Dnipropetrovsk (Danilo Elia)

Dnipropetrovsk (Danilo Elia)

Dnipropetrovsk, città russofona del sudest ucraino, è diventata il centro nevralgico dell’offensiva contro i separatisti del Donbass. Il ruolo dell'oligarca e ora governatore Igor Kolomojskij e della locale comunità ebraica. Un reportage

16/09/2014 -  Danilo Elia Dnipropetrovsk

Non puoi fare una passeggiata per Dnipropetrovsk senza inciampare in qualcosa che no sia di Igor Kolomojskij. Proprietario della prima banca ucraina, di una manciata di compagnie aeree, di diversi canali televisivi, industrie metallurgiche e della squadra di calcio Dnipro FC, è da qualche mese anche il governatore della regione, nominato all’indomani della fuga di Janukovič dall’allora presidente ad interim Turčinov. L’uomo più potente della città è anche capo della comunità ebraica, una forte componente di Dnipropetrovsk.

Profondo sudest del paese, popolosa città industriale tutta palazzine prefabbricate e ciminiere, grossa fetta di popolazione russa, assoluta maggioranza di abitanti russofoni. Nata russa, col nome di Ekaterinoslav in onore di Caterina la Grande, è da sempre protesa a est, culturalmente ed economicamente. Per dirne una, è qui che si costruiscono i missili delle testate balistiche intercontinentali russe e i vettori spaziali lanciati dal cosmodromo di Baikonur. Dnipro, come la chiamano qui, qualche mese fa avrebbe potuto diventare una seconda Donetsk. Per molti non è un caso se invece è diventata il centro nevralgico dell’offensiva governativa contro i separatisti.

Oligarchi generosi

Il museo dell’Olocausto ebraico in Ucraina profuma ancora di pittura. Alle pareti e nelle bacheche gli utensili della vita quotidiana di un’operosa comunità si mescolano a cimeli dolorosi, legati a una storia di persecuzione e morte, ai pogrom, alla Shoah. Più stupefacente dell’esposizione, però, è il luogo in cui si trova, non una città occidentale dell’antica Galizia ebraica, non a Leopoli né a Černivtsy.

“Gran parte della collezione la dobbiamo alle generose donazioni del signor Kolomojskij e altri esponenti della comunità”. Igor Ščupak è il direttore del museo, direttore dell’Istituto ucraino per gli studi sull’Olocausto “Tkuma”. Il suo ufficio si trova al ventiduesimo piano del centro ebraico Menorah, un complesso enorme. “Ne andiamo fieri, lo ammetto”.

Ščupak ha tutte le ragioni per non nascondere il proprio orgoglio. La sua terrazza domina tutta la città. All’orizzonte, oltre il maestoso letto del fiume Dnipro, una distesa di stabilimenti a perdita d’occhio sono la fonte di danaro di una ristretta cerchia di super ricchi. Su una distesa di grigi kruščëvky – i prefabbricati a tre piani delle periferie sovietiche che sembravano già vecchi appena finiti – il Menorah si staglia con l’imponenza delle sue sette torri da 50mila metri quadrati. Oltre al museo e alla sinagoga, comprende due alberghi a cinque stelle, una galleria di negozi, ristoranti kosher, un centro conferenze, una sala per concerti e migliaia di metri quadrati di uffici. È il centro ebraico più grande al mondo in un posto del mondo in cui non ti aspetteresti di trovarlo. “Diciamo che la comunità ebraica qui è molto unita”, Ščupak ama gli eufemismi. Il Menorah è costato qualcosa come 70milioni di dollari. Messi da Kolomojskij e da un paio di altri miliardari.

Ebrei e neonazisti

Sono sempre di più i fili che legano Kolomojskij e i suoi alla lotta ucraina contro i separatisti. L’oligarca è il fondatore e primo finanziatore dei battaglioni paramilitari Donbass e Dnipro, per molti nient’altro che una milizia privata al suo comando; ha offerto una taglia 10mila dollari per ogni “sabotatore” russo catturato e in una telefonata intercettata e diffusa da LiveLeaks ha messo in guardia il leader separatista Oleg Tsarev dicendogli che la comunità ebraica aveva staccato un assegno di un milione di dollari per la sua testa. In risposta al suo impegno contro i separatisti, le autorità russe della Crimea hanno sequestrato tutte le sue proprietà nella penisola, mentre lo scorso luglio il tribunale di Mosca ha emesso nei suoi confronti un ordine d’arresto in contumacia con l’accusa di omicidio e organizzazione di attività di guerra.

Sono in molti a riferire che i soldi di Kolomojskij non armano però solo i battaglioni Dnipro e Donbass, ma anche il famigerato battaglione Azov. Con un “dente di lupo” e un “sole nero” (simboli araldici e esoterici legati all’iconografia nazista) nello stemma e radici nei movimenti di estrema destra, il battaglione Azov è la formazione volontaria che più fa parlare di sé tra tutte le forze impegnate nella riconquista del Donbas. Ha stretti legami con gli estremisti del Pravy Sektor e i neonazisti di Patriot Ukraiyny.

Ma questo non sembra creare problemi a Kolomojskij, come non sembra creare problemi l’ingombrante figura di Stepan Bandera, cui si rifà la destra nazionalista. Il controverso personaggio storico che fu a capo dell’esercito partigiano Upa durante la Seconda guerra mondiale per alcuni storici è responsabile della morte di migliaia di ebrei al fianco dei nazisti.

“Quasi sempre gli eroi popolari di una parte sono criminali per un’altra. È normale. Hanno combattuto, hanno ucciso”, dice Ščupak. “Ma se me lo chiedi, ti dico che Bandera non è un mio eroe”. A parlare è adesso il direttore dell’Istituto ucraino per gli studi sull’Olocausto. “L’Upa ha commesso crimini contro gli ebrei? Vero. Gli uomini di Bandera hanno combattuto contro l’occupante sovietico per la libertà del popolo ucraino? Vero. Molti ebrei si sono uniti alla lotta partigiana dell’Upa? Vero. Come vedi, la storia non è sempre lineare. Ciò non toglie che adesso gli ucraini si sentano tutti riuniti sotto una bandiera per combattere un nemico comune”.

Affari e patriottismo

Secondo Ščupak, il risveglio patriottico di Dnipropetrovsk è merito anche dei suoi 50mila appartenenti alla comunità ebraica. Sarà un caso, ma nel tempo è diventato più comune vedere in giro per la città chi non si preoccupa di nascondere la propria osservanza, indossa la kippah o porta i lunghi peot alle orecchie. Non è scontato, l’Ucraina non è un paese antisemita, ma gli atti di antisemitismo non sono rari. Per molti, lo si deve alla popolarità e all’impegno di Kolomojskij.

A sentire i suoi detrattori, Kolomojskij difende solo il proprio business, per altri è un mecenate che finanzia la causa nazionale. “Il signor Kolomojskij dà di più perché può dare di più, ma non è il solo in Ucraina a donare qualcosa per la lotta contro i separatisti”, dice Ščupak. Non sembra sfiorarlo il dubbio che un oligarca che ha accumulato le proprie ricchezze col vecchio regime – e che per questo possa di più degli altri ucraini – sia in una posizione di conflitto tra gli affari, la politica, il ruolo di governatore e, infine, di finanziatore di gruppi paramilitari. “È una cosa normale in Ucraina. Potremmo dire che noi ebrei abbiamo l’oligarca giusto. A Donetsk è andata peggio”, sorride Ščupak.

“La verità è che gli ebrei di Ucraina si sono finalmente resi conto di appartenere a una nazione. Fino a qualche tempo fa molti di noi si sarebbero dichiarati ebrei e basta. Se me lo chiedi adesso, io ti rispondo che sono ebreo ucraino. È questo il paese in cui vivo, la mia casa. Siamo sempre di più a pensarla così”.