Gadget, foto di Danilo Elia

A est li chiamano banderovtsy, seguaci di Stepan Bandera, e li considerano una specie di neonazisti in versione ucraina. A ovest sono patrioti che tengono viva la memoria di un partigiano ed eroe nazionale. Un uomo morto oltre cinquant’anni anni fa divide oggi gli ucraini

08/07/2014 -  Danilo Elia

Quando Stepan Bandera fu trovato senza vita a Monaco di Baviera nel 1959, nessuno pensò a una morte naturale. Il Mossad e il Kgb avevano ottimi motivi per eliminarlo, ma anche la Cia e l’MI6 avrebbero avuto le loro buone ragioni. Non dovrebbe stupire che un uomo con così tanti nemici sia oggi – a oltre cinquant’anni dalla sua morte e settanta dalle sua attività politica e militare – al centro di un’aspra battaglia ideologica in Ucraina.

“Quelli di Kiev? Una massa di banderovtsy”. Questa parola riecheggia come un mantra dal palco in piazza Lenin a Donetsk. È pronunciata con disprezzo, come la peggiore delle offese. Le bandiere che sventolano sono rosse con falce e martello, oppure riproducono il tricolore russo con l’aquila bicipite. Si gridano parole contro la Maidan di Kiev.

I banderovtsy, per chi abita a est, sono un po’ tutti gli ucraini da Kiev in qua, fino ai Carpazi. Che si tratti di veri seguaci di Bandera o meno, chiunque non ne rinnega il nome e la memoria è un banderovets, un nazista, un violento. Patriota della Seconda guerra mondiale e criminale di guerra, partigiano, filonazista, eroe nazionale e sterminatore di polacchi ed ebrei, Bandera è tutto questo allo stesso tempo. La figura più controversa della storia recente dell’Ucraina, taglia il paese in due: dove gli sono intitolate vie e piazze e dove il suo nome è associato a quello di Hitler. Non esiste una via di mezzo. “Non vogliamo essere governati da quei banderovtsy”, mi ha detto Marija, mentre dal palco suonava una marcia russa. “È stato un golpe. A Kiev c’è una giunta fascista, per loro un criminale nazista come Bandera è un eroe. L’Urss, la Russia ha sempre combattuto il nazifascismo. Come possiamo andare d’accordo?”.

Un personaggio controverso

Durante la Seconda guerra mondiale, alla guida del movimento nazionalista ucraino Oun, Bandera fondò l’esercito partigiano Upa, che combatté prima contro i polacchi, poi contro l’Armata rossa al fianco dei nazisti, e poi contro gli stessi tedeschi. Polacchi e sovietici rappresentavano la minaccia principale al nazionalismo ucraino, e l’avanzata nazista fu vista con opportunismo come un’occasione per sconfiggerli. Quando poi l’occupazione tedesca si mostrò un ostacolo per la creazione dell’Ucraina indipendente cui mirava l’Oun, Bandera non ci pensò due volte e organizzò una rivolta. Fu arrestato e richiuso nel campo di concentramento di Sachsenhausen. Quando l’Armata rossa cominciò la riconquista dell’Ucraina, fu liberato e usato per animare la resistenza antisovietica. I tedeschi rappresentavano pur sempre il male minore rispetto ai sovietici.

Gli uomini di Bandera, in nome del nazionalismo ucraino, hanno portato avanti una pianificata pulizia etnica in Galizia e Volinia uccidendo, secondo le stime più prudenti, 60mila polacchi. Durante l’alleanza con i nazisti hanno certamente contribuito, almeno indirettamente, allo sterminio della popolazione ebraica di quelle regioni, anche se non c’è accordo tra gli storici circa una loro attiva partecipazione al massacro degli ebrei. L’Oun non era un’organizzazione antisemita, eppure Bandera non esitò a disporre lo sterminio degli ebrei insieme a polacchi e russi, ma anche ad accoglierli nella propria organizzazione e a proteggerli dai tedeschi quando questo faceva comodo alla causa nazionale. Bandera e i suoi hanno combattuto una guerra partigiana, cinica e spietata, non preoccupandosi di eliminare chiunque costituisse un ostacolo al predominio degli ucraini a ovest del Dnipro.

L’accusa più comunemente rivolta dagli ucraini del sud e dell’est – diciamo, dai russi d’Ucraina, russofoni e russofili, e comunque anti Maidan – a chi ha preso parte o anche solo appoggiato le manifestazioni che hanno portato alla caduta di Janukovič è quella di celebrare un collaborazionista della Wehrmacht come fosse un eroe. Chiamare poi il governo di Kiev “giunta fascista”, è un’equazione facile che piace tanto anche ai mezzi d’informazione russi.

D’altro canto, le occasioni sono state offerte in quantità. Una gigantografia di Bandera ha accompagnato tutti i giorni di Euromaidan, osservando dal palco di piazza Indipendenza gli scontri che hanno infiammato la città. La bandiera rossonera dell’Upa sventolava sulle barricate stagliandosi contro il fumo nero degli pneumatici. E il saluto che era stato dei partigiani – Gloria all’Ucraina, gloria agli eroi – è diventato il motto patriottico di quegli ucraini che raggruppiamo sotto l’etichetta semplicistica di “filoeuropei”, dal Pravy Sektor agli studenti di Leopoli, ai militari impegnati nell’operazione di riconquista dell’est.

Gadget con l'immagine di Bandera. Foto di D.Elia

I conti con la storia

Bandera è un brand. A Ternopil’, Ivano-Frankivsk, Leopoli ma anche a Kiev è sulle magliette, sulle bandierine per le auto, sulle tazze per il tè, sulle spille. Si può dire che chi le indossa è un neonazista antisemita? “Non abbiamo ancora fatto i conti per bene con la nostra storia recente”. Aleksandr vuole essere chiamato Alessandro. È uno dei “bambini di Černobyl”. Ha trascorso molte estati sul litorale romano e parla italiano come se fosse sempre vissuto a Ostia, anche se oggi abita a Kiev e in Italia non ci viene più. “Che vuoi, con l’isolamento sovietico la storia era solo quella dei libri scritti a Mosca. E poi dopo è stato un po’ un fai da te. Ognuno ha ripescato eventi e personaggi che facevano comodo, senza passare per una seria analisi storica. Certo, ora sarebbe il caso di farlo, ma questo non vuol dire che tutti quelli che ricordano Bandera come un eroe nazionale siano razzisti e antisemiti”.

Graffiti antisemiti su vecchie scritte in ebraico. Foto di D.Elia

Dopo l’indipendenza le due Ucraine etnico-linguistiche si sono distinte anche nella toponomastica. C’è stata un’Ucraina rimasta fedele a un’identità legata al passato sovietico, dove le strade e le piazze sono ancora intitolate alla Rivoluzione d’Ottobre e agli eroi dell’Urss, e dove i monumenti di Lenin avevano sempre fiori freschi ai loro piedi. E c’è stata un’Ucraina che ha cercato di ricostruirsela un’identità nazionale, aggrappandosi a frammenti di un passato un po’ sepolto, dove le statue del poeta Taras Ševčenko hanno scalzato quelle di Lenin dai piedistalli, e la toponomastica si è riempita di personaggi riemersi da una storia in parte ancora da scrivere, dal re Danylo Halytskiy a Bogdan Khmelnytskyi. E in mezzo c’è finto pure Bandera.

Leopoli è la città in cui più è celebrata la sua immagine. Nel punto in cui la via che porta il suo nome incrocia il viale Eroi dell’Upa, una sua statua di bronzo sta in piedi, fiera, sotto il tridente ucraino. E la sua casa natale, nel vicino villaggio di Stryi, è diventata un museo.

Masha è di Leopoli ma è stata nella Maidan di Kiev. Ha fatto la sua parte distribuendo tè e sandwich a chi combatteva, a chi presidiava le barricate. Lei è ucraina che parla ucraino, non ha mai potuto soffrire chi ha governato fino a ieri e non vuole vedere il suo paese nelle braccia della Russia. “Ma non posso votare per chi si rifà a un passato razzista. Non posso stare con chi dice che Bandera era un eroe, anche se oggi combatte per una giusta causa. Secondo me bisognerebbe dirlo chiaramente. In fondo, che bisogno c’è di tirare in ballo Bandera oggi per combattere i politici corrotti e chiedere una democrazia moderna?”

Nel 2010, il presidente “arancione” Viktor Juščenko conferì la medaglia di eroe dell’Ucraina alla memoria di Bandera, ma il decreto – da subito molto contestato da diverse parti politiche e dichiarato illegale dal tribunale di Donetsk – fu poi annullato dal suo successore, Janukovič. Anche la sua morte è motivo di divisione. L’autopsia sul suo corpo concluse che era stata causata da cianuro. Tre anni dopo, il tribunale di Karlsruhe stabilì che a ucciderlo era stato il Kgb, su ordine diretto di Kruščëv. Per alcuni un assassinio, per altri la giusta fine di un criminale.