La questione della località balneare di Varosha, abbandonata dall'invasione turca di Cipro nel 1974, torna a creare divisioni e polemiche: il piano turco di riaprirla è stato respinto sia dai greco ciprioti che dall'ONU. Francesco Martino (OBCT) per il GR di Radio Capodistria [8 agosto 2021]
I fantasmi di Varosha tornano a spaccare l'isola divisa di Cipro. La località balneare, all'epoca una delle più quotate nel Mediterraneo, venne abbandonata da almeno 15mila greco-ciprioti dopo l'invasione turca del 1974, e da quel momento i suoi alberghi e appartamenti sono rimasti vuoti, circondati da filo spinato e guardati a vista dai militari turchi.
Da allora il destino di Varosha rappresenta una delle questioni più spinose ereditate da quel conflitto irrisolto, che vede Cipro spaccata e contesa tra greco-ciprioti e turco ciprioti, che nel 1983 hanno dichiarato l'indipendenza, riconosciuta però soltanto da Ankara.
Ora, a quasi mezzo secolo dall'invasione, e nonostante il decennale tentativo di mediazione da parte dell'ONU, i leader turco-ciprioti, appoggiati dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, hanno annunciato l'intenzione di riaprire Varosha, una cui parte dovrebbe passare dall'amministrazione militare a quella civile.
Una proposta ritenuta però del tutto inaccettabile da parte greco-cipriota, che vede nella mossa un tentativo, neanche troppo velato, di costringere i legittimi proprietari a vendere. Una posizione rafforzata anche dall'intervento del Consiglio di sicurezza dell'ONU, che a fine luglio ha condannato l'intenzione di riaprire Varosha “a persone diverse dai suoi abitanti”.
Il braccio di ferro sulla località balneare fa da sfondo all'impasse nei negoziati tra le due parti, mai veramente ripresosi dal fallito referendum sulla riunificazione del 2004, respinto allora a grande maggioranza dai greco-ciprioti. Uno stallo che Erdoğan vorrebbe superare attraverso il riconoscimento di diritto di due stati indipendenti e divisi sull'isola.
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