Di seguito il testo dell'Appello promosso dall'Osservatorio sui Balcani. Per un'integrazione dei Balcani nell'Unione Europea: certa, sostenibile, dal basso
Eppure i Balcani non sono sostanzialmente diversi dall'Europa
di cui sono una regione:
sono il suo rimosso, il suo inconscio, il suo specchio
e, in un certo senso, la sua interiorità e la sua verità
(Rada Ivekovic, Autopsia dei Balcani)
A dieci anni dall'inizio della tragedia balcanica è ormai tempo di dare concretezza all'idea di un'Europa davvero unita, senza più muri e frontiere. Di avviare cioè un processo di integrazione certa, sostenibile e dal basso dei Balcani nell'Unione Europea. È questo l'appello che viene a conclusione dell'incontro internazionale di Padova nell'ambito di Civitas, la fiera dell'economia solidale, e che donne e uomini di ogni parte d'Europa intendono rilanciare affinché sia posto fine ad una divisione ormai fuori del tempo e foriera solo di instabilità e di nuovi conflitti.
Un disegno europeo
Noi persone della società civile che in questi anni di buio e di dolore ci siamo opposti ad ogni nazionalismo e all'idea che la guerra potesse risolvere i conflitti balcanici, noi donne e uomini che abbiamo imparato a conoscere ed amare questa parte d'Europa come luogo di incontro fra grandi culture millenarie, noi cittadini di un'Europa ancora dimezzata che non sa guardare oltre i propri confini verso una più ampia e plurale cittadinanza europea, vogliamo riprendere il messaggio forte e chiaro venuto dal presidente della Commissione Europea Romano Prodi: "Bisogna muoversi nell'ottica dei paesi balcanici come "membri virtuali" dell'Unione Europea. Per tutti questi paesi, dalla Croazia ai confini greci, il futuro è nell'UE (...), si tratta di ragionare su questo obiettivo fin da adesso".
I nodi irrisolti
Troppi i nodi di crisi ancora irrisolti nei Balcani: le situazioni innaturali del Kossovo e della Bosnia Erzegovina, il destino ancora incerto della Macedonia e la più ampia questione albanese, la collocazione del Montenegro, la transizione non ancora consolidata in Croazia e Serbia, il rispetto delle minoranze interne agli stati, il dramma tuttora vivo di centinaia di migliaia di profughi e sfollati. Per non parlare del disastroso contesto economico e sociale, causato insieme dall'estrema fragilità istituzionale degli stati, dalla loro crisi fiscale, dalla diffusa deregolazione e dal rafforzarsi della criminalità economica e dei poteri mafiosi.
Per un'integrazione certa
Davanti a questa situazione di grave instabilità l'Europa può e deve svolgere una funzione decisiva, specie oggi che con la caduta di Tudjman e Milosevic è finito forse l'uso patologico dei nazionalismi e si aprono spazi di dialogo e di possibile integrazione. Ma per rendere credibile questa prospettiva di integrazione piena dei Balcani in Europa crediamo occorra fissare date certe e percorsi rapidi. Vediamo che i parametri economici, sociali ed istituzionali di partenza in tutta la regione sono oggi assai distanti dagli standard minimi europei. Eppure siamo convinti che il vantaggio anche economico per l'Unione Europea di una stabilità nell'area è tale che dovrebbe far superare qualsiasi resistenza.
Per un'integrazione sostenibile
Il futuro economico del sud est europeo non può essere garantito né dalle chimere degli investimenti occidentali di rapina, né tanto meno dal perdurare dell'assistenzialismo umanitario. Un possibile itinerario di integrazione va perciò incardinato sull'opzione dello sviluppo locale quale criterio di rinascita economica, in un disegno di promozione integrata del territorio sul quale far convergere risorse locali e aiuti internazionali. Tale disegno può fondarsi da un lato sulle professioni della qualità, ad alta intensità umana e creativa, e dall'altro sul settore primario, collegando progetti partecipati di sviluppo economico locale, sostegno alla microimpresa e ai consorzi di piccoli produttori, valorizzazione delle risorse naturali e dei beni culturali.
Per un'integrazione dal basso
Le ceneri lasciate dalle guerre ed ancor prima dalla crisi dei modelli burocratico-statalisti richiedono la ricostruzione di una nuova coesione sociale attraverso un patto fra cittadini e pubblica amministrazione, fra cittadini e comunità, fra cittadini e territorio. A tal fine è necessario avviare percorsi di riforma, prima di tutto culturali ma anche istituzionali, che possano prefigurare nella relazione orizzontale fra regioni e municipalità una comune appartenenza europea. Le relazioni di cooperazione decentrata e diplomazia popolare sono perciò decisive per ricostruire quei ponti di dialogo e di civiltà demoliti dalla guerra, e per rafforzare il tessuto civile e istituzionale delle comunità. Aiutare a crescere e dare voce alla società civile, alle organizzazioni non governative, ai movimenti civili dei Balcani - lungi dal voler essere una forma di disimpegno dal pubblico - rappresenta già una forma di integrazione dal basso verso l'Europa delle regioni e dei cittadini.
L'Europa che ci unisce
Dunque, dopo dieci anni di guerre, lutti e sofferenze, è venuto il momento di interrompere la disgregazione dei Balcani. Occorre offrire a queste terre e alle persone che le abitano un'immagine forte per il loro e per il nostro comune futuro. L'Europa ha una grande responsabilità: su questo si misurerà la sua capacità di essere vera comunità di popoli e non mera unione di monete. Nei Balcani pure va colta questa opportunità, come l'unica strada forse per uscire dalle secche dei micro-stati nazionali e sciogliere le conflittualità interne in un contesto più ampio.
E' una sfida che deve impegnarci tutti, per il nostro bene comune. Le acque del Mediterraneo bagnano Barcellona e Venezia quanto Dubrovnik e Durazzo. Il Danubio attraversa Vienna come Belgrado. Il futuro dell'Europa è unito ai Balcani. Oltre tutti i nostri confini.