Il nostro articolo "L'Unesco e il Tara, intervista a Giorgio Andrian", del 6 dicembre scorso, ha provocato alcune reazioni tra le quali quella del direttore dell'ufficio UNDP di Podgorica, che ha definito Osservatorio come "non professionale". Alcune osservazioni
Ha sollevato scalpore in Montenegro la intervista di Osservatorio Balcani a Giorgio Andrian, nella parte in cui il consulente dell'Unesco attribuisce al Primo Ministro Đukanović le parole: "Io non ne voglio più sapere di questa cosa", da noi riportate nella parte finale dell'intervista.
Đukanović, intervistato dal quotidiano montenegrino Vijesti, ha smentito di aver mai affermato di volere la interruzione del progetto di Buk Bjela.
L'ufficio Undp del Montenegro, sempre sulle pagine del quotidiano Vijesti, ha smentito, per voce del capo ufficio Garret Tankosić-Kelly, la intervista da noi pubblicata, alludendo ad una non corretta trascrizione dell'intervista e qualificando l'Osservatorio sui Balcani come "non professionale".
Questa definizione ci ha costretto a intervenire in una polemica peraltro di corto respiro.
Abbiamo inviato al quotidiano montenegrino il file audio dell'intervista da noi riportata nell'articolo citato.
Vijesti, nella edizione di martedì 14 dicembre, ha correttamente segnalato ai propri lettori che il nostro articolo era del tutto fedele alla intervista originale.
Verosimilmente, a seguito della traduzione del nostro articolo nella stampa locale, alcune sfumature hanno oscurato il significato originario delle parole di Andrian. La espressione che l'intervistato riferisce indirettamente a Đukanović, "Non ne voglio più sapere", invece di indicare il generico disagio nei confronti del clamore suscitato a livello internazionale, ha finito per diventare una supposta espressione di contrarietà da parte del Primo Ministro nei confronti della diga.
La posizione del governo montenegrino sul progetto, del resto, è ampiamente nota, così come quella della società civile del Paese, mobilitatasi in forze a difesa del canyon della Tara. Martedì 14, anche il Parlamento di Podgorica ha infine espresso la propria contrarietà nei confronti del progetto Buk Bjela. Siamo rimasti dunque sconcertati per la polemica apertasi nei nostri confronti, e in modo particolare per le accuse di scarsa professionalità rivolteci.
Certo, Osservatorio sui Balcani, a confronto con i giganti dell'informazione in Italia e nel mondo, rappresenta poco più di un granello di sabbia. Siamo una piccola redazione, lavoriamo solo grazie al contributo degli enti locali e delle associazioni che ci sostengono. Tuttavia, malgrado le scarse risorse, abbiamo fatto della informazione di qualità il nostro carattere distintivo. Cerchiamo di mantenere viva l'attenzione su di una area geografica, i Balcani, che riveste un ruolo fondamentale nella storia ed identità europee, ma che è completamente scomparsa dal panorama della informazione "main stream". Dopo i sanguinosi conflitti degli anni '90, infatti, pochi sembrano interessati a quanto accade a pochi passi da casa nostra. I Balcani appaiono solo episodicamente sui nostri schermi, per lo più in occasione del riemergere di guerre o disordini. Sono diventati un non-luogo, confinato ad una immagine stereotipata, dalla quale la maggioranza dei media non sembra volersi distaccare: hic sunt leones.
In questo contesto la professionalità, per noi, rappresenta una tensione quotidiana, una preoccupazione che orienta il nostro agire di operatori dell'informazione. Professionalità nella ricerca e analisi delle fonti, nella costruzione di una inchiesta o di un articolo, nella accuratezza di una traduzione o nella trascrizione di una semplice intervista. Lo stesso criterio anima la parte del nostro lavoro che sul sito non appare, cioè lo sforzo nel costruire e mantenere viva la nostra rete di corrispondenti dai Balcani, nel confrontarci con le associazioni e istituzioni che nei Balcani operano e che pure fanno parte della nostra rete, il tentativo di aprire luoghi di discussione e confronto tra soggetti diversi, come il recente convegno di Venezia. E' questa la professionalità che ci sta a cuore e che ci riconoscono i nostri lettori e i media con i quali siamo in relazione, di qua e di là dall'Adriatico. Non una professionalità fatta di prebende, ma che potremmo tradurre semplicemente con "responsabilità". Anche perché la informazione che produciamo, come i lettori ben sanno, è del tutto gratuita.
Non sappiamo di quale tipo fosse la "scarsa professionalità" che ci veniva attribuita. Se si tratta di un riferimento alla deontologia professionale, siamo del tutto sereni. Se si tratta di responsabilità, pure. Non ci spingiamo oltre nelle speculazioni, ma restiamo nella fiduciosa attesa di un chiarimento dell'equivoco.
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