Riportiamo l'intervento integrale di Giovani Kessler, Vicepresidente Assemblea OSCE e Deputato della Repubblica, intervenuto lo scorso dicembre al convegno di OB "Vivere senza futuro? L'Europa tra amministrazione internazionale ed autogoverno: i casi di Bosnia Erzegovina e Kossovo.
Mi risulta difficile pensare al Kosovo come regione europea, così come proposto da Michele Nardelli nel suo intervento. L'Europa non è per niente attrezzata per questo e non lo sarà mai, l'Europa è formata da Stati Nazione e nacque in tal modo e questo fatto è anche confermato nella Costituzione stessa. Le regioni trovano certamente un ruolo importante grazie al principio di sussidiarietà, ma l'idea del Kosovo con passaporti europei, amministrato direttamente dall'Europa è una idea destinata ad rimanere come suggestione, a meno di trasformazioni nominali per le quali il Kosovo è uno stato, che, però, è denominato "regione".
Il vero problema del futuro del Kosovo riguarda la sovranità, distinta dal concetto di autogoverno, che l'Europa non sarà mai pronta ad assumersi essa stessa. Dopo l'intervento militare, la Comunità Internazionale ha costituito il protettorato, o meglio l'amministrazione fiduciaria con la quale si è assunta la gestione della sovranità in Kosovo. Ovviamente l'amministrazione internazionale non può aspirare a risolvere i problemi di questa regione che vanno trattati ad livello politico diverso, ma si rivela uno strumento utile a disposizione della Comunità Internazionale per la risoluzione dei conflitti ed è stato sperimentato per la prima volta dopo la Seconda Guerra Mondiale nel contesto ex yugoslavo, anche per questo i Balcani sono moderni.
L'assunzione dei poteri di governo tramite l'utile strumento della amministrazione fiduciaria provvisoria affidata alle Nazioni Unite ha impedito la creazione di un vuoto di potere successivo all'amministrazione yugoslava ed il riaccendersi di un conflitto interetnico che poteva rinascere qualora dopo l'intervento militare la sovranità statale fosse stata concessa ai kosovari in maggioranza albanesi.
Il Kosovo inoltre non è mai stato uno stato, perciò il caso è sostanzialmente diverso da quello Kuwait che ha riottenuto la sovranità dopo la prima guerra del Golfo. L'esempio più aderente a quello kosovaro è quello di Timor est, dove le Nazioni Unite hanno una propria amministrazione temporanea oppure quello della Saar amministrato fiduciariamente dalla Francia su mandato della Società delle Nazioni tra le due guerre mondiali.
Il parallelo con la situazione dell'Iraq oggi è insussistente, perché attualmente l'amministrazione irachena è nella mani degli occupanti ed è perciò ben diversa da un protettorato con mandato internazionale.
Un altro caso diverso è quello della Bosnia, la quale è effettivamente uno stato, che si può certamente modificare, che in troppe occasioni funziona male ed è sottoposto ad un forte controllo internazionale ma almeno il futuro è certamente quello nel contesto della sovranità statale.
Quindi né l'amministrazione diretta dell'Europa in una regione Kosovo, né per altro la proposta di cantonizzazione del Kosovo mi sembrano soluzioni plausibili.
Trattando quindi la questione dello status quest'ultima blocca lo sviluppo del Kosovo, la sua economia e la sua amministrazione. Basti citare il caso della giustizia, che viene gestita dall'UNMIK, la quale incontra molte difficoltà nell'assunzione di giudici serbi, perché questi ultimi non sono certi del loro immediato futuro quando l'UNMIK non opererà più e potranno venire licenziati o peggio ancora.
Gli investimenti privati in un contesto talmente incerto sono impensabili, perciò affluiscono soprattutto gli investimenti pubblici assieme a quelli privati a carattere speculativo. La questione dello status non può rimanere irrisolta contribuendo al mantenimento di una situazione in equilibrio critico.
L'unica strada è quella di fornire una prospettiva al Kosovo che non sia niente altro che l'indipendenza. Questo non ratificando la situazione di una maggioranza albanese sovrana ed una minoranza serba sottoposta, riportando così il Paese ad una situazione simile a quella che si voleva spezzare con la guerra, ma concedendo una "indipendenza condizionata".
Il Kosovo può diventare uno Stato, anche senza esercito se si vuole, solo quando avrà pienamente soddisfatto alcuni standard economici e non solo, che sono i cosiddetti "Standards for Kosovo" redatti dalla Comunità Internazionale con i kosovari. Questi parametri stabiliscono: "una regione in cui tutti indipendentemente da appartenenza etnica, razza o religione siano liberi di vivere, lavorare e muoversi senza paura, ostilità o pericoli e dove ci sia tolleranza, giustizia e pace per tutti".
Si tratta dell'intestazione, i parametri specifici seguono e sarebbero molto severi per qualunque Stato chiamato a rispettarli, ma per una regione in uno stato critico come il Kosovo è importante imporre criteri severi, che, sebbene magari non vengano mai raggiunti pienamente, sono tuttavia in grado di garantire una situazione più che accettabile.
L'errore è imporre standard senza impegnarsi poi a concedere qualcosa una volta che questi standard sono stati totalmente o parzialmente raggiunti. Il modello è proprio quello del processo di adesione all'Unione Europea, nel quale vengono imposti dei criteri ed un limite di tempo utile al loro raggiungimento, la concessione è quella dello status di "Stato Membro", nel caso del Kosovo si tratterebbe di concedere l'indipendenza, certamente con un particolare legame all'Europa.
Solo allora potrebbe terminare l'amministrazione internazionale, ma non la presenza internazionale con funzioni di sostegno e di controllo.