Aumenta il flusso di migranti e rifugiati, soprattutto siriani, che dopo la chiusura della “rotta balcanica” tornano in Turchia dalla Grecia. Francesco Martino (OBC-Transeuropa) per il GR di Radio Capodistria [6 novembre 2016]
Sono sempre di più i rifugiati siriani in Grecia che decidono di tornare in Turchia per poi tentare il viaggio a ritroso fino a rientrare in patria, nonostante gli orrori della guerra civile ancora in corso.
Difficile fare una stima precisa: da mesi però centinaia di rifugiati, disillusi dalle condizioni di vita in Grecia e dall'impossibilità di proseguire il viaggio verso l'Europa centro-settentrionale, arrivano sulle rive del fiume Evros, che segna il confine tra Grecia e Turchia, e lo passano grazie all'aiuto interessato dei trafficanti.
Dal marzo scorso, quando la “rotta balcanica” è stata serrata, circa 60mila rifugiati sono rimasti bloccati in Grecia. Molti hanno aspettato per settimane nel campo improvvisato di Idomeni – al confine con la Macedonia – che le frontiere venissero riaperte, prima di rassegnarsi ad essere trasferiti in campi organizzati dal governo ellenico.
Alcuni hanno quindi tentato di chiedere asilo in Grecia, prospettiva resa poco allettante da crisi economica e lungaggini burocratiche, mentre il piano di rilocazione in altri paesi UE, lanciato da Bruxelles nel settembre 2015, per ora si è rivelato un fallimento quasi completo, a causa dell'ostruzionismo di molti stati membri.
La disperata soluzione, per molti, è quindi quella di far ritorno indietro, attraversando a guado o su imbarcazioni improvvisate il fiume che segna il confine di terra con la Turchia.
Se in tanti desistono, però, molti sperano ancora di farcela, in direzione opposta: secondo le autorità greche il flusso in entrata continua infatti ad aumentare. Dallo scorso luglio, la polizia ellenica ha fermato più di mille migranti, arrestando al tempo stesso almeno 70 trafficanti.