La prima piattaforma di teatro indipendente ucraino che unisce una rete di artisti per sviluppare una scena artistica alternativa. A colloquio con la sua direttrice artistica
(Pubblicato originariamente dal portale Altrevelocità)
Yaroslava Kravchenko è la direttrice artistica del progetto Teatro selvaggio (Дикий Театр ), prima “piattaforma” del teatro indipendente ucraino. Dopo avere lavorato per un decennio nel circuito statale (Youth Theater e teatro Ivan Franko a Kiev) ha deciso di fondare assieme ad altri professionisti una rete di spazi, spettacoli e artisti diversa da quella ufficiale, che favorisca lo sviluppo di pratiche sceniche alternative. Nato da poco più di un anno, Teatro selvaggio ha già all'attivo sette produzioni, spesso all'incrocio fra diverse discipline artistiche (uno spettacolo-concerto sui Joy Division, un “thriller teatrale al circo”...). Abbiamo incontrato Yaroslava a Kiev, facendoci raccontare la sua idea di teatro e chiedendole una “visione d'insieme” della scena ucraina anche alla luce delle proteste di EuroMaidan e dei conflitti in Crimea e Donbass.
Ci puoi raccontare come è nato Teatro Selvaggio e il motivo per cui avete sentito l'esigenza di un progetto simile?
Teatro selvaggio è nato in maniera abbastanza spontanea e naturale. Nella mia testa si trattava dell'esigenza di un teatro diverso da quello tradizionale, che parlasse un linguaggio vivo, attuale e connesso con la quotidianità delle persone. Soprattutto, di un teatro che tentasse di provocare un cambiamento forte nello spettatore, spingendo quest'ultimo verso i confini delle proprie emozioni. Credo sia l'ambizione basilare di qualsiasi spettacolo ben fatto. Ma in Ucraina è difficile assistere a performance di questo tipo: in generale c'è molta paura di mettere in scena proposte nuove e provocatorie. I teatri statali non vogliono rischiare di perdere pubblico e si mantengono su produzioni “medie” che fanno sentire a proprio agio: commedie, classici...
Concretamente, tutto è iniziato nell'estate del 2015 quando la giovane regista Ksenja Skakyn mi ha contattato proponendomi di realizzare uno spettacolo-concerto basato sulla vita e sull'opera di Ian Curtis. Mi è subito sembrata un'idea interessante e totalmente inedita per la scena ucraina. Abbiamo rappresentato lo spettacolo per la prima volta negli spazi post-industriali di Plaztforma , facendo in modo che il pubblico potesse partecipare come meglio riteneva: alcuni ballavano durante l'intera performance, altri piangevano commossi... Si era creata un'atmosfera nuova e stimolante, che abbiamo cercato di replicare nelle nostre proposte successive (Noi 2.0 di Maksim Golenko, Buty znyzu di Yulia Moroz...).
Diresti dunque che il pubblico che frequenta i vostri spettacoli è lo stesso dei teatri statali, oppure si tratta di una platea completamente diversa?
Ho lavorato dieci anni per teatri statali e ho avuto modo di osservare da vicino il pubblico che li frequenta abitualmente. Ora, dopo circa nove mesi del Teatro selvaggio, posso dire che si tratta di un genere di spettatori assolutamente differente e, in qualche modo, “speciale”. È una comunità che si allarga e si rinforza allo stesso tempo: di solito, la metà degli spettatori che viene alle nostre perfomance è lì per la prima volta, mentre l'altra metà segue praticamente tutti gli spettacoli.
Credo che ci troviamo in un momento in cui le realtà indipendenti del teatro ucraino debbano provare a unirsi, è questo il senso del nostro progetto. Generalmente, è molto difficile per i giovani del nostro paese riuscire a entrare nei circuiti ufficiali. E' appena stata approvata una riforma che in teoria dovrebbe offrire maggiori opportunità ai nuovi artisti e alle nuove compagnie ma si tratta in sostanza di un'operazione di facciata. Conosco molti validi professionisti che hanno presentato domanda di finanziamento ai concorsi ma, per un motivo o per l'altro, nella maggior parte dei casi sono state riconfermate persone che già fanno parte dei teatri statali. Il sistema non vuole cambiare.
Ecco perché molti teatri indipendenti e associazioni culturali si stanno “coalizzando”: è il momento di mostrare al governo che in qualche modo “siamo qua”, produciamo, attiriamo spettatori e alcuni di noi girano anche festival europei.
Va detto che non è sempre facile o automatico: in molti casi persiste anche all'interno del teatro indipendente una mentalità chiusa e individualista, per cui spesso nei progetti si fa maggiormente caso al proprio ritorno personale che ai benefici per la collettività.
Come si evoluto il panorama del teatro indipendente ucraino dall'indipendenza a oggi? A che punto siamo, secondo la tua prospettiva?
Dal punto di vista storico il teatro ucraino è stato certamente segnato dalla figura di Les Kurbas , che all'inizio del Novecento ha riformato l'intero sistema. Successivamente, il regime sovietico ha creato un nuovo tipo di teatro che potesse servire anche fini propagandistici. Dopo l'indipendenza, infine, si è generato un vasto movimento di artisti teatrali non legati al governo che però non è riuscito a incidere a sufficienza sul contesto generale. Molti di quegli artisti sono infatti emigrati all'estero per continuare a produrre, chi in Europa dell'ovest, chi in Canada o altrove. Ora direi che siamo sul crinale di un possibile cambiamento: come accennavo in precedenza, i giovani vogliono restare e fare teatro qui in Ucraina. Molti degli stessi registi o attori che avevano lasciato il paese negli anni '90 stanno tornando per creare qualcosa di nuovo, anche se spesso scontano il fatto di non essere più stati a contatto con il nostro contesto per lungo tempo.
Sul versante estetico, possiamo osservare una certa predominanza di artisti che lavorano col testo. C'è infatti poco teatro di movimento o basato sull'aspetto performativo (con l'eccezione di Vlad Troitsky e pochi altri). Ma – elemento certamente positivo – il teatro indipendente sta producendo molte drammaturgie originali o utilizza autori locali, quando invece il circuito statale è “fossilizzato” sui testi classici (Shakespeare, Checov...). Inoltre, è presente anche una forte tendenza verso il teatro documentario, legato alla quotidianità delle persone.
In tale contesto, come gli eventi del Maidan e i conflitti che lo hanno seguito stanno influenzando la scena teatrale?
Il Maidan non ha cambiato il teatro, ha cambiato le persone che si occupano di teatro. Durante i mesi in cui è scoppiato il movimento di protesta artisti della scena indipendente e di quella statale sono scesi in piazza insieme, sognando anche un sistema teatrale diverso e più inclusivo. Ma sono passati ormai tre anni e c'è stato un certo “riflusso”: chi si trova nel circuito ufficiale è ora pervaso da un'illusione di stabilità e non vuole in alcuna maniera cedere la propria parte...
Allo stesso modo, esiste una tendenza da parte del pubblico a voler “dimenticare” gli eventi che ci circondano o comunque a non volerne parlare a teatro. D'altronde, in televisione il flusso di notizie e approfondimenti su Crimea e Donbass è costante e la gente inizia a provare una sensazione di “stanchezza” nei confronti di tali argomenti. Tuttavia esistono molti spettacoli nella scena indipendente che comunque toccano le tematiche del Maidan e del conflitto, facendolo però in maniera indiretta. Ecco, in questi casi il pubblico è profondamente coinvolto e si ritrova a riflettere sulle conseguenze degli avvenimenti recenti.
Credo che la domanda principale lasciata dal Maidan e dai fatti della Crimea e Donbass sia relativa al “chi siamo”: chi siamo quando camminiamo per strada, andiamo al bar o sulla metro, mentre svolgiamo il nostro lavoro o nel momento in cui dobbiamo scegliere o realizzare qualcosa. Questo è ciò che sta affrontando il teatro ucraino oggi.