Nella migliore delle ipotesi il Donbass sotto controllo russo porta ad un'instabilità permanente. L’altro grave rischio è una guerra su ampia scala. Questa rimane l’opzione meno razionale ma il punto di non ritorno sembra sempre più vicino. Un commento
(Questo articolo viene pubblicato in contemporanea con EastJournal )
Il lungo discorso del presidente russo, Vladimir Putin, che si è concluso con il riconoscimento delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk segna un punto di non ritorno. Non solo nell’attuale crisi ucraina, ma anche, e per certi versi soprattutto, nel regime di Putin e nel ‘putinismo’. Tra tutti i numerosi, lunghi e spesso pretestuosi discorsi del presidente russo, da quello aggressivo alla conferenza per la sicurezza di Monaco nel 2007, a quello celebrativo ed euforico in occasione dell’annessione della Crimea nel 2014, quello andato in onda ieri colpisce per l’incredibile cupezza, aggressività e astio. In pratica una dichiarazione di guerra che non è stata dichiarata, almeno non ancora.
Il triste spettacolo serale è stato preceduto, infatti, da una riunione straordinaria del consiglio di sicurezza durante la quale le personalità teoricamente più influenti intorno al presidente hanno snocciolato in diretta TV (anche se si è scoperto che il tutto è stato pre-registrato) tutte le ragioni per il riconoscimento delle due autoproclamate repubbliche. Uno spettacolo utile solo a giustificare una decisione già presa.
Indipendenza per Donetsk e Lugansk
Cosa significa in pratica il riconoscimento dell’indipendenza di Donetsk e Lugansk? In primo luogo l’ingresso ufficiale delle truppe russe su suolo ucraino. A poche ore dalla firma, infatti, colonne di presunti ‘peacekeeper’ russi erano già in Donbass . Inoltre, rimane da capire quali siano esattamente i territori che la Russia riconosce. La cosa che per ora sembra più plausibile è che il riconoscimento valga esclusivamente per i territori controllati de facto dalle due autoproclamate repubbliche che non comprendono interamente le regioni di Donetsk e Lugansk. L’altra opzione, solo menzionata durante il consiglio di sicurezza, è il riconoscimento dell’indipendenza della totalità delle due regioni, fatto che includerebbe parte di territorio rimasto sotto controllo di Kiev. Un dettaglio non da poco, visto che significherebbe di fatto guerra aperta.
Il riconoscimento delle due repubbliche significa soprattutto la fine definitiva degli accordi di Minsk, rimasti fino ad ora il punto centrale nel conflitto tra Kiev e Mosca. Negli ultimi 7 anni, infatti, la Russia ha sempre fatto pressione affinché si seguissero le linee guida tracciate nel 2015, che avrebbero garantito al Cremlino strumenti di pressione anche dopo un eventuale ritorno del Donbass sotto controllo di Kiev. Fino ad oggi sono stati proprio gli accordi di Minsk, e l’impossibilità per qualsiasi governo ucraino di realizzarli senza provocare una sollevazione interna, a frenare ogni forma di ulteriore dialogo tra Russia e Ucraina.
Le condanne e le sanzioni da parte dell’Unione Europea, Regno Unito e Stati Uniti difficilmente avranno qualsivoglia impatto sulla posizione del Cremlino.
Una mossa disperata?
L’atto di forza e il riconoscimento di Donetsk e Lugansk sembra, però, quasi una mossa disperata del Cremlino e il rabbioso discorso di Putin potrebbe essere davvero indicativo. Da una parte, nonostante la pistola carica puntata alla tempia del vicino, Mosca è stata incapace di costringere l’Ucraina ad implementare gli accordi di Minsk. Dall’altra, i negoziati con Stati Uniti e Bruxelles sulla riconfigurazione della sicurezza europea sono finiti nel nulla. Il riconoscimento delle due ‘repubbliche’, in altre parole, è la dimostrazione plastica del fallimento della diplomazia coercitiva adottata da Mosca negli ultimi mesi. L’Ucraina è destinata a ricevere più aiuti (militari e non) e sostegno, per quanto debole ed incostante, da parte dei partner europei ed americani. Le sue aspirazioni per l’ingresso nella NATO, anche se rimangono non realizzabili nel medio periodo, riceveranno un crescente sostegno popolare. E la definitiva chiusura del capitolo ‘reintegrazione del Donbass’ potrebbe limitare le leve d’influenza del Cremlino sulla politica ucraina più in generale.
Proprio per questo la fine definitiva degli accordi di Minsk apre scenari imprevedibili e allontana ogni possibile soluzione alla crisi nel breve termine. Nella migliore delle ipotesi questo significa che truppe russe e ucraine saranno a distanza di pochi metri lungo la linea di demarcazione, il Donbass sotto controllo russo a tempo indeterminato e il rischio permanente di una possibile escalation. In altre parole, una crisi strategica permanente. L’altra opzione rimasta sul tavolo sembra davvero una guerra su ampia scala. Questa rimane l’opzione meno razionale per costi, vite umane e conseguenze imprevedibili, ma il punto di non ritorno sembra sempre più vicino.
Conflitto in Ucraina
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