Cresce la tensione nel Mediterraneo orientale sull'asse Turchia-Grecia, tanto che nelle ultime settimane si è parlato apertamente di possibile conflitto armato tra i due paesi - alleati Nato - per il controllo delle risorse energetiche nell'area. Francesco Martino (OBCT) per il GR di Radio Capodistria [14 giugno 2020]
La Grecia è pronta a contrastare la Turchia nel Mediterraneo orientale, se necessario anche con mezzi militari. Il messaggio minaccioso del ministro della Difesa greco Nikos Panagioutopoulos, diretto mercoledì scorso all'élite politica di Ankara, dà la misura della crescente tensione tra i due paesi.
Ad avvelenare un rapporto mai troppo tranquillo – nonostante la decennale appartenenza di Atene e Ankara all'Alleanza atlantica – sono soprattutto disaccordi sulla gestione e lo sfruttamento delle risorse energetiche nel Mediterraneo orientale.
Con la firma di un controverso accordo con il governo libico, la Turchia sostiene di aver definito a suo favore i diritti di sfruttamento di ampie aree del fondale marino, e ha già annunciato di voler lanciare a breve trivellazioni alla ricerca di idrocarburi.
Una mossa dichiarata illegale dalla Grecia, che rivendica a sé parte sostanziale degli stessi fondali. La settimana scorsa – a conferma delle tensioni – una nave militare turca ha impedito ad un vascello greco di ispezionare un cargo libico in transito nella regione.
Le probabilità di un conflitto armato sembrano al momento più teoriche che reali, nonostante i numerosi punti di dissidio. Il presidente turco Erdoğan, ad esempio, ha recentemente annunciato la volontà di ritrasformare l'ex cattedrale bizantina di Santa Sofia a Istanbul – oggi un museo – in moschea, suscitando le forti proteste di Atene.
Tra i due paesi resta calda anche la questione migranti, dopo che lo scorso febbraio Ankara aveva aperto le sue frontiere e migliaia di richiedenti asilo si erano riversati sul confine greco, suscitando la ferma reazione delle autorità elleniche.
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