Le sanzioni approfondiscono oggi la distanza tra Europa e Russia. Ma l'Ucraina potrebbe diventare camera di compensazione tra gli interessi europei e quelli di Mosca
La crisi ucraina, cominciata con le proteste di piazza Indipendenza nel novembre 2013, si è presto trasformata in un conflitto internazionale a seguito dell’invasione russa della Crimea e della successiva guerra nel Donbass. Tra i molti elementi che hanno prodotto la crisi ucraina c’è anche quello della concorrenza tra due grandi progetti di integrazione economica regionale rappresentati dall’Unione Europea, da un lato, e dall’Unione Eurasiatica – cioè dalla Russia – dall’altro. Un muro, intangibile ma materiale, rappresentato dalle sanzioni, approfondisce oggi la distanza tra Europa e Russia.
Un muro che da molte parti si vorrebbe abbattere, cercando un accomodamento con il Cremlino, al fine di riallacciare relazioni economiche strategiche, cogliendo l’opportunità offerta dall’uscita dall’UE della Gran Bretagna, assai rigida nei confronti di Mosca. Tuttavia gli affari tra Russia, Ucraina ed Europa non sono mai davvero cessati. Il muro delle sanzioni è assai poroso e la nuova condizione sancita dagli accordi di Minsk, che hanno tentato di congelare una guerra che gli esperti hanno voluto chiamare “ibrida”, ha prodotto una pace non meno ibrida. Così, guerra o non guerra, i commerci e le relazioni economiche proseguono, spesso in modo informale e poco trasparente.
La situazione in Crimea
La legge 1636/VII, promulgata dal parlamento di Kiev, è entrata in vigore nel settembre 2014, sei mesi dopo l’invasione della Crimea, e sancisce un nuovo status per la penisola, quello di zona off-shore, che consente alle aziende ucraine di operare nella regione senza dover pagare tasse sui loro profitti. Una misura destinata a mantenere e consolidare gli interessi di Kiev in Crimea che ha ricevuto indiretto supporto dalla Duma russa la quale ha riconosciuto la Crimea come “area di libero commercio”.
In questo modo le aziende ucraine registrate secondo le norme del diritto russo possono godere di agevolazioni fiscali, senza imposte sui profitti e con dazi ridotti per le merci che entrano in Crimea – anche dall’Ucraina. Le stesse aziende possono inoltre esportare liberamente verso l’Ucraina, la Russia e gli altri paesi dell’Unione Eurasiatica. Kiev e Mosca – malgrado la situazione di conflitto – hanno fin da subito ripreso le reciproche relazioni commerciali facendo della Crimea una sorta di camera di compensazione. E questo malgrado i proclami del presidente Vladimir Putin, che ha sospeso l’Ucraina dal mercato comune della CSI nel momento in cui entrava in vigore l’accordo di libero scambio tra Kiev e Bruxelles. Tuttavia Kiev commercia ancora con la CSI, tramite la Crimea, godendo dei suddetti vantaggi fiscali. Anche la Russia commercia con l’UE malgrado le sanzioni poiché le merci provenienti dalla Crimea possono entrare in territorio ucraino e da qui all’Europa se Kiev ne garantisce la provenienza legale o l’acquisto da parte di aziende ucraine che poi le rivendono in Europa.
La situazione in Donbass
La guerra nel Donbass ha aperto l’Ucraina orientale a un lungo periodo di instabilità economica e commerci informali, traffici e contrabbando che, sul medio termine, hanno cominciato a nuocere alla stessa Russia la quale, dopo la tregua del settembre 2014, e la stesura del Protocollo di Minsk, è entrata direttamente nell’amministrazione delle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk, rimuovendo i leader troppo inclini alla guerra e cominciando a rafforzare le due entità.
Un compito che il Cremlino ha affidato a Sergey Nazarov, viceministro dello Sviluppo economico, che nell’ottobre 2015 ha organizzato un summit sul futuro del Donbass invitando i rappresentanti delle grandi aziende di stato russe, i leader dei separatisti e alcuni importanti uomini d’affari ucraini. Questi ultimi appartengono all’establishment ucraino, alcuni collaborano con il presidente Petro Poroshenko o con le istituzioni internazionali. Si tratta perlopiù di esponenti del clan di Donetsk che raccoglie quegli oligarchi che, fedeli a Yanukovich, hanno dovuto ridefinire le proprie strategie dopo i fatti di Maidan.
Tra gli oligarchi chiamati da Nazarov c’erano Rinat Achmetov, Dmitry Firtash e Viktor Pinchuk: padrone dell’acciaio (e del Donbass) il primo; esponente del clan del gas, già arrestato a Vienna, con un passato vicino alla mafia russa il secondo; genero di Leonid Kuchma, oligarca “pro-europeo” il terzo. Non a caso i tre sono parte di una “troika informale”, come la definì Pierluigi Mennitti su Il Foglio, chiamata a gestire i soldi per la ricostruzione stanziati dal FMI. Costoro rappresentano una sorta di cinghia di trasmissione all’interno del paese, legando gli interessi “orientali” (del Donbass, ma anche della Russia) con quelli “occidentali” (di Kiev, ma anche dell’Europa).
Più della diplomazia, può il denaro?
Da allora gli incontri tra Nazarov e gli oligarchi ucraini si sarebbero susseguiti portando Mosca e Kiev ad alcuni accordi, come la fornitura di energia elettrica a prezzi calmierati da parte di Kiev alla Crimea (accordo poi saltato insieme ai tralicci dell’alta tensione fatti esplodere il 20 novembre 2015 da attivisti tatari, forse appoggiati da Kiev, lasciando al buio la penisola per un intero inverno); o come la ripresa delle attività minerarie delle società di Achmetov, ma registrando come russi il carbone e l’antracite estratti nel Donbass. Attualmente Kiev, sotto pressione del FMI, starebbe valutando di chiudere le costose miniere ancora sotto suo controllo, con il rischio di aumentare la propria dipendenza da Mosca.
Quello che sembra profilarsi dietro a questa “pace ibrida”, fatta di accordi indiretti e relazioni informali, è una progressiva, e nient’affatto lineare integrazione delle repubbliche separatiste del Donbass – e forse anche della Crimea – in una più ampia cornice di cooperazione economica regionale capace di inficiare ulteriori avvicinamenti all’UE da parte di Kiev, e fungere da trait d’union tra gli interessi russi e quelli europei. L’Ucraina potrebbe così diventare una sorta di area di incontro tra le economie russa ed europea. Un’ipotesi che a Kiev non piace: il timore è infatti quello di vedersi sacrificati sull’altare dell’altrui interesse economico, facendo passare in secondo piano l’azione illegale di Mosca in Crimea e nel Donbass.