Tra eccitazione e timori per il futuro. La Slovenia all'alba del suo ingresso nell'Unione Europea. Un breve reportage di Davide Sighele.
Da Ljubjana scrive Davide Sighele
Domenica 4 aprile in Slovenia si è votato un referendum sui "cancellati". Questi ultimi sono circa 18.000 persone provenienti da Croazia, Bosnia Erzegovina e Serbia, ma residenti da anni in Slovenia, che all'indomani dell'indipendenza si sono ritrovati privati della cittadinanza e di tutti i diritti ad essa connessi. Il 95% dei votanti si è espresso contro il ripristino dei loro diritti, solo il 4% a favore.
Il referendum, a carattere consultivo, ha rappresentato una vera e propria sconfitta per la maggioranza di governo, anche se il dato è mitigato dal fatto che si sono recati alle urne poco più del 30% degli aventi diritto. Bogdan Biscak, parlamentare dei Liberaldemocratici, parte della coalizione di governo, minimizza. "Non vi è alcuna conseguenza per la soluzione dei problemi dei "cancellati", il risultato del referendum è del tutto irrilevante", afferma senza però crederci troppo. Le sue rassicurazioni non sono sufficienti a non far temere il rafforzamento degli umori nazionalisti nel piccolo Paese prealpino.
"Io provo vergogna. Sia per la questione dei 'cancellati', sia per quella della costruzione della moschea a Ljubljana alla quale si sono opposti migliaia di cittadini di questa città" afferma Alja Taha, account director in un'agenzia pubblicitaria della capitale slovena. Madre slovena, padre palestinese Alja è particolarmente sensibile al tema del rispetto delle minoranze. All'agenzia lavorano molte persone originarie della ex-Jugoslavia. Alja sorride. "Ve ne sono pochissimi completamente sloveni". Agli uffici dell'agenzia si accede direttamente con l'ascensore. Un grande acquario di vetro divide un corridoio da una sala con ampie vetrate sulla stazione centrale. Questa è la Slovenia che della diversità fa una ricchezza e che non teme l'Europa. Anzi, nell'allargamento europeo intravede nuove opportunità.
Ve ne è un'altra che però ha paura. Si respira infatti un'aria strana in questo aprile sloveno. Da una parte vi sono le vetrine delle librerie monopolizzate dai libri di diritto europeo, dai manuali sulla struttura dell'Unione, dai testi di "Business and Administration"; vi è un Paese sviluppato che si differenzia di molto dai suoi vicini più a sud, a partire dalla stessa Croazia ed infine si nota ovunque un'atmosfera di fermento e grande attività. D'altra parte però un po' tutti esprimono paure e timori. Il primo maggio, giorno dell'ingresso nell'Unione, si festeggerà. Ma sembra un festeggiamento dovuto, non completamente sincero. L'integrazione nell'UE è percepita come l'unica strada percorribile ma in molti si chiederanno, brindando, che ne sarà della "piccola Slovenia".
"Il timore più grosso degli sloveni è quello di venire assimilati da culture ed economie più forti" afferma Miha Strukelj, giovane artista che inizia ad affermarsi anche in campo internazionale "siamo un Paese di soli due milioni di abitanti". Miha ha recentemente esposto in una mostra collettiva titolata "The Balkans. A crossroad to the future" e non dimentica i legami che la Slovenia ha a sud est. "Se mi sento a mio agio tra artisti balcanici? Certamente si. La Slovenia è parte dei Balcani, è la loro porta verso occidente".
Queste paure sembrano aver fatto emergere un sentimento nazionalista rimasto celato e rimosso in questi anni succeduti all'indipendenza. Ed assieme a questo sono emersi alcuni scheletri nell'armadio, tra tutti quelli dei "cancellati". Paure che sono in parte trasversali, condivise anche da chi da anni si batte per i diritti delle minoranze, per i diritti di cittadinanza e per una società multiculturale. Tra questi Eva Ciuk. Giornalista, vive a Trebiciano, paesino alle spalle di Trieste, sul Carso. Appartiene alla minoranza slovena in Italia e cura per Radiorai una trasmissione quotidiana in lingua slovena. "L'integrazione europea è stata molto affrettata" afferma Eva " basti pensare alle migliaia di contadini che rischiano, dopo il primo maggio, di non riuscire a reggere all'impatto della concorrenza degli altri Paesi europei. E la Slovenia è un Paese dove il settore agricolo è sviluppato. Staremo a vedere ma io sono preoccupata".
Intanto alla Transalpina, piazzale storico di Gorizia diviso in due tra Italia e Slovenia, i preparativi per le cerimonie d'allargamento continuano. Il muretto non c'è più, tutt'attorno alla piazza le divisorie arancione da cantiere. Qualcuno, per ricordare che lì l'Italia finisce, vi ha appeso una bandiera ed un irreale cartello "Confine di Stato" che se ne sta gomito a gomito con quello del cantiere. Sul lato sloveno si sta ridipingendo la facciata della Stazione della Transalpina. A poche centinaia di metri la strada tra i due confini che veniva utilizzata per pattugliarli è stata trasformata in pista ciclabile. Vi sfrecciano biciclette e ragazze e ragazzi in rollerblade. Quasi esclusivamente sloveni. Il muro, quello delle abitudini e delle distanze, esiste infatti ancora. Anche se il confine quasi non c'è più. Negli orti vicini alla pista ciclabile un anziano inizia a dare le prime cure primaverili al suo orto. "Si, sono in Italia" urla, per farsi sentire, a noi affacciati sulla sua proprietà "e quella rete l'ho dovuta mettere io, altrimenti, del confine, nessuno se ne cura. Roba da matti".
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