Mentre si parla di status, rimane aperta, sopratutto per la comunità serba del Kosovo, la questione spinosa delle proprietà, abitazioni e terreni, occupate illegalmente dopo la fine del conflitto, e la cui soluzione avrà un peso decisivo sulla decisione di tornare a vivere nella regione
Mentre attende la decisione finale sul suo status, a otto anni dai bombardamenti Nato del 1999, il Kosovo deve fronteggiare non pochi problemi ancora irrisolti. Una delle questioni aperte più scottanti è quella della restituzione delle proprietà immobiliari e dei terreni agricoli occupati illegalmente durante e dopo il conflitto armato.
Una delle conseguenze dei bombardamenti del 1999 e degli scontri sul terreno tra l'esercito e la polizia serbi e l'Uck, fu il sacchieggio e la distruzione su larga scala di abitazioni e proprietà private su tutto il territorio della provincia, ma soprattutto nelle zone rurali prevalmentemente abitate da popolazione albanese.
Le aree urbane subirono danni minori, ma non scamparono del tutto al saccheggio. Quando, nel giugno del '99, alcune settimane dopo la fine dei bombardamenti, gli sfollati albanesi tornarono in Kosovo, trovarono gran parte delle proprie abitazioni distrutte e date alle fiamme. Allo stesso tempo migliaia di serbi, montenegrini e rom del Kosovo, timorosi per la propria sicurezza, lasciavano le proprie case.
Disordine, mancanza di leggi e di istituzioni funzionanti, insieme a forze di polizia inadeguate, portarono, nelle settimane immediatamente successive al conflitto, all'occupazione illegale di moltissime proprietà, soprattutto di serbi kosovari.
Non essendo represso nella sostanza, il fenomeno è continuato negli anni successivi. Nei primi mesi dopo l'ingresso delle forze Nato, tutte o quasi le proprietà che non potrevano essere guardate a vista sono state occupate illegalemente.
Per dare una risposta a questo problema scottante, l'UNMIK decise di creare due organi appositi, l'HPD (Housing and Property Directorate), e l'HPCC (Housing and Property Claims Commission), due istituzioni temporanee ad hoc, guidate da funzionari internazionali, il cui compito era proprio di occuparsi dei vari aspetti delle diatribe sorte intorno alle proprietà occupate. L'HPCC era di fatto un organo semi-giudiziario, a cui erano demandate le decisioni finali.
Dopo otto anni di lavoro, nel guardare i numeri dell'attività delle due istituzioni, si rimane colpiti dai risultati ottenuti. Sono 29.160 i casi sottoposti all'attenzione dell'HPD, e su tutti i 29.160 casi l'HPCC ha emesso una sentenza, mentre solo 745 procedure non sono ancora state portate a termine.
Lo scorso 6 giugno, in una cerimonia ufficiale tenuta a Pristina, il vice rappresentante dell'UNMIK, Steven Schook, ha decretato la chiusura dell'Housing and Property Claims Commission, inaugurando al tempo stesso l'inizio dell'attività del Kosovo Property Claims Commission (KPCC), un organo stavolta sottoposto al controllo del governo kosovaro.
Sia le cifre riportate che il trasferimento delle competenze al governo locale rappresentano, a prima vista, un ottimo risultato. La realtà dei fatti, però, è assai meno rosea di quanto non lascino trasparire questi dati. Le informazioni che non vengono ripotate, infatti, sembrano molto più significative di quelle che sono state messe nero su bianco.
Dopo attese durate mesi per dimostrare la proprietà formale delle proprie case, dopo aver contattato innumerevoli volte l'HPD per avere informazioni sullo status delle proprie denunce, e dopo che, infine, le persone che occupavano illegalmente le loro proprietà sono state allontanate, i proprietari degli appartamenti occupati hanno scoperto di non essere comunque in grado di rientrare nelle proprie case.
Le ragioni sono varie. Quella più importante, però, è la forte percezione di insicurezza avvertita in Kosovo dalle comunità non albanesi. I serbi del Kosovo non si sentono protetti, e hanno paura di tornare nei propri appartamenti, soprattutto in città. Oggi a Pristina vivono meno di 100 serbi, e in generale i ritorni verso aree urbane si possono contare sulla punta delle dita, come il paio di famiglie che hanno fatto recentemente ritorno a Pec. Chi è tornato a Klina, alcuni anni fa, si è trovato di fronte a grandi difficoltà: ci sono stati fenomeni di aggressione, ed uno dei primi a serbi a tornare in città è stato ucciso nella sua casa, alcuni mesi fa.
Molti decidono allora di vendere le proprie abitazioni, e di rinunciare così definitivamente alla possibilità di ricostruirsi una vita in Kosovo.
Nebojsa Kostic, ingegnere e padre di due figli, dalla fine della guerra vive con la sua famiglia a Gracanica, ad appena 14 chilometri da Pristina. Da allora non può più rientrare nel suo appartamento, situato in città. "Ho fatto la prima domanda per riottenere la mia proprietà nell'aprile del 2000, ma nessuna delle istituzioni che ho interpellato ha voluto prendere una decisione. Alla fine, dopo alcuni anni, mi hanno convinto a portare il caso in tribunale. Nel 2004 mi sono rivolto alla corte di Pristina, ma da allora non c'è stato nessuno sviluppo", racconta Kostic ad Osservatorio.
Un'altra storia è quella di Rajko Racic, che oggi vive in Montenegro. Suo fratello, morto pochi giorni prima dell'inizio dei bombardamenti Nato, viveva a Klina. Il suo appartamento, come molti altri, è stato poi occupato illegalmente. L'HPD ha preso la decisione di allontanare la famiglia che l'aveva occupato, ma Rajko, consapevole di non essere in grado di rientrare nell'abitazione, ha deciso di affittarla, all'interno di un programma apposito gestito dallo stesso HPD.
"All'inizio non sapevo che fare, ma quando dall'Housing and Property Directorate mi hanno comunicato che, in caso di nuova occupazione illegale, a rispondere non sarebbe stato più lo stesso HPD, ma una corte locale, ho deciso di affittare, per evitare che questo accadesse. A novembre dell'anno mi ha contattato, chiedendomi di aprire un conto bancario sul quale sarebbe stato pagato l'affitto. Mi hanno detto che la municipalità dovrebbe stabilire l'entità economica di questo affitto, ma non so se lo abbiano fatto o meno. Quel che è certo, però, è che da allora non ho ricevuto un soldo".
Secondo i dati ufficiali dell'HPD sono 3514 proprietari hanno deciso di includere la propria abitazione nel programma di affitti. Sono invece 5193 le abitazioni tornate formalmente nelle mani dei loro vecchi proprietari. A molti, però, (10.154 casi) non è rimasto nulla da farsi restituire o da affittare: le loro case sono state distrutte.
Un'altra tipologia di proprietà occupate illegalmente è quella dei terreni agricoli. La Kosovo Property Agency (KPA) ha ricevuto in totale 19.915 denunce di sottrazione di campi coltivabili. In alcuni casi, come quello del villaggio di Drsnik, i ritornanti serbi sono riusciti a far accelerare le procedure burocratiche e a tornare in possesso dei propri campi.
Ma al di là del successo nella restituzione in questo o quel caso, ad avere un impatto decisivo sulla questione delle proprietà occupate illegalmente sarà la decisione finale sullo status del Kosovo.
Negli ultimi anni, è stato sotto gli occhi di tutti lo scarso interesse del governo kosovaro nel cercare una risposta più rapida e decisa ai casi riguardanti il possesso e l'occupazione illegale di proprietà. Molti serbi del Kosovo temono che il governo possa continuare a mantenere un basso profilo su questo tema spinoso e problematico, senza intraprendere azioni decise al riguardo.
Nel frattempo, molti stanno decidendo di vendere e abbandonare il Kosovo, visto che non sono incoraggiati né politicamente né moralmente a fare il contrario. Nell'attesa di veder rispettati la propria sicurezza e i propri diritti umani nella provincia, preferiscono prendere il destino nelle proprie mani, e cercare di crearsi un futuro migliore da qualche altra parte.