Il rapporto tra guerre, criminalità, interessi politici e affarismo nel sud est Europa. Francesco Strazzari pubblica un saggio che è anche un racconto. Nostra recensione

11/12/2008 -  Mauro Cereghini

I libri, si sa, li scrivono gli autori, ma i titoli li fanno gli editori. Nel caso del lavoro di Francesco Strazzari "Notte balcanica. Guerre, crimini, stati falliti alle soglie d'Europa" l'editore ha messo del suo anche nella copertina. E forse ha esagerato. C'è una pistola puntata sul lettore, che sembra richiamare gli stereotipi truculenti dei Balcani sanguinari. Dentro invece c'è un prezioso saggio sul rapporto, per nulla tribale, tra economie illegali, criminalità e costruzione dello stato nelle periferie dell'Europa unita.

Un saggio da cui emergono i grigi, le zone d'ombra e gli interessi comuni che coesistono tra potere ufficiale e mondi sommersi. Una continuità ben più importante della semplice influenza esterna: "In era di globalizzazione, nonostante la sorprendente crescita dei regimi di regolamentazione di merci e servizi, è un fatto che la linea di demarcazione che passa fra legalità e illegalità si fa sempre più labile" (p. 35). Non è allora la pistola del gangster comune ciò che simboleggia al meglio questo stato, piuttosto le immagini ambigue dei casinò sloveni, dei motoscafi luccicanti di Valona o dell'Arizona Market di Brčko. Luoghi dove è difficile distinguere tra loro intrecci economici, politici, criminali e a volte anche bellici, avvolti appunto in una unica "notte".

La metafora del buio però può essere ingannevole, quasi si trattasse solo di una grande confusione congenita allo spirito balcanico e pertanto lì confinata. Strazzari invece sottolinea come il sovrapporsi di queste aree di interesse sia del tutto razionale, e risponda ad un processo in atto non solo nel sud est europeo. E' il fenomeno delle nuove guerre, per dirla con Mary Kaldor, o anche degli imprenditori etnici che usano le ragioni identitarie per mero profitto personale. Chiavi di lettura opposte all'idea imperante degli odi atavici o del tribalismo come causa delle esplosioni nazionali negli anni novanta. A queste chiavi Strazzari dedica i primi due capitoli del libro, di natura più teorica, per "problematizzare quelle categorie ('criminalità', 'guerra', 'Est', 'transizione', 'pace', ed infine 'stato') che tanto l'uso comune quanto la letteratura accademica spesso propongono come autoevidenti" (p. 11).

Seguono una ricostruzione del rapporto criminalità-guerra nell'implosione jugoslava, attraverso un excursus che tocca tutti i nuovi stati oltre alla vicina Albania, ed un capitolo interamente dedicato al caso Kosovo, di cui peraltro l'autore si era già interessato in passato ("Kosovo 1999-2000. La pace intrattabile", Asterios). Ne esce l'immagine già nota, ma sempre poco evidenziata, di pratiche illegali e clientelari già in voga nel periodo comunista, riciclate e rese più audaci e sistematiche dal crollo dei regimi. "Non diversamente da altre mafie, quelle dei Balcani non nascono dove lo stato e il mercato sono assenti, ma al contrario accompagnano (o guidano) la nascita dei mercati e delle strutture statali, sapendo trarre profitto tanto dall'eccesso di regole e burocrazia, quanto dai processi di deregulation" (p. 146). Mafie capaci di rendersi subito transnazionali e di restare aperte agli affari quale che sia l'altrui nazionalità, come dimostrano gli scambi intensi tra gruppi criminali serbi ed albanesi in Kosovo.

Il libro, scritto in modo agile, è interessante per i numerosi riferimenti empirici, quasi giornalistici, che lo punteggiano, senza perdere tuttavia la densità di un saggio accademico. Dimostra come la ricerca possa intrecciarsi all'indagine sul campo, che Strazzari ha svolto in molti dei luoghi di cui racconta, e leggere le dinamiche del presente anche nei fatti di cronaca. Si iscrive perciò nella scia di varie altre narrazioni delle guerre e dei dopoguerra balcanici che incrociano analisi e racconto, da Paolo Rumiz a Luca Rastello solo per restare a due autori citati nel testo e di cui il libro riprende parte dei ragionamenti. Ciò che offre in più è la prospettiva lunga - perché ormai siamo sulla soglia dei vent'anni di cosiddetta transizione balcanica - oltre alla capacità di collegare i temi della criminalità economica e delle mafie con i processi istituzionali di costruzione dello stato e di unificazione europea. Ponendo così la domanda chiave per l'UE: "quali standard di organizzazione sociale, politica ed economica è disposta ad accettare l'Europa per una parte di se stessa in divenire, e con quali prospettive?" (p. 196).

E che i Balcani siano una parte di Europa in divenire lo si coglie in molti passaggi del libro. A partire dalla compenetrazione documentata tra mafie del sud est e mafie nostrane: camorra, sacra corona unita, 'ndrangheta fanno tutte affari con l'altra sponda dell'Adriatico. Di più, con gli intrecci finanziari ed il riciclaggio dei proventi è sempre più complicato ricostruire cosa sta fuori e costa sta dentro i confini di un'area. Significativamente il libro si conclude a Ciudad Juarez, città sulla frontiera calda tra Messico e Stati Uniti d'America. Lì Strazzari trova l'ennesimo esempio dell'intreccio tra economia sommersa, clientelismo politico e criminalità che controlla i traffici lungo il confine. In questo caso a danno di giovani donne, inghiottite sulla via del sogno americano.

Verrebbe da dire un caso come tanti, anche in Italia. Perché, a pensarci bene, quella pistola in copertina potrebbe appartenere ad un boss di Belgrado o di Tirana. Ma anche di San Luca o di Castel Volturno.