Riportiamo l'intervento integrale di Biserka Ivanovic, giornalista e funzionaria dell'OSCE, al convegno di OB "Vivere senza futuro? L'Europa tra amministrazione internazionale ed autogoverno: i casi di Bosnia Erzegovina e Kossovo.
Sono qui oggi non per parlare dell'attività dell'organizzazione internazionale per la quale lavoro, l'OSCE, ma per rappresentare la posizione dei Serbi del Kosovo, essendo io stessa una di loro.
Mentre oggi noi siamo qui, si è probabilmente conclusa la prima seduta inaugurale del Parlamento del Kosovo e probabilmente i Serbi non hanno partecipato ai lavori. Andando indietro nel tempo, fino all'inizio di quest'autunno, si possono ricordare tanto i documenti ufficiali di Belgrado, dei serbi del Kosovo e della Chiesa Serbo-Ortodossa del Kosovo che auspicavano la non partecipazione o il boicottaggio delle elezioni generali tenutesi in Kosovo il 23 ottobre di quest'anno.
Se si va più indietro, fino al marzo di quest'anno, il Kosovo stesso, le organizzazioni internazionali KFOR, UNMIK e le altre che vi lavorano sono rimasti scioccati e si sono trovati impreparati dall'esplosione della violenza avvenuta in quel periodo.
Questo avvenimento ha portato il Kosovo su posizioni un po' più avanzate nell'agenda politica internazionale, ma non ha comportato grandi cambiamenti nel processo che è stato imboccato dal Kosovo dal 1995.
Mi è stato chiesto di parlare oggi dei cinque anni successivi a quell'anno e di come sono stati vissuti dai Serbi del Kosovo. Ma non voglio parlare solamente dei serbi del Kosovo perché vi sono anche altre comunità non albanesi che vivono lì.
Quando si tratta del conflitto in sé si possono spesso ascoltare analisi molto dettagliate su possibili scenari riguardanti il futuro della regione. Ma io vorrei inizialmente invitare tutti voi a guardare alla domanda che fa da titolo a questa conferenza: "Vivere senza futuro?".
C'è qualcuno che può vivere senza futuro? Oppure dobbiamo noi tutti aspirare di vivere un presente che sfortunatamente non è brillante? Non si sa quale potrà essere lo status finale del Kosovo a causa di molti problemi interni che non possono essere analizzati separatamente, né al di fuori del loro contesto.
Il Kosovo è in Europa, il Kosovo appartiene naturalmente all'Europa. Il Rappresentante Speciale del Segretario Generale (RSSG), credo fosse Hans Haekkerup, invitò qualche anno fa la società del Kosovo ed i suoi politici, i loro rispettivi leaders a tentare di raggiungere degli standard, i quali non sono nient'altro che gli standard che ogni Paese europeo attualmente rispetta , che ogni parte della famiglia europea è tenuta a raggiungere.
Questi standard non sono irraggiungibili, ma per il Kosovo è molto difficile raggiungerli. Perché? Mentre mi stavo preparando per il mio intervento quest'oggi, ho parlato con Alessandro Rotta e gli dissi che forse il problema è che attualmente i kosovari (Albanesi, Serbi, Bosniaci, Turchi, Gorani, Ashkali, Rom, e Croati) non sono sufficientemente coinvolti nel processo, e che invece dovrebbero esserlo di più.
Chi parlerà domattina tratterà la questione dei protettorati e del loro futuro e saremo allora probabilmente capaci di far emergere idee, "lezioni imparate", "buone regole". Di individuare cosa non vada e cosa debba essere cambiato. Shkelzen Maliqi ha scritto che il prossimo anno, nel 2005, la Comunità Internazionale inizierà a chiamare i vari soggetti per l'inizio dei colloqui riguardanti lo status finale del Kosovo. La domanda è: "Il Kosovo sarà pronto per questi colloqui?".
Prima di avviare questa fase, il RSSG signor Jessen Søren Petersen, ha infatti detto che dovrà essere valutato il grado di raggiungimento degli obiettivi, ciò significa che probabilmente un comitato, insieme all'Alto Rappresentante, dirà qual'è la situazione rispetto ai diritti umani, alla libertà di movimento, al funzionamento delle istituzioni democratiche e poi, più tardi, forse nella seconda metà del 2005 inizieranno i colloqui sullo status finale.
Io posso però dire qual'è oggi la situazione dei Serbi e delle altre comunità non albanesi in Kosovo: cinque anni dopo, i Serbi del Kosovo vivono per la maggior parte in enclaves. In Europa la gente vive ancora in enclaves!
Guardate la ragazza ritratta sul pieghevole di questa conferenza, il suo nome è Jovanna Rasković, vive a Pristina, la capitale della provincia del Kosovo, va a scuola con un piccolo furgone scortato dai carri armati in un villaggio vicino a Pristina. In quest'ultima infatti non vi sono lezioni in lingua serba.
Probabilmente, col suo sguardo, sta cercando il suo futuro attraverso quel finestrino. La sua famiglia è stata obbligata, dagli scontri di marzo, a lasciare la sua casa e rifugiarsi in città. I suoi genitori sono molto preoccupati per il futuro di Jovanna e delle altre due sue sorelle.
A me non interessa in fin dei conti chi siano i soggetti che verranno coinvolti nel processo di definizione dello stato purché siano disposti a sedere assieme e parlare di futuro.
Io posso affermare che il futuro e il presente non sono facili nemmeno per gli Albanesi del Kosovo.
Il Kosovo ha i suoi problemi: un altissimo tasso di disoccupazione, mancanza di opportunità di impiego, privatizzazioni che non decollano. Anche per i giovani albanesi del Kosovo risulta difficoltoso trovare il loro posto nella società kosovara.
Quello che è oggi il Kosovo non è comparabile con quello che era cinque anni fa. Lo dico nel senso che il Kosovo è cambiato molto e questi cambiamenti non sono sempre e soltanto a favore di ciò che gli Albanesi del Kosovo, i Serbi, i Turchi, i Gorani, i Croati, gli Ashkali, i Rom vogliono vedere.
Viaggiando attraverso il Kosovo si possono vedere moltissime stazioni di rifornimento carburante, ce ne sono credo più di 600 in tutto il Kosovo, tanto che ti chiedi se ti stai trovando in Kuwait o negli Emirati. Uno sviluppo del tutto particolare ....
La velocità e il modo in cui le cose sono accadute sono stati sorprendenti per la popolazione. Molti Albanesi del Kosovo mi hanno raccontato che non è questo che si immaginavano e che speravano sarebbe stato differente.
Non ha importanza ciò che il Kosovo deve essere o desidera essere, sono i suoi cittadini che devono trovare le modalità per una convivenza pacifica. Questo è il concetto a mio avviso più importante, la linea di fondo necessaria per poter tracciare il futuro.