Attacco russo ad infrastrutture ucraine - Andrii Oleksiienko/Shutterstock

Attacco russo ad infrastrutture ucraine - Andrii Oleksiienko/Shutterstock

Dopo aver invaso l'Ucraina, la Russia ha iniziato a colpire in modo sempre più mirato le infrastrutture energetiche del paese: una situazione che rischia di diventare insostenibile durante il prossimo inverno, nonostante gli sforzi di Kyiv di connettersi alla rete europea

12/07/2024 -  Claudia Bettiol, Francesco Brusa Kyiv

Da fine maggio 2024 in tutto il territorio ucraino sono in vigore interruzioni di elettricità programmate che stanno mettendo a dura prova la vita quotidiana dei cittadini, disagio che si aggiunge agli allarmi antiaerei costanti e alle ‘normali’ difficoltà della vita di guerra.

A causa dell’invasione russa su larga scala del febbraio 2022, dell’occupazione di una buona fetta di paese e dei continui attacchi missilistici (che di recente hanno come target soprattutto infrastrutture critiche), l’Ucraina si ritrova infatti ad affrontare una drammatica situazione dal punto di vista energetico che non farà che peggiorare nei prossimi mesi, con l’arrivo della stagione invernale, e molto probabilmente negli anni avvenire se non si dovesse fermare l’aggressione del Cremlino.

Il sistema energetico ucraino e le criticità post-invasione russa

L’Ucraina ha un sistema energetico basato soprattutto sul nucleare (di struttura sovietica), che genera il 50% dell’energia necessaria e che approvvigiona l’intero paese. Stando ai dati che snocciola Emanuele Volpe, membro dell’Advisory Board for Community Strategic Regional Innovation Cluster Ukraine dello European Institute of Innovation and Technology, il paese oggi possiede 13,8 gigawatt di nucleare in totale: sei sono nella centrale di Zaporižžja (attualmente controllata dalla compagnia russa Rosatom in seguito all’occupazione russa del 4 marzo 2022), mentre gli altri 7,8 gigawatt sono distribuiti tra Rivne (2,8) Chmel’nyckyj (2) e l’Ucraina meridionale (3).

La centrale nucleare di Černobyl, invece, non è più attiva perché è stata occupata sin dall’inizio dell’invasione e interamente saccheggiata. Oltre al nucleare, l’Ucraina genera anche energia idrica, legata al fiume Dnipro, che costituisce una produzione elevata ma non costante (questo anche a causa della distruzione della diga di Nova Kachovka nel giugno 2023, avvenuta probabilmente anch’essa per mano russa), ed energia termica, le cui centrali funzionano a carbone.

In Ucraina sono (o sarebbe meglio dire “erano”) tre le principali società che gestiscono la generazione dell’energia termica: DTEK, Centrenergo e Donbasenergo. Quest’ultima aveva centrali nei territori attualmente occupati. Centrenergo, sino a poco tempo fa, ne possedeva tre: Vuhlehirs’k nel Donbas (occupata dai russi nel luglio 2022), Zmiivs’ka nella regione di Charkiv (distrutta a marzo 2023) e Trypyl’s’ka nella regione di Kyiv (distrutta da un attacco di missili e droni russi nell’aprile 2024).

A DTEK, invece – azienda che sin dall’inizio dell’invasione ha fornito alle forze armate ucraine e alle comunità locali carburante e carbone per i treni di evacuazione, nonché unità di medicinali e lotti di sistemi di comunicazione, generatori e droni – è rimasto il 10%, il restante 90% è andato distrutto.

L’8 maggio 2024, infatti, la Russia ha condotto l’ennesimo massiccio attacco aereo sul territorio dell’Ucraina, colpendo strategicamente diversi impianti di produzione e trasmissione di energia elettrica nelle regioni di Poltava, Kirovohrad, Zaporižžja, L’viv, Ivano-Frankivs’k e Vinnycja.

Non da ultimo, il massiccio attacco della mattina dell’8 luglio (che ha colpito duramente Kyiv, in particolare l’ospedale pediatrico Okhmatdyt, assieme ad altre strutture ed edifici nelle città di Dnipro, Kryvyj Rih, Slov’’jans’k, Pokrovs’k e Kramators’k) ha provocato la distruzione di tre trasformatori di energia nella capitale.

Una campagna di attacchi mirati

“Putin ha distrutto l’80% della produzione termica dell’Ucraina e un terzo di quella idroelettrica. E il suo terrore non si limita a questo, purtroppo. Ma dobbiamo avviare la ripresa energetica”. Sono queste le parole pronunciate dal presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj alla Ukraine Recovery Conference dello scorso inizio giugno e che confermano i dati condivisi da Volpe.

L’amministratore delegato di DTEK Maksym Tymčenko ha fatto sapere che la compagnia ha perso il 90% della propria capacità produttiva e dall’inizio dell’invasione le sue centrali hanno subito 180 attacchi missilistici (che hanno causato, tra l’altro, 51 feriti e 3 morti fra i dipendenti).

Le forze russe sembrano essere in grado di sfruttare le carenze di difesa aerea, causate dalla mancanza di sistemi antimissili forniti dall’Occidente . Sottolinea Emanuele Volpe: “I Patriot, i Samp-t e gli altri sistemi di difesa adesso non sono tanti, e quelli che abbiamo sono giustamente posizionati alle porte delle grandi città. Ma questi sistemi antimissili servirebbero anche nei pressi delle centrali, una cosa che non è praticabile oggi perché le strutture sono tante, tutte sparse e distribuite sul territorio nazionale”.

La strategia messa in campo dall’esercito di Putin non rappresenta una novità di questi ultimi mesi. Già nell’autunno del 2022, con la nomina di Sergej Surovikin a comandante delle truppe russe (figura che si era già distinta nel contesto della guerra siriana per operazioni simili), il Cremlino aveva lanciato una campagna di bombardamenti che andava a colpire infrastrutture energetiche. La distruzione della diga di Karačun, nei pressi Kryvyj Rih, segnava l’inizio di questa fase della guerra.

“Rispetto all’autunno-inverno di due anni fa sembra che il targeting russo sia migliorato”, commenta per OBCT l’analista militare del blog Takt Valerio Peverelli. “Ora i missili lanciati per ogni attacco sono quantitativamente meno, ma vengono concentrati su una lista più ridotta di bersagli che, se prima includeva anche altri obiettivi militari e industriali (porti, granai, ecc.), ora pare primariamente mirata alle infrastrutture energetiche. Inoltre, sembra migliorata anche la capacità di controllo e monitoraggio, grazie a droni da ricognizione, foto satellitari (anche commerciali) e spionaggio, spesso artigianale, ma comunque efficace”.

A conferma di quanto accennava Volpe, pare che al momento per le difese sia molto complicato proteggere al 100% le proprie infrastrutture. Prosegue Peverelli: “Anche se è ripresa la fornitura di armi e munizioni occidentali, questi rinforzi non stanno facendo crescere le capacità di difesa totali, né dal punto di vista della superficie di territorio coperto, né per quanto riguarda la quantità di batterie missilistiche, incrementata solo marginalmente. Purtroppo, ogni centrale distrutta riduce notevolmente le capacità residue dell’Ucraina, sia per la produzione interna di energia, sia per l’esportazione, voce che rappresentava una delle principali fonti di valuta pregiata prima della guerra”.

L’allacciamento europeo e il futuro dell’energia ucraina

Fra le conseguenze della guerra e degli attacchi mirati sulle infrastrutture, ci sono infatti un riallineamento pressoché totale del mercato energetico del paese e la trasformazione progressiva dell’Ucraina da esportatrice a importatrice di elettricità.

L’invasione russa su larga scala del 24 febbraio 2022 è iniziata esattamente quattro ore dopo che il sistema energetico ucraino è stato disconnesso dai sistemi elettrici di Russia e Bielorussia. L’attacco mirato su Kyiv avrebbe dovuto quindi mettere in ginocchio la capitale ucraina e l’intero paese causando un blackout totale. Il collasso, tuttavia, non è avvenuto e l’Ucraina ha dato subito prova della propria resistenza anche in questo campo, sorprendendo la stessa Europa.

In quella data fatidica il sistema energetico ucraino avrebbe dovuto entrare in una modalità di funzionamento isolata (“island mode”) di almeno sei mesi in preparazione della futura sincronizzazione con il sistema energetico unificato europeo (ENTSO-E ). Un test necessario per capire quanto l’Ucraina sarebbe stata in grado di generare energia per soddisfare i propri fabbisogni.

Invece, l’isolamento è durato solo tre settimane e, il 16 marzo, con un anno di anticipo rispetto al previsto, gli ucraini si sono allacciati alla rete europea (avviando anche un programma di liberalizzazioni e di riforme tese a contrastare la corruzione nel settore).

Tuttavia, l’amministratore delegato di Ukrenergo Volodymyr Kudryc’kyj ha dichiarato di recente che “anche in estate, quando il consumo di energia è inferiore del 40-45% rispetto al periodo invernale, abbiamo un deficit di energia che non può essere coperto dalle importazioni di elettricità provenienti dall’Europa”, aggiungendo che alcuni paesi UE stanno trasferendo 1,7 gigawatt di energia all’Ucraina per aiutare a far fronte a tale deficit.

L’energia è un’equazione matematica: la generazione deve essere uguale al consumo, quindi se si arriva ad avere troppo consumo e poca generazione il sistema può collassare. È quello che è successo l’anno scorso: si è spenta tutta l’Ucraina. E una volta che si spegne tutto un sistema energetico non è semplice poi da riavviare.

Come ci spiega Volpe, “per riparare una centrale termica ci vogliono anni di lavoro, quindi ora possiamo contare sulla generazione nucleare o importare dall’Europa forse altri 2,5 gigawatt. Il problema è che, tirando le somme, ai 18 gigawatt di cui l’Ucraina avrebbe bisogno, non ci si arriva. All’inverno mancano pochi mesi e, forse, pensare di andare a trascorrerlo in Europa non è una cattiva idea perché i blackout attuali, programmati e prestabiliti appositamente, sono solo la punta dell’iceberg di quello che ci aspetta durante la stagione fredda”.

Sempre nel corso della Ukraine Recovery Conference di inizio giugno, Zelensky si è mostrato fiducioso nella possibilità di ricostruire e riformare la rete infrastrutturale del paese. L’Ucraina, ha detto il presidente, ha tutte le “basi naturali” per un sistema moderno e all’avanguardia, che dovrà essere realizzato attraverso prestiti e investimenti. Intanto, però, regnano incertezza, rabbia e preoccupazione.

Se la corrente elettrica non manca per alimentare infrastrutture e impianti critici (scuole, ospedali, ambasciate, ministeri, ecc.), non si può però dire lo stesso per negozi, ristoranti o abitazioni private, che subiscono interruzioni notevoli nell’arco delle 24 ore. La soluzione è dotarsi di generatori più o meno potenti a seconda delle possibilità, il cui inquinamento (anche acustico) provoca però non pochi danni ambientali che si ripercuoteranno anche in futuro. Nelle aree rurali si sopperisce invece con carbone e legna.

È uno degli ennesimi “fronti aperti” di questa guerra che, come purtroppo accade spesso nei conflitti, coinvolge sempre più la popolazione civile e i suoi mezzi di sussistenza.