Introduzione al convegno di Michele Nardelli
Perché guardare ai Balcani o, meglio, all'Europa di mezzo come sarebbe più giusto chiamare questa regione che dell'Europa costituisce il cuore? La risposta che verrebbe spontanea è che siamo a dieci anni dagli accordi di Dayton, che hanno fermato le armi in Bosnia Erzegovina e che dunque è tempo di bilanci. Permettetemi di dire che sarebbe una risposta un po' banale: peraltro lo stanno facendo in molti e avremmo poco da aggiungere a quanto ci siamo detti sin qui attraverso il lavoro dell'Osservatorio sui Balcani.
Una risposta più profonda e più pregna di significato l'ha data qualche anno fa Rada Iveković affermando che i Balcani rappresentano lo specchio dell'Europa, il suo rimosso, il suo inconscio, in un certo senso la sua interiorità e la sua verità.
Proprio da qui siamo partiti qualche anno fa, per dar vita ad un percorso di iniziative sul tema dell'integrazione nell'Unione Europea dei paesi della regione. Un percorso che ci ha visti con l'allora presidente della Commissione Europea Romano Prodi a Sarajevo, nei giorni del decennale dell'inizio della guerra; che ci ha portati da Vienna a Belgrado navigando lungo il Danubio e toccando con incontri pubblici quattro capitali; che ci porterà il prossimo anno o nella primavera del 2007 a parlare della pluralità delle radici culturali dell'Europa, e dunque dell'imprescindibilità dell'Europa di mezzo come ponte fra culture, punto d'incontro fra oriente e occidente, fra nord e sud. Lo faremo a Cipro, nel cuore del Mediterraneo. Un tema, quello della costruzione (non parlo volutamente di allargamento) dell'Europa politica che oggi appare di grande attualità di fronte al vento gelido che soffia contro l'integrazione di nuovi paesi.
Ma ci sono almeno due altre buone ragioni per cui oggi non possiamo guardare al nostro presente, al presente dell'Europa, a prescindere da quel che accade nei Balcani.
Per la modernità dei processi che caratterizzano questa regione, che spesso hanno - nella loro radicalità - un carattere anticipatorio di processi con i quali ci troveremo a dover fare i conti.
E per una seconda ragione - strettamente connessa - che va sotto il nome di "interdipendenza".
Concetto chiave nell'era globale, ma che nel caso dei Balcani diviene ancora più pregnante. Perché i Balcani oltre che il nostro specchio sono anche il nostro vicino più importante di là del mare. Perché quel che vi accade si riverbera sul nostro territorio, sulla nostra economia, sull'immigrazione verso il nostro paese, sui traffici illegali, sulla criminalità.
Ecco perché uno sguardo attento a questa regione non è solo o tanto, come in genere si pensa, un problema di solidarietà internazionale. No, qui ragioniamo dei processi del nostro presente. Uno sguardo lungo di cui oggi una buona politica, una buona amministrazione, una buona economia e una buona informazione non possono fare a meno.
Uno sguardo sulla diversità...
Lo sguardo che cerchiamo di focalizzare oggi, che in realtà cerchiamo ogni giorno attraverso il lavoro ed il sito dell'Osservatorio, riguarda in particolare l'economia di questa regione.
Uno sguardo complesso perché l'area indagata è grande come mezza Europa, i paesi e le loro vicende eterogenee:
- paesi caratterizzati da vicende storiche e culturali molto diverse;
- che oggi esprimono condizioni di vita molto diverse fra loro, sia sotto il profilo economico che sociale;
- paesi nati dalla disintegrazione della vecchia Jugoslavia e che hanno conosciuto la guerra (Croazia, Bosnia Erzegovina, Serbia e Montenegro, Kossovo, ...);
- paesi che dopo la caduta del Muro hanno avuto crisi profonde quanto una guerra (pensiamo alle devastazioni succedute alla crisi delle piramidi in Albania, ...);
- paesi dove vige lo stato di diritto ed altri dove non è chiara nemmeno la loro natura giuridica (Kossovo);
- paesi che sono interessati dai fenomeni della delocalizzazione delle imprese oppure oggetto di attenzione da parte di grandi multinazionali,...
...ed uno sui tratti comuni
Diversità che non ci impediscono di cogliere alcuni tratti comuni:
- crisi dei sistemi economici statalistici e centralizzati (l'industria pesante come volano dell'economia);
- obsolescenza delle grandi imprese statali ed effetti negativi dell'industrialismo (ambiente, gestione del territorio, rapporto con le città, ...);
- dai quali hanno ereditato forme di criminalità economica e sistemi mafiosi (sistemi neofeudali);
- le tracce culturali che questo sistema ha lasciato: deresponsabilizzazione, scarsa attitudine al consorzio e a fare sistema territoriale;
- crisi delle produzioni anche nel settore primario (ci sono paesi dove le importazioni superano di dieci volte le esportazioni);
- l'esplosione del business dei centri commerciali (nei quali non c'è traccia di prodotti locali);
- traffici di ogni tipo;
- fuga degli intellettuali, durante le fasi acute di crisi ma che prosegue tutt'ora;
- crisi fiscale degli stati (gettito fiscale delle imprese in SCG all'1,9% del bilancio dello stato) e diffusione della flat tax (imposte con una sola aliquota rispetto a tutte le categorie reddituali, ovvero fine di ogni forma di progressività fiscale);
- fine del welfare e condizioni sociali di forte impoverimento;
- insostenibilità delle politiche di aiuto internazionale;
- carattere perverso della delocalizzazione e spogliazione delle risorse;
- deregolazione.
Tratti comuni che collocano questi paesi in una condizione non riconducibile al concetto di sottosviluppo, semmai questo concetto - nel tempo dell'economia mondo - fosse ancora utilizzabile. E semmai fosse giusto misurare povertà e ricchezza a partire dal Prodotto interno lordo o dal Reddito pro capite.
In realtà la deregolazione estrema fa di questi paesi luoghi della post modernità, perché in essi avvengono i processi più avanzati della finanziarizzazione dell'economia, che nei traffici e nelle forme più deregolate trova il proprio humus naturale.
Paesi nei quali il divario fra povertà e ricchezza diviene sempre più ampio, quel che avviene oggi a livello planetario, se consideriamo che la globalizzazione ha reso a-geografica la divisione fra povertà e ricchezza.
Ed anche in questo si conferma il carattere post moderno dei paesi di questa regione.
Uno sguardo diverso...
Voglio proporvi quindi uno sguardo diverso sulla regione, non stereotipato. E che parte da una considerazione che vuole mettere in discussione l'approccio tradizionale, sostanzialmente economicista, che fin qui ha guidato l'analisi di questi paesi:
- non esistono paesi poveri (tutt'al più impoveriti);
- ogni paese è ricco di suo: di storia, di cultura, di tradizioni, di risorse naturali, di materie prime (che spesso sono motivo di impoverimento), di risorse umane, del carattere unico di ogni territorio.
E che ora conoscono dinamiche che favoriscono l'allargamento della forbice fra povertà e ricchezza (in un recente convegno la Caritas Europea ha definito peggiorate le condizioni sociali in Bosnia Erzegovina nel corso dei dieci anni che ci separano da Dayton).
Ma si tratta di paesi ricchi. Il cui problema è come valorizzare al meglio le proprie risorse.
... per una diversa politica di relazione
Ho provato a descrivere rapidamente i processi che investono la modernità balcanica, un ritratto che se condiviso porta con sé un primo interrogativo:
- quali sono le strade di una possibile cooperazione sostenibile?
È un po' l'interrogativo di fondo di questo nostro convegno. Proviamo ad indicare qualche risposta, anche sulla base di un lavoro sul campo che coinvolge da anni molti di noi.
1. Sostenere i processi endogeni di riappropriazione delle risorse
- autoconsapevolezza delle proprie risorse;
- individuazione degli elementi di unicità del proprio territorio (soggetto vivente che dialoga con la storia...);
- favorire forme di patto territoriale.
2. Riorientare gli aiuti in questa direzione:
- conoscenza dei contesti locali;
- sostenendo forme di progettualità che nascono nel territorio;
- selezionando i beneficiari;
- curandosi della sostenibilità dei progetti, ovvero della loro riproducibilità;
- costruendo relazioni improntate sui criteri della prossimità e della reciprocità.
3. Lavorare sulla cultura della responsabilità:
- che significa autogoverno locale, partecipazione;
- attenzione alle risorse naturali e al loro carattere limitato;
- sostenendo forme di microfinanza, per dar vita ad un sistema creditizio endogeno e partecipato;
- un sistema di regole vincolanti, favorendo lo stato di diritto.
4. Favorire la nascita di sistemi territoriali:
- una dimensione, quella qui proposta, che ragiona sui sistemi territoriali.
Ecco perché è fondamentale ragionare sulla cooperazione decentrata, o meglio sulla cooperazione comunitaria, fra comunità territoriali che si confrontano alla pari, che ragionano sui problemi comuni, che scambiano esperienze prima ancora che finanziamenti, che si mettono in gioco responsabilmente per costruire insieme un modo intelligente di abitare il presente.
Parliamo di cooperazione. Ma vogliamo parlare anche di internazionalizzazione. Credo che se un sistema territoriale vuole mettersi in relazione con un altro sistema territoriale, questo debba comportare non una sovrapposizione dei due concetti, che è bene rimangano distinti. Ma che uno ragioni con l'altro, che questi mondi si parlino, che le istituzioni facciano da ponte, insomma che la relazione fra territori non sia contraddittoria, che le due cose siano corredate ad esempio dall'individuazione di una comune carta etica.
Che tanto la cooperazione quanto le politiche di internazionalizzazione si interroghino sulla sostenibilità dei processi che innescano. Che interagiscano fra loro.
C'è poi ancora un altro aspetto e riguarda le comunità degli immigrati che lavorano in Italia, nei territori delle nostre regioni. Partiamo dalla semplice considerazione che le rimesse degli immigrati costituiscono per i paesi d'origine una delle voci importanti del bilancio statale. La domanda allora è la seguente: come far sì che questa risorsa possa diventare un veicolo di relazione fra territori e non solo fra soggetti privati? Come è possibile che le rimesse possano diventare una modalità per il finanziamento di progetti di valorizzazione dei territori?
È quel che ha provato a fare il Comune di Rovereto con lo studio avviato con Microfinanza. Anche questo significa a nostra avviso fare sistema territoriale.
Ritorniamo all'interdipendenza
Dobbiamo sapere che oggi costruire una buona politica di relazione con questa regione d'Europa, significa pensare esattamente al nostro futuro, investire sul nostro futuro. Un'enorme area deregolata nel cuore dell'Europa non potrà che avere effetti devastanti per tutti.
Tutto si tiene. Dovremmo averlo imparato vent'anni fa con il disastro di Chernobyl.
Ritorniamo come si vede al concetto di interdipendenza. È il futuro dell'Europa che è in gioco, della sua capacità di includere e di arricchirsi sul piano culturale ovvero delle sue radici plurali, perché solo un'Europa capace di valorizzare le proprie diversità potrà rivolgersi con attenzione al Mediterraneo, al vicino oriente, con la necessaria autorevolezza.
Il locale e il globale si rincorrono. È questo il senso di uno sguardo sui Balcani.
Ovviamente non possono essere che titoli di un ragionamento. Che in questi due giorni di lavoro ci auguriamo di sviscerare in maniera proficua.
Buon lavoro.