Risto Karajkov ha ottenuto il titolo di Dottore di ricerca presso l’Università di Bologna, con una tesi di ricerca sull'aiuto estero ai Balcani dal 1990 al 2005. Ha maturato oltre dieci anni di esperienza in organizzazioni internazionali e della società civile nei Balcani. Attualmente lavora come analista free lance e consulente, collaborando con numerosi media e think tank. È ricercatore associato della John Hopkins University di Bologna e del World Institute for Development Economics Research of the United Nations University (UNU-WIDER) di Helsinki. È inoltre corrispondente da Skopje di Osservatorio Balcani e Caucaso dal 2004.
A questo punto del dibattito, vorrei richiamare i partecipanti su un punto centrale.
Uno degli argomenti più citati da diplomatici Ue e analisti è che “alla fine sta agli stessi Paesi dei Balcani occidentali, ai loro meriti” rendere più breve o più lungo il loro tragitto per l’Europa. Ma non è sempre vero...
Perché allora bisognerebbe spiegare com’è possibile - ad esempio - che la minoranza macedone in Grecia, Paese membro Ue e dunque aderente ad una comunità di valori, tutt’oggi non possa ancora dichiarare liberamente la sua identità, né vedersi riconosciute la propria lingua e cultura.
Al contrario, assistiamo ad una situazione piuttosto imbarazzante, e cioè che i più alti valori vanno incontro a fallimenti vistosi nella pratica.
Come molti analisti negli anni hanno osservato, l’Unione europea vede soltanto i fallimenti che vuole vedere. Così, spesso, non solo gli standard per i Paesi aspiranti all’adesione sono più alti di quelli riservati agli Stati membri, ma oltretutto Bruxelles mostra doppi standard nel valutare i progressi tra i diversi Paesi candidati all’ingresso Ue.
Il gioco è essenzialmente politico, dunque. O comunque la verità sta nel complesso equilibrio tra etica, politica ed interessi in gioco.
Allora domandiamoci: nei Balcani, progressi consistenti sul fronte delle riforme basterebbero ad assicurare un facile accesso in Europa, se non ci fosse volontà politica da parte degli Stati membri, perché magari concentrati altrove, su preoccupazioni più gravi in questo momento? La risposta ovviamente è no. Ma allora sarebbe vero il contrario, e cioè che il forte slancio politico pro-allargamento potrebbe far considerare trascurabili alcune lacune nei Paesi candidati? Alla luce di episodi recenti in materia di allargamento, potrei rispondere che sì, si è verificato proprio questo.
A questo punto del nostro “match”, se rallentare o accelerare l’ingresso dei Balcani occidentali nell’Unione europea, un’ultima domanda si impone. Pensate che progressi consistenti sul fronte dell’adesione potrebbero creare un altrettanto forte slancio politico?
Sarei tentato di dire di no. Ma allora perché casi isolati di elezioni irregolari dovrebbero essere considerati una minaccia democratica più seria della repressione sistematica di un’intera minoranza etnica per decenni? Dunque a voi la risposta: un’integrazione più veloce nella Ue, aiuterà o ostacolerà la risoluzione dei problemi dei Balcani occidentali?