Da vent'anni si occupa di confini. Sia materiali che nella testa. E' la rivista goriziana Isonzo-Soča. Cultura, società e politica nella città divisa. Un'intervista
Una via pedonale, nel cuore della città, non lontano dalla Sinagoga. Vi convivono l'openspace di una nuova società di comunicazione e negozi che gli anni '60 non se li sono ancora scrollati di dosso. La redazione di Isonzo-Soča dà direttamente sulla strada, in ingresso gli ultimi numeri della rivista. Dario Stasi, il direttore, è in un angolo della stanza dietro al suo computer. Questa mattina c'è anche Carlo Michelutti, assieme a Stasi tra i fondatori della rivista.
Quando è nata Isonzo-Soča? E' cambiata nel corso degli anni la sua linea editoriale?
Stasi: Mi sento di dire che la nostra linea editoriale non è cambiata nel tempo. Quest'anno entriamo nel ventesimo anno di attività. La rivista è nata perché un gruppo di persone ha riflettuto, ha discusso, e si sono confrontate con la situazione di questa città che è molto particolare, dal punto di vista storico, dal punto di vista geografico e, direi, da quello esistenziale.
Nel '47 infatti, con il Trattato di pace, è stato deciso di tracciare la linea del confine proprio all'interno della parte nord-orientale di Gorizia. Per la seconda volta la Jugoslavia non riusciva a ottenere la città: dopo la Prima guerra mondiale c'era stata la richiesta da parte dei gruppi sloveni della città di far parte della Jugoslavia. Così è avvenuto anche dopo la Seconda guerra mondiale e la Jugoslavia, non vedendo ottemperate le sue richieste, ha deciso di costruire un'altra città, al di là del confine, a cui doveva far capo quel grande territorio che dal '47 in poi ha fatto parte della Jugoslavia titina.
Da una parte un territorio senza città, dall'altra una città senza territorio ...
Stasi: E' accaduto effettivamente questo. Gorizia ha perso il 90% del territorio della vecchia contea e della vecchia provincia. E' rimasta sul versante italiano, ma non aveva più il suo territorio, solo una parte della pianura. Sul versante sloveno è rimasto invece un territorio che non aveva più il suo capoluogo.
E' stata presa una decisione difficile, quella di costruire Nova Gorica che, tra l'altro, doveva "risplendere oltre il confine", come si diceva allora. Mostrare cioé che cos'era il socialismo. Sul tetto della stazione dei treni della Transalpina, in territorio sloveno, era stata collocata una stella rossa con la scritta - rivolta verso l'Italia - "Noi costruiamo il socialismo". Così erano quegli anni.
Adesso, dopo 60 anni vediamo il confine caduto, la Slovenia entrata in Europa, Nova Gorica, oltre il confine, che va avanti. Hanno infatti trovato, sia la città che il suo territorio, un proprio ruolo e una propria dimensione. Non è così per Gorizia perché il territorio non si inventa ex-novo, ed infatti Gorizia ha anche delle difficoltà nell'ambito della Regione, nei rapporti con Trieste e con Udine.
Gorizia, una città che sembra avere ancora difficoltà a riprendersi dai fatti drammatici che ha vissuto nel corso del '900 ...
Stasi: Gorizia a mio parere è la città che ha subito di più il trattato di pace del '47: ferita e divisa dal confine. Considerando tutto questo abbiamo pensato, vent'anni fa, che sarebbe stato utile ricominciare a mettere assieme i pezzi di questa città con quello che c'è di qua e di là del confine ritornando idealmente a quella che era la vecchia contea di Gorizia che per mille anni ha ruotato intorno al sistema feudale tedesco - fino al 1500 - e che dal 1500 in poi è stata direttamente collegata alla casa d'Asburgo.
Gorizia non è mai appartenuta all'Italia, sino al 1918. Nel corso del '900 poi, a differenza di altre città italiane, ha subito due grossi traumi. Quello della Prima guerra mondiale con l'avvento del fascismo e l'annessione di un territorio dove vivevano circa 400.000 sloveni e croati nei confronti dei quali è stata avviata una politica di oppressione. Poi la Seconda guerra mondiale, la nuova definizione del confine e le contraddizioni e tensioni che vi si coagularono attorno: mi riferisco all'esodo di istriani e dalmati e alle cosiddette foibe.
Vi furono anche molte famiglie slovene di Gorizia che decisero di trasferirsi nella nuova Jugoslavia?
Stasi: No, sono rimaste perché c'era una tradizione di appartenenza a questo territorio. Il discorso è complesso. C'era una tradizione di lealismo prima rispetto all'Impero asburgico, poi verso il territorio.
Certo, ci sono state persone che sceglievano, seguendo logiche ideologiche, di far parte di uno stato socialista. C'è stato il fenomeno dei cosiddetti monfalconesi, operai che volevano costruire il socialismo, 2-3 mila persone, un esodo alla rovescia. Occorre tener conto che quando si parla di monfalconesi ci si riferisce a tutta questa zona. Certo, soprattutto operai che lavoravano a Monfalcone ma anche di Cormons, Gradisca e Gorizia. Italiani, ma anche sloveni. Gli sloveni autoctoni che sono rimasti avevano tra l'altro una caratterizzazione di tipo cattolico per cui anche la scelta di restare in Italia aveva a volte connotati ideologici: non andare in uno stato ostile ai cattolici. La questione, ripeto, è comunque complessa e ancora aperta a discussione.
Questa situazione estremamente complessa di Gorizia, non ancora decantata completamente, presenta molti aspetti da discutere, studiare, evidenziare. E' in questo contesto che nasce questa rivista, come esigenza di chiarezza, documentazione, analisi. Siamo spinti dalla necessità di capire dove siamo e chi siamo. In questo nostro territorio non sono domande peregrine perché qui da secoli si incontrano culture diverse: la italiana, la slovena, la tedesca. La cultura latina, quella anglosassone e quella slava si incontrano qui. Quella slava e quella latina sono dirimpettaie, quella anglosassone rappresenta invece il passato.
Il vostro è un lavoro politico-culturale isolato o si inserisce in un contesto di fermento, dati i tempi cruciali per questa città?
Stasi: Abbiamo rappresentato per altri un momento di confronto e anche di emulazione. Per esempio per quanto riguarda l'uso della lingua slovena siamo stati noi - nella comunità italiana - i primi a spingere per un effettivo bilinguismo. Più di quindici anni fa, in Piazza Vittoria, una delle principali della città, abbiamo fatto erigere una lapide ai "Tolminotti", insorti contadini trucidati nel 1700, in quattro lingue. La prima in tutta la città. Dopo quella volta persino la segnaletica all'entrata della città riporta il nome di Gorizia in quattro lingue, ivi compresa cioé anche quella fiulana, qui molto diffusa. Per certi aspetti siamo stati gli antesignani di un nuovo modo di vedere Gorizia, lontano da schemi nazionalistici: qua italiani e di là sloveni
Un ruolo da antesignani che ritenete di avere tutt'ora?
Michelutti: Non è che la situazione di Gorizia si sia modificata di molto in questi anni. Certi convincimenti nella testa di buona parte dei goriziani sono ancora di chiusura. La nostra è una lotta quotidiana, di giorno in giorno, come la prima volta. Si continua a parlare di italianità minacciata, di rischio di slavizzazione ...
Eppure la caduta del confine con l'entrata della Slovenia in Schengen è un momento epocale per questo territorio ...
Stasi: Sono certamente fatti straordinari. Però a mio avviso vengono da fuori. E' l'Europa che ha compiuto questo miracolo, di unificare due stati, di andare contro corrente rispetto a secoli di nazionalismo che qui ha picchiato particolarmente duro. Abbiamo la stessa moneta, ed è sorprendente. Di là prima il c'era il dinaro, poi il tallero. E soprattutto c'era un sistema economico del tutto diverso. Vi era una divisione del mondo tra oriente e occidente, passava di qua, era la guerra fredda. Il fatto di attraversare ora il confine senza documenti è emozionante per tutti noi.
Michelutti: Qui in redazione abbiamo promosso una piccola mostra fotografica sul confine e tra le persone venute a visitarla traspariva l'angoscia, la sensazione soprattutto di paura e poi l'incredulità di quei tempi. Un'anziana ricordava di come, vedendo un soldato americano tracciare il confine nel '47, ritenesse fosse uno scherzo ... Gli anziani si ricordano ancora quei momenti e adesso raccontano di come sono ritornati a fare delle passeggiate anche dall'altra parte: "Stamattina ho fatto la strada del San Gabriele senza il posto di blocco e mi sono commossa".
Un confine che però non è ancora del tutto sparito ...
Stasi: Sicuramente non essendoci più nessun impedimento e poi non essendo più necessari i documenti la gente inizia ad attraversarlo più spesso. Ma c'è ancora strada da fare. Non è così semplice, non è che da un giorno all'altro togli le sbarre e togli tutte le resistenze anche psicologiche che resistono nelle teste della gente. Di questo poi si tratta, di confini in testa.
Dal punto di vista istituzionale le due città collaborano attivamente?
Prima c'era l'amministrazione di centro-sinistra e c'era un desiderio di stringere relazioni. Nel 2004 è stata tolta la rete alla Transalpina. Una novità importante. Poi sono stati promossi numerosi incontri ma, sotto sotto, abbiamo rilevato che c'era difficoltà a collaborare. Poi l'amministrazione di centro-sinistra è caduta, due anni fa ha vinto il centro-destra. Quest'ultimo si è trovato costretto a prendere atto della situazione, ma poco più di questo.
Comunque le difficoltà persistono, anche su questioni molto concrete. Un esempio paradigmatico è quello del Corno, fiumiciattolo che nasce in Slovenia per poi confluire, in territorio italiano, nell'Isonzo. E' praticamente la fognatura della città di Nova Gorica e di Gorizia. Sono decenni che esiste questo problema, una fogna a cielo aperto. Dal punto di vista ambientale è un orrore e non c'è un depuratore. Ora vi è l'obbligo di farlo entro il 2011, obbligo che arriva proprio dall'Europa.
In termini più generali ritengo che una delle difficoltà più grosse sia quella della lingua, della comunicazione. Perché impedisce le relazioni in particolare a quella parte della comunità italiana di Gorizia che non conosce lo sloveno e che non è vissuta, come noi, in un humus culturale favorevole alla conoscenza.
Michelutti: Un altro caso simbolico è quello delll'ospedale, quello vecchio di Gorizia è vicino al confine. A poche centinaia di metri, vi è un ospedale nuovo, quello di Nova Gorica. Dopo anni di discussioni, di commissioni - anche internazionali - non si è riusciti a mettere in piedi una collaborazione, anche minima. Non so perché, forse loro non si fidavano dell'interlocutore italiano o vogliono fare da soli.
I rapporti transfrontalieri non hanno portato a niente, è stata l'Europa che ci ha levato questo enorme peso. E adesso quest'apertura mette ad occhio nudo, una di fronte all'altra, queste due città. Prima c'era il confine e dall'altra parte come il deserto dei tartari, adesso la caduta del confine mette Gorizia in presa diretta con una realtà che viene avanti in modo rapidissimo dal punto di vista economico ma anche dal punto di vista culturale. E di qua, la vecchia Gorizia, è reticente e in fibrillazione. E' per questo che urlano alla slovenizzazione ma quest'ultima non è causata da complotti del centro-sinistra ma può svilupparsi, pacificamente, per la maggiore vitalità della realtà slovena.
Quale l'atteggiamento da parte dell'amministrazione di Nova Gorica?
Stasi: Loro sono più che disponibili a collaborare ma vi sono difficoltà causate anche da legislazioni e modelli amministrativi diversi. Loro comunque vanno avanti, sono in crescita. Noi ci arrabattiamo con vari obiettivi, sempre diversi, e che non raggiungiamo mai ...
A Gorizia iniziano ad arrivare investimenti sloveni?
Stasi: Senza dubbio, più investimenti loro di qua che viceversa. Hanno cominciato a comperare case ad esempio, proprio oggi "Il Piccolo" ne dà notizia. C'è anche l'università: un corso universitario di Nova Gorica ha aperto una propria sede a Gorizia.
Quale un luogo particolarmente emblematico per la storia e la memoria di questo territorio?
Stasi: Sicuramente la Transalpina, per il significato che questa linea ferroviaria ha avuto quando è stata pensata e realizzata. E' stata inaugurata nel 1906 dal principe ereditario, lo stesso che dopo qualche anno è stato assassinato a Sarajevo. Linea che doveva servire al territorio goriziano e alla sua agricoltura d'eccellenza per raggiungere altre località dell'Impero. Vini e frutta pregiata, primizie che partivano per Vienna, Budapest e per il resto d'Europa. Questo collegamento ferroviario è durato una decina d'anni, perché poi è scoppiata la Prima guerra mondiale e infine, nel '47, la ferrovia è rimasta totalmente in Jugoslavia. E' un luogo della memoria per molti aspetti, l'architettura austroungarica, la stella rossa che era installata sul tetto della stazione. Ancora oggi un luogo molto simbolico, rappresenta fatti storici ancora sospesi mentre la città boccheggia, non sa dove andare.
Chi legge Isonzo-Soča?
Stasi: E' un pubblico che ha interessi culturali perché altrimenti non si compera una rivista come la nostra. Ma poi è interessato anche alla politica, al territorio, c'è un target ormai consolidato. La rivista è un prodotto di un certo pregio, questo lo dico perché ce lo dicono quelli che vengono da fuori, perché anche noi non siamo profeti in patria.
La rivista è venduta soprattutto a Gorizia ma anche in tutta la zona del confine, sia in Italia che in Slovenia. I redattori sono italiani e sloveni. Lavoriamo soprattutto con la minoranza slovena di Gorizia e, purtroppo, anche noi abbiamo più difficoltà a comunicare con la realtà di Nova Gorica. Ripeto, un forte limite è rappresentato dalla lingua e poi da tutti questi anni di separazione. Da parte nostra, italiana, non si può continuare a parlare con le persone e dire "Non so lo sloveno, mi dovete scusare", anche perché ormai da parte loro, in particolare le nuove generazioni, conoscono poco l'italiano.