Anche quest'anno nella prima quindicina di luglio il paesino di 29 abitanti, senza bar, negozi e mezzi pubblici, arroccato sui monti italo-sloveni del Friuli Venezia Giulia, è diventato un crocevia culturale e musicale, con la sua 17.ma edizione del festival non-festival 'Stazione di Topolò'
Un vecchio muro dipinto di bianco e quattro panche da birreria disposte all'aperto sono il cinema di Topolò: nelle serate di luglio, questo cortile nascosto si trasforma in sala da proiezione e magicamente suoni, immagini e voci invadono quello che all'apparenza sembra un silenzioso borgo di confine dimenticato, ma che a metà estate diventa punto d'incontro internazionale, concentrando talenti e ispirando creatività.
La frazione di Topolò (nel comune di Grimacco) si trova nell'estrema parte orientale della provincia di Udine, a poca distanza dal confine con la Slovenia, e fa parte della regione conosciuta storicamente come Slavia Friulana. Il suo nome è Topolovo in sloveno, Topoluove in beneciano -il dialetto sloveno locale- e Topolove nella forma di compromesso adottata per la segnaletica stradale.
Isolato, in montagna, a poche centinaia di metri da un confine oggi leggero, ma fino a ieri irrespirabile -quello italo-jugoslavo, la barriera tra Est e Ovest, la frontiera controllata per decenni da uomini in armi-, Topolò era collegato con il fondovalle solo con sentieri e mulattiere fino al 1953, quando venne inaugurata l'attuale strada comunale che lo mise in comunicazione con il capoluogo di Clodig e quindi con la provinciale 54 che unisce Cividale a Udine.
Quindici giorni di spettacoli, arte, eventi e poesia
Tuttora senza bar, negozi o mezzi pubblici, sembra essere il simbolo del disagio della montagna, ma questo luogo non-luogo offre dal 1994 il festival non-festival "Stazione Topolò", così che per le prime due settimane di luglio diventa un piccolo centro del mondo, dove artisti e ricercatori di diverse arti, spesso di area sperimentale, si incontrano e si mettono in ascolto per creare un evento irripetibile.
Tutto cominciò quando l'architetto Renzo Rucli nei primi anni Novanta intravide in questo borgo arrampicato su di un ripido pendio tra i monti Svet Martin e Kolovrat, a 580 metri sul livello del mare, un luogo paradossalmente ideale per l'espressione artistica, la comunicazione e l'ospitalità.
"Postaja Topolove" comincia ogni anno a partire dalla Senjam, la festa folkloristica del paese, che celebra il patrono locale San Michele Arcangelo, e attira per due settimane artisti di ogni parte del mondo per proporre senza compenso eventi, ai quali il pubblico assiste gratuitamente. Gli artisti non vengono convocati ma mandano le loro proposte ai curatori, grazie a un tam tam sotterraneo che si è fatto negli anni sempre più vasto.
Invisibile ieri, surreale oggi, Topolò è una metafora, un microcosmo, una polis cosmopolita che riunisce in sé virtualmente tutti i luoghi possibili fisici e metafisici, uno spazio che, non più limitato da nessun confine, spazia a sua volta apertamente come un binocolo puntato a 360 gradi sul mondo.
Un'isola di creatività dove "finiva" l'Occidente
Anche se anagraficamente registra soltanto 29 abitanti, Topolò è sede di quattro ambasciate, un aeroporto per i soli arrivi, un ufficio postale per Stati di coscienza (con tanto di francobolli e timbri), un ostello per suoni diseredati, resti di antiche terme e perfino di fiorenti comunità askenazite dissoltesi altrove in Europa -accolse infatti ben tre sinagoghe e una scuola talmudica, dove insegnava il venerato maestro Kelmann, che forniva rabbini all'intero mondo esteuropeo.
E comprende, inoltre, una sala d’aspetto per le veglie di poeti e narratori, una biblioteca che colleziona solo i libri del cuore, un Istituto di Topologia (che non è solo la scienza di Topolò), un dipartimento di Paesologia facente capo ad un'Università, il quartier generale dell’Officina Globale della Salute, e un Istituto delle Acque. In più, apre permanentemente la Juliova Hiša, la casa per artisti e ricercatori che intendano operare in paese durante tutto l’arco dell’anno.
Nelle prime edizioni della "Postaja", quando Topolò, dopo un lungo torpore, cominciava a essere invaso da giovani punk, intellettuali alternativi e turisti hippies, i pochi topoluciani si ritiravano perplessi dietro le porte. Adesso invece tutto l'assurdo è normale, e gli artisti si mescolano agli abitanti e ai visitatori occasionali per lavorare, creare e divertirsi insieme.
Come spiega Moreno Miorelli, coordinatore dell'evento assieme a Donatella Ruttar: «È proprio l’aspetto del cantiere, dei lavori in corso, a fare di "Postaja Topolove" un non-festival Se per festival si intende l’insieme di una serie di spettacoli itineranti, già pronti, con eventi presentati in luoghi deputati, a orari ben definiti, con i protagonisti ospitati negli hotel, i palchi, il servizio d’ordine, i biglietti d’ingresso, i bambini preferibilmente a casa perché disturbano, il pubblico “sotto” e l’artista “sopra”, Topolò è un altro palcoscenico possibile. Alla Stazione è lo stesso pubblico a non sentirsi spettatore, ma coinvolto nei progetti, chiamato spesso ad aiutare, anche fisicamente, nella costruzione di quanto avverrà».
Gli orari del programma sono vagamente segnalati secondo le variazioni di luce (“al tramonto – prima del buio – nel tardo pomeriggio – nella notte”) oppure indicati come una serie di arrivi e partenze (“Prihod: 18.11 - Odhod: 18.28...”) da rispettare puntualmente o meno, a seconda che si voglia prendere il treno già sul binario o aspettare senza fretta quello successivo. Per quanto riguarda i luoghi poi, le performances vengono messe in cartellone con diciture quali “in diversi punti del paese”, non meglio specificate.
Si può così assistere a conversazioni come la seguente: «Scusi, sa dirci dov'è la Stazione? - Beh... un po' dappertutto!- E allora dove dobbiamo andare? - Lasciate la macchina e imboccate una qualsiasi delle stradine che vanno su in paese. - Sì, ma... - Qualche problema? - Il fatto è che... abbiamo l'arpa!», e a quel punto si vede un gruppo di strumentisti incamminarsi traballanti per le stradine lastricate in acciottolato sotto lo sguardo divertito di chi ha dato l'indicazione.
Al di là della linea immaginaria
Quasi morente fino a prima di essere riportato in vita dalla "Stazione", un evento confezionatogli su misura, Topolò è entrato in un processo reversibile di rinnovamento e ripopolamento, con stupore ed orgoglio dei topoluciani residenti e di quelli emigrati, che rientrano per trascorrere i fine settimana nelle case natie. Scoprono piacevolmente le vie un tempo abbandonate animarsi di facce nuove e di lingue diverse, non solo in occasione del festival, ma durante tutta l'estate e il resto dell'anno.
Molti infatti approfittano dell’opzione - sempre più richiesta- delle case vacanza, recentemente restaurate grazie a finanziamenti dell'Unione Europea a favore della realizzazione di un albergo diffuso.
Soggiornare a Topolò significa respirarne più a fondo l'aria di cambiamento e scoprirne -geograficamente e non- i dintorni, carichi di storia e sentimenti.
Magari percorrendo la tradizionale camminata transfrontaliera che da Topolò conduce al vicino paese sloveno di Livek (Luico). È organizzata dal Circolo Culturale Rečan e si snoda lungo un vecchio sentiero, per molti anni sbarrato dalla frontiera e che oggi è un percorso d'arte grazie ad undici installazioni, espressamente realizzate da artisti di diverse nazionalità, per incontrare la comunità della vicina Slovenia.
Prima dello smantellamento del confine la passeggiata era contraddistinta dal titolo "al di là della linea immaginaria/
pohod čez namišljeno črto" e per molti anni, dalla fine della Seconda guerra mondiale, è stato un sentiero off-limits, pattugliato sia da militari italiani che dai 'graniciari' jugoslavi che avevano caserma nel sovrastante borgo di Ravne.
Il sentiero è ricco di storie legate a quegli anni bui: storie di divieti e oscure paure ma anche storie tragiche, come quelle relative agli scontri a fuoco che nei primi anni '50 causarono vittime tra gli uomini in divisa. Oggi è un sentiero che mette in comunicazione due paesi amici.
Così come la passeggiata dedicata ad Antonio Neiwiller lungo la linea di confine: questo sentiero inizia dalla fine dell’asfalto sul territorio italiano, si inoltra nel bosco e arriva a un piccolo piazzale dove i trattori e le jeep possono solo fare manovra e ridiscendere. Da quel punto si può avanzare solo a piedi e, lasciandosi guidare dal rumore di un piccolo torrente si giunge in località Javorsca: alberi, cascate d’acqua, enormi massi e i segni dei confini.
Una croce sulla roccia, a forma di X, segnava, si dice, quello della Repubblica di Venezia e un palo su di un cippo marcava quello che è stato il più pesante di tutti: la cortina di ferro.