La questione migranti nuovamente ostaggio dello scontro Turchia-UE: dopo le tensioni delle settimane scorse con Germania e Olanda, Ankara minaccia di utilizzare i rifugiati come arma di ritorsione. Francesco Martino (OBCT) per il GR di Radio Capodistria [18 marzo 2017]
Spalancare le frontiere e spedire ogni mese 15mila migranti e rifugiati nell'Unione europea: questa l'esplicita minaccia formulata giovedì scorso dal ministro degli Interni turco Süleyman Soylu.
L'attacco di Soylu fa seguito a settimane di altissima tensione tra Turchia, Germania e Olanda: i due paesi europei hanno infatti impedito a ministri di Ankara di partecipare a comizi rivolti alle numerose comunità turche che vi abitano, in vista del referendum del prossimo 16 aprile, col quale l'attuale capo di stato Recep Tayyp Erdoğan vuole accentrare ancora di più il potere trasformando la Turchia in una repubblica presidenziale.
I forti contrasti hanno messo nuovamente in evidenza la potenziale fragilità del controverso accordo - firmato nel marzo 2016 - col quale la Turchia ha accettato di rafforzare il controllo sui flussi migratori in cambio di aiuti economici e dell'eliminazione dei visti verso l'Unione europea, e che di fatto ha portato alla chiusura della cosiddetta “rotta balcanica”.
L'intesa resta però solo parzialmente implementata, e la questione migranti continua a pesare come una spada di Damocle sui rapporti bilaterali. Le minacce di Soylu, secondo il quale il rinnovato arrivo in massa di migranti sulle coste greche dovrebbe ridurre l'UE a più miti consigli, si sommano alla percezione – radicata in Turchia - che i paesi europei siano stati indifferenti, se non attivamente coinvolti, nel tentato golpe del luglio 2016, quando una parte dell'esercito tentò di sottrarre con la violenza il potere al partito di Erdoğan.
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