione, né è percepita come una pericolosa deriva estremista. Anzi, è vista da molti con benevolenza. Eppure il suo leader Dmytro Jaroš ha preso solo lo 0,7% dei voti alle elezioni presidenziali del 25 maggio. E la percentuale qui a Leopoli è stata uguale a quella nazionale, meno che a Kiev.
I biglietti da visita di Jaroš
Quando sono arrivato, Bogdan – un ragazzo con i capelli alla cosacca, un taglio di gran moda a Leopoli tra i giovani tatuati – mi ha accolto con un sorriso e un biglietto da visita rossonero col tridente. Quella dei biglietti da visita è una storia a parte. Alla fine di aprile la TV russa Life news, molto attiva nella propaganda anti Euromaidan, diffuse delle immagini di un biglietto da visita di Jaroš ritrovato sul luogo di uno scontro tra separatisti ed esercito di Kiev, vicino Slavjansk. In quell’occasione erano morte tre persone, e il cartoncino colorato col nome di Jaroš fu usato dalla propaganda russa come prova del coinvolgimento dell’organizzazione nell’est del paese. Il Pravy Sektor, e non solo, rispose con ironia inondando la rete con fotomontaggi del biglietto di Jaroš sui luoghi dei peggiori disastri, dall’affondamento del Titanic all’invasione degli alieni di Independence Day. Oggi molti negozi di souvenir a Leopoli hanno in vetrina un cartello: “Qui biglietti di Jaroš”.
Entra una famigliola, papà, mamma e due bimbi biondi. “È qui il Pravy Sektor?” Tutti e quattro indossano le vyšyvanka, le tradizionali camicie bianche con ricami colorati. Vengono da un villaggio qui vicino. “È interessante vedere queste foto. Vederle qui insieme a loro che hanno combattuto a Kiev”, dice il papà. “Questi ragazzi hanno rischiato la vita per il bene dell’Ucraina”. “Penso che senza di loro avremmo ancora Janukovič”, aggiunge la mamma. I bambini si fanno fotografare accanto a Bogdan, e il quadretto ricorda uno di quei manifesti della propaganda sovietica della Seconda guerra mondiale, col soldato e i bimbi biondi. Salutano, se ne vanno, “Gloria all’Ucraina, gloria agli eroi!”
Orfani di Euromaidan
Oleg scrocca un’altra birra. “Dicono che siamo razzisti, che odiamo i russi. La mia ragazza è russa, di Dnipropetrovsk. Dicono che siamo contro l’uso del russo, ma con lei non parlo ucraino”, e per dimostrarlo la chiama, me la passa. Lei parla un buon inglese, è a Dnipropetrovsk, sta lavorando come scrutatrice in un seggio. Ridò il telefono a Oleg, lui fa un po’ lo sbruffone. “Anche io ti amo piccola”, poi abbassa la voce. “No, non ho bevuto, davvero, ti dico che non ho bevuto”. Quando chiude, il boccale è già vuoto e tocca riempirlo di nuovo.
Dico che qui a Leopoli ho incontrato la comunità tatara fuggita dalla Crimea, e che è interessante che abbiano trovato ospitalità nella città del Pravy Sektor e di Svoboda. Fa un’espressione di disgusto. “Sì, il comune gli ha pure dato delle case. Dove li hai trovati?”. Dico che li ho incontrati durante la preghiera. “Hanno pure una moschea?”. No, è solo una sala di preghiera. “Vabbè, comunque non mi interessa”. Non è un segreto che l’ideologia del Pravy Sektor sia contro un’Ucraina multietnica e multireligiosa, e Oleg non lo nega. “Il punto non è essere contro, ma avere chiaro cosa è giusto e cosa no. È giusto combattere per il proprio paese, è giusto volere il bene del proprio popolo. Non è giusto dare le case a questa gente quando tanti ucraini dormono nella stazione o per strada”.
Bogdan si viene a sedere insieme a noi e dice qualcosa sottovoce. Sulla soglia, l’uomo dagli occhi trasparenti ci osserva. Oleg manda giù tutt’insieme un grosso sorso e vuota un altro boccale. Non parla più. Cosa farà ora che è tornato da Kiev, che l’Ucraina ha un nuovo presidente e che gli elettori hanno relegato Jaroš a una percentuale di voti minima? “Noi continuiamo a stare qui, a difendere il nostro paese e, se serve, a tornare alla Maidan. Che ne dici di un’altra birra?”