Domani a Dubrovnik si apre una due giorni dedicata alla Macroregione adriatico-ionica, in un momento di grave crisi delle istituzioni europee. Un'intervista a Patrizio Bianchi, assessore dell'Emilia-Romagna al coordinamento delle politiche europee allo sviluppo
Il 12 e 13 maggio si tiene a Dubrovnik il primo Forum della Strategia Europea per la Macroregione adriatico-ionica (EUSAIR). Organizzato dalla Commissione europea e dal governo della Croazia, l’evento ha l’obiettivo di fare il punto sull’avanzamento della Macroregione lanciata nell’ottobre 2014 e di definirne il percorso futuro.
Patrizio Bianchi, assessore delle regione Emilia-Romagna al coordinamento delle politiche europee allo sviluppo, scuola, formazione professionale, università, ricerca e lavoro, interverrà nella prima sessione plenaria del Forum, focalizzata sulle sfide economiche e sociali che investono l’area della macro-regione. Lo abbiamo intervistato.
La Macroregione adriatico-ionica è stata presentata nel 2014. Cosa è cambiato da allora?
Ci sono stati cambiamenti sostanziali. Due anni fa si pensava ci potesse essere una ripresa economica imminente a livello mondiale mentre adesso questa ripresa sembra molto più limitata. E' vero però che ad esempio la Cina sta investendo molto sulle grandi infrastrutture, sia ferroviarie sia marittime, che la portano verso l'Europa. E queste puntano ad entrare in Europa proprio dalla sua porta ad est. Quindi, anche con il peggioramento della situazione economica, vi è una maggiore rilevanza strategica del quadrante sud-est dell'Europa.
Contestualmente l'area adriatico-ionica è anche l'area europea sottoposta a maggiore pressione politica dalla crisi dei rifugiati. Quindi sia dal punto di vista economico che da un punto di vista politico la rilevanza strategica dell'area è aumentata ancor più.
Sia gli stati che le istituzioni europee, poco alla volta, si stanno rendendo conto di questo. Il fatto che si ponga il problema dei rifugiati è un modo per sottolinearlo anche se a mio avviso purtroppo si sottolinea solo l'aspetto dell'emergenza e non quello di un riassetto globale.
In un contesto come l’attuale che vede le istituzioni europee sotto grande pressione, quale potrebbe essere il valore aggiunto della Macroregione adriatico-ionica?
La Macroregione adriatico-ionica si trova, che piaccia o non piaccia, ad essere il fronte del porto dell'Europa, sia perché diventa luogo in cui si evidenziano punti di tensione a livello globale ma anche perché strategica per gli sviluppi futuri.
I Balcani sono divenuti il luogo dove si può dimostrare la capacità dell'Europa di essere unita.
Probabilmente la Macroregione ha ancora una struttura di governance non sufficientemente tarata su questo ruolo strategico del territorio. Ci sono ancora problemi, con paesi che fanno parte dell'Unione europea ma, diciamolo pure, in condizione marginale e paesi che devono ancora entrare nell'Unione.
Occorrerà rafforzare di molto la sua governance in modo che possa apparire effettivamente nel suo insieme come una Macroregione. La Macroregione infatti o rimane una definizione di carattere puramente geografico o diviene un soggetto politico che, all'interno dell'Europa, deve avere più voce di quanta ne abbia oggi.
Dal programma del Forum si comprende chiaramente come vi sia l’intenzione di mettere in relazione realtà e portatori di interesse diversi: istituzioni locali, nazionali ed europee; aziende; società civile. Ma come garantire un dialogo effettivo tra soggetti così diversi?
Il tema di fondo di questo incontro di Dubrovnik è il concetto di resilienza. Concetto che mi sembra stia emergendo molto a livello europeo. Forse non sta sostituendo ma certo sta integrando quello che era stato il mantra negli anni precedenti e cioè quello dello smart.
L'Europa non ha colto che qui si sta giocando la partita che la mette in discussione nella sua interezza
Non basta più infatti essere smart, bisogna anche essere capaci di resistere alle tensioni e di reagire in termini positivi. Si riesce a reagire in termini positivi se, dietro alle istituzioni, vi è una società civile sufficientemente flessibile ma anche integrata, che è in grado di non essere devastata da shock esterni.
In Emilia-Romagna abbiamo vissuto l'esperienza terribile del terremoto del 2012. Avevamo paura che il terremoto mettesse in ginocchio la società. Il problema infatti non è tanto che cascano i muri ma che quando cascano, la società si spacca. Per evitarlo abbiamo favorito il lavoro tra diversi attori sociali, diventa necessario per rendere poi effettive le azioni delle istituzioni.
Altrimenti abbiamo istituzioni che tra di loro fanno accordi o trattati ma tutto questo non si trasforma poi in dinamica sociale.
Come favorire questo dialogo? Io credo che applicare il metodo europeo, cioè quello di proporre programmi comuni sui grandi temi che comprendono la cultura, l'ambiente, le comunicazioni ma anche l'organizzazione dei servizi alle persone sia un modo per indurre la gente ad abituarsi a lavorare assieme, e il fatto che la società operi assieme rende più forti le istituzioni.
Si è da poco concluso il primo bando Adrion, linea di finanziamento specifica per la Macroregione adriatico-ionica. Come valuta la capacità dei territori coinvolti a recepire le opportunità finanziarie messe in campo?
Abbiamo avuto una risposta incoraggiante. Abbiamo ricevuto 376 domande, con 3990 partner coinvolti. Adrion ha messo in movimento quindi migliaia di soggetti e li ha fatti lavorare assieme.
Su questo primo bando do un giudizio molto positivo perché significa che tutto sommato è bastato fare una chiamata e sono arrivate risposte in tempi brevi, da università, associazioni. Al di là di quanto noi stessi potessimo immaginare. Quindi i punti della rete esistono, adesso serve mettersi in moto per renderla effettivamente una rete.
Lei è un amministratore locale. Quanto le amministrazioni locali italiane si interessano d’Europa? E quanto dovrebbero farlo?
Non mi considero un amministratore locale. Il concetto di locale andava di pari passo al concetto di nazionale, ma solo quando il livello nazionale era un governo capace di controllare il territorio e regolare tutto. Oggi invece tutti i governi sono locali, anche quello degli Stati Uniti, perché anche le sue decisioni dipendono sempre da quelle di altri.
Come Regione Emilia-Romagna abbiamo ritenuto che il nostro livello regionale dovesse essere direttamente connesso al livello europeo e quindi da noi c'è sempre stata una grandissima attenzione per l'Europa, non solo perché vi erano risorse che arrivavano da Bruxelles ma anche perché abbiamo sempre ritenuto che rispetto ai limiti che spesso i governi nazionali hanno espresso di fronte alla globalizzazione l'unico elemento efficace potesse essere un collegamento diretto tra i territori e la dimensione europea.
Detto questo è indubbio che vi siano capacità e attenzioni diverse in seno alle varie amministrazioni regionali e comunali rispetto all'Europa. E' vero però anche che quest'Europa viene sviluppata tutta in termini verticistici e giocata esclusivamente sui livelli di rapporti tra governi nazionali. A me non piace questo. O l'Europa ritrova un legame coi territori o è chiaro che – tornando al nostro caso - la disillusione di tutte e due le sponde dell'Adriatico non può che essere alta.
Dopo anni in cui vi ha dominato l'euroentusiasmo percepisce ora disillusione lungo la sponda est dell'Adriatico?
Ho l'impressione che l'aumentato carattere strategico dell'area adriatica-ionica non sia stato colto in tutta la sua evidenza. Il tentativo di derubricare troppo spesso le vicende in termini di emergenze è uno dei limiti di quest'Europa.
L'Europa non ha colto che qui si sta giocando la partita che la mette in discussione nella sua interezza. Non mi sembra l'abbiano colto appieno né le burocrazie di Bruxelles né il livello politico europeo.
Da parte nostra, anche con la gestione diretta di Adrion, ci siamo messi a disposizione di quest'idea di Euroregione ma se quest'ultima non si consolida, se l'area non si consolida, se l'area non viene aiutata a consolidarsi, i rischi sono alti per tutti.