Accuse di sabotaggio e minacce di disastro nucleare alimentano le tensioni tra Ucraina e Russia alla Centrale nucleare di Zaporizhzhia. Le dichiarazioni allarmistiche di entrambe le parti sono parte di una guerra psicologica nel contesto del conflitto in corso e il nucleare diventa un'arma di pressione su governi e opinione pubblica
La centrale nucleare di Zaporizhzhia è di nuovo oggetto di speculazioni su eventuali possibili sabotaggi che potrebbero creare un incidente radioattivo. Questa volta a dirlo è Kyrylo Budanov, capo dell’Intelligence militare ucraina le cui dichiarazioni sono state riprese sia da Zelensky che dall’Energoatom, l’Agenzia atomica ucraina. Secondo gli ucraini, i russi che controllano il sito atomico avrebbero già minato le sale delle turbine degli impianti che raffreddano i sei reattori nucleari e il perimetro dell’intero impianto iniziando a far evacuare i tecnici della Rosatom (l’Agenzia atomica russa) e allontanando molti dei soldati rimasti a presidio della centrale.
Mosca ha negato ogni accusa, ma a rendere più melodrammatico lo scenario in questa zona così delicata dell’Ucraina, si è sovrapposta la voce di Dimitry Medvedev, vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo. Sul canale Telegram, ha affermato che "un'apocalisse nucleare non è solo possibile, ma anche abbastanza probabile" aggiungendo che " il mondo sta assistendo ad uno scontro molto peggiore rispetto a quello vissuto durante la crisi dei Caraibi (e) le armi nucleari sono già state utilizzate, il che significa che non ci sono tabù."
Non è certo la prima volta che un diplomatico russo (e Medvedev in particolare non è nuovo a simili avvertimenti) allerta i governi Occidentali, ma il contesto in cui queste frasi vengono pronunciate è particolarmente delicato: Mosca, dopo i recenti avvenimenti che hanno coinvolto la milizia Wagner, è in grave difficoltà, sia nel suo interno, sia sul fronte bellico.
Alle dichiarazioni di Medvedev hanno fatto eco quelle dell’ammiraglio Rob Bauer, presidente del Comitato militare della Nato secondo cui "Sin dall'inizio del conflitto abbiamo mantenuto una buona rete di osservatori e informatori sull'ammassamento delle truppe russe e sono fiducioso che saremmo in grado di vedere cosa sta per accadere a Zaporizhzhia e reagire in tempo utile." In altre parole, anche la Nato non crede ad un intervento terroristico da parte dei russi sulla centrale.
A Zaporizhzhia, infatti, la situazione è ancora calma: dalle ispezioni effettuate non sono state trovate tracce delle mine paventate dagli ucraini e l’apparato militare presente in centrale non ha dato segni di imminente smobilitazione. I tecnici e gli esperti della Rosatom sono rimasti ai loro posti, segno che gli allarmi lanciati da Kyiv sembrano, per ora, scongiurati e il disastro nucleare “che colpirebbe circa un miliardi di persone in 40 Paesi al mondo”, come scritto da alcuni giornali ucraini, è ancora remoto. Anche la manovalanza ucraina che lavora all’interno della centrale a stretto contatto con gli esperti russi è tranquilla.
Anzi, rispetto a qualche settimana fa, quando il crollo della diga di Kakhovka aveva allarmato i tecnici per il rapido deflusso delle acque del bacino da cui pescano le pompe per raffreddare i reattori, la situazione è addirittura migliorata. Oltre ad aver stabilizzato il livello delle acque del Dniepr, che ora è di 17 metri, ben oltre alla soglia minima di pescaggio di 12,7 metri, da ieri la centrale è stata ricollegata alla rete elettrica da 330 kV, che si aggiunge a quella da 750 kV. Questo significa che, in caso di blackout, Zaporizhzhia ha a disposizione due linee di backup che garantirebbero il regolare funzionamento delle pompe di iniezione dell’acqua di raffreddamento.
I sei reattori di fabbricazione russa da 950 MW ciascuno, sono attualmente tutti in stand-by e il calore prodotto dal decadimento radioattivo è relativamente basso. Il che significa che l’apporto di acqua necessario per mantenere il combustibile nucleare è minimo, circa duemila litri/ora per ogni reattore. È importante far notare, comunque, che anche in caso venisse a mancare totalmente l’acqua di raffreddamento, ci vorrebbero diversi giorni affinché i noccioli, oggi inattivi, raggiungano il punto di fusione causando un incidente simile a quello avvenuto a Fukushima nel marzo 2011.
Nel caso di Zaporizhzhia, però, la già bassa temperatura dei reattori, scongiurerebbe la fuoriuscita di materiale radioattivo dal contenitore primario limitando il danno alle zone immediatamente circostanti la centrale.
Impensabile, invece, causare un incidente bombardando le strutture che contengono il combustibile nucleare. Questo è infatti protetto da un involucro di acciaio spesso 20 centimetri a sua volta incapsulato in una struttura di calcestruzzo rinforzato di un metro e mezzo e da una terza parete esterna, sempre di calcestruzzo di un metro di spessore costruito apposta per resistere ad impatti di missili convenzionali.
Le dichiarazioni allarmistiche di Kyiv controbilanciate da quelle minacciose di Mosca fanno parte della guerra psicologica messa in atto dai due contendenti immediatamente dopo l’inizio del conflitto e che trovano, nel terrore generato dal nucleare, un’efficace arma di pressione sia su governi che sull’opinione pubblica.