In questa tesi di laurea viene fatta un'analisi della politica di allargamento dell’Ue nella regione balcanica, evidenziando criticità ed effetti indesiderati. Muovendo da un primo inquadramento teorico e generale, la tesi approfondisce il dilemma tra stabilità e democrazia, i due obiettivi alla base dell’approccio europeo, con focus sulla Serbia
In occasione del ventennale del Consiglio europeo di Salonicco, che nel 2003 promise ai Balcani occidentali un futuro europeo, il presente lavoro di tesi analizza in chiave critica la politica di allargamento dell’Unione europea nella regione balcanica, mettendone in evidenza le criticità e gli effetti indesiderati. In questi anni, infatti, da un lato si è assistito all’ascesa e al consolidamento delle c.d. “stabilitocrazie” – rispetto a cui la stessa Unione europea ha una parte di corresponsabilità - e, dall’altro, al crescente interesse di nuovi attori verso la regione – Russia, Cina, e in misura minore Turchia ed Emirati Arabi Uniti (AUE) -, i quali hanno sfruttato abilmente i vuoti di potere lasciati da Bruxelles per ingerirsi negli affari politico-economici locali e proiettare qui le loro ambizioni di potenza e influenza.
Muovendo da un primo inquadramento teorico e generale della politica in oggetto, la tesi approfondisce il dilemma tra stabilità e democrazia, i due obiettivi alla base dell’approccio europeo, che ha finito per sbilanciarsi a favore del primo e a discapito del secondo, e riflette sul perché in questi Paesi il potere trasformativo dell’Unione europea, una delle cifre della sua identità di potenza “normativa”, sia riuscito solo parzialmente nell’intento di democratizzare gli Stati sorti dalla disgregazione della Repubblica Jugoslava. La combinazione di una certa “fatica da allargamento” da parte dell’Unione e delle fragilità strutturali dei Balcani occidentali – ancora retaggio della fase post-conflittuale degli anni Novanta – ha creato un terreno fertile per la diffusione di un “autoritarismo competitivo” e la formazione di regimi ibridi, le sopramenzionate “stabilitocrazie”, ovvero democrazie deboli e corrotte, se non del tutto illiberali, che internamente sono soggiogate a poteri dispotici e a interessi di parte, mentre all’esterno conservano un afflato europeista e soprattutto godono di legittimità perché si prestano a garanti degli equilibri regionali.
Contestualmente all’indebolimento della forza d’attrazione dell’Unione e del fronte locale filo-europeista, i Balcani occidentali hanno iniziato a diversificare i loro legami internazionali, stringendo rapporti politico-economici con altre potenze, dal modus operandi però ben diverso da quello euro-occidentale e che finisce per esasperare le tendenze regionali all’insegna di un “circolo vizioso di influenza maligna”.
Tutto ciò è osservabile soprattutto in Serbia, che negli ultimi anni ha conosciuto una notevole involuzione autoritaria – a causa principalmente della politica dispotica di Aleksandar Vučić, attuale presidente della Repubblica – e che conduce una politica estera “ondivaga”, oscillando cioè tra lo slancio europeista, da un lato, e ammiccamenti alla Russia e alla Cina, dall’altro, che hanno visto aumentare il loro grado di popolarità. L’analisi del caso serbo è impreziosita dal contributo del dottor Giorgio Fruscione, Research Fellow sui Balcani presso l’ISPI, di cui si riporta l’intervista integrale in appendice.
La tesi si conclude presentando alcune proposte di riforma della politica di allargamento, in particolare il modello di “staged accession”, e con l’auspicio che questa politica ritorni tra le priorità dell’agenda europea, per un reciproco beneficio: dei Paesi balcanici, affinché possano portare a compimento la transizione democratica e il percorso di integrazione nelle strutture comunitarie, e dell’Unione europea, per la sua riaffermazione nella penisola balcanica e la creazione di un’area di prossimità di stabilità e sicurezza impermeabile alle influenze illiberali.
Tesi di laurea
Vai al testo completo (PDF) della tesi di laurea di Chiara Ugona dal titolo "Allargamento dell’Unione europea e stabilitocrazia nei Balcani occidentali: il caso della Serbia di Aleksandar Vučić".