Nel periodo fascista l'economia e la finanza italiana hanno guardato con interesse ai Balcani. In una tesi di dottorato un'analisi sia in termini qualitativi che quantitativi. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

13/03/2007 -  Anonymous User

Di Lorenzo Iaselli

La ricerca ha per oggetto l'espansione economico finanziaria italiana nei Balcani durante il periodo fascista. Lo scopo del lavoro è quello di fornire un'analisi complessiva, sia in termini quantitativi che qualitativi, degli investimenti operati dal capitale italiano nella regione, mettendo in evidenza i tratti peculiari che contraddistinsero le iniziative di maggiore successo e, al contempo, i limiti di fondo che impedirono di contrastare adeguatamente l'egemonia economica raggiunta dalla Germania nel bacino danubiano-balcanico alla fine degli anni Trenta.

Il tema dell'espansione economica dell'Italia nei Balcani risulta di particolare interesse sia per i notevoli riflessi con la politica estera condotta dal regime fascista in Europa Orientale, sia perché, proprio la penisola balcanica, fu un teatro importante nel processo d'integrazione della finanza italiana con quella internazionale, che ebbe negli anni tra le due guerre la sua massima espressione.

Nell'immediato primo dopoguerra, infatti, gli stati dell'Europa Sudorientale avevano attirato le mire espansionistiche delle principali potenze occidentali, interessate a colmare il vuoto di potere determinatosi nella regione in seguito allo smembramento degli imperi centrali. La regione balcanica costituiva un ideale mercato per il collocamento di prodotti finiti e per il rifornimento di cereali, carbone, petrolio, tabacco e legname a basso costo. Inoltre, rappresentando un naturale collegamento tra l'Europa, il Medio Oriente e l'Africa, i paesi dell'area balcanica rivestivano una funzione commerciale, strategica e militare di grande importanza, sia per l'espansione ad Est, sia per il consolidamento delle posizioni acquisite dalle maggiori potenze mondiali nel bacino del Mediterraneo.

Il lavoro è diviso in due parti. Nella prima sono analizzate le operazioni finanziarie realizzate dal capitale pubblico italiano nei Balcani. In quest'ambito, assumono un particolare rilievo i prestiti internazionali finalizzati alla stabilizzazione monetaria degli stati danubiani, a cui governo e Banca d'Italia parteciparono in misura significativa. Il regime, infatti, intravide nell'adesione al gold exchange standard dei paesi balcanici, un'occasione importante per acquisire prestigio internazionale agli occhi della grandi potenze, sostenendo al contempo le aspirazioni di influenza economica nella regione.

Un'attenzione specifica, poi, è rivolta al caso albanese, meritevole di autonoma considerazione per l'importanza delle iniziative economiche e finanziarie realizzate nel piccolo stato balcanico, tra le quali spicca, senza dubbio, la creazione e la gestione italiana di un nuovo sistema monetario all'interno del paese. L'analisi svolta in questa parte del lavoro si basa in grande misura su documenti inediti, appartenenti agli archivi della Banca Nazionale d'Albania e della Società per lo sviluppo economico dell'Albania, conservati presso l'Archivio Centrale dello Stato di Roma ed ancora in fase di inventariazione.

Nella seconda parte della ricerca l'attenzione si sposta sulle caratteristiche degli investimenti operati nella penisola balcanica dal capitale privato italiano (bancario, assicurativo ed industriale). Nello specifico, l'analisi si focalizza sul processo di espansione delle reti multinazionali delle maggiori banche, industrie e compagnie assicurative italiane, che proprio in Europa Orientale ebbero una delle principali direttrici di sviluppo.

La mole di iniziative riconducibili a questa tipologia d'investimento, in gran parte autonome rispetto alle pressioni politiche esercitate dal regime, testimonia come i Balcani rappresentassero, agli occhi del capitale industriale e finanziario italiano, un'area dal grande potenziale strategico, in cui lo sviluppo dei mercati e delle vie di comunicazione avrebbero costituito un passo necessario per la piena valorizzazione economica.

La trasformazione intervenuta nell'apparato industriale italiano durante la prima guerra mondiale, infatti, aveva reso l'industria nazionale sempre più dipendente dall'importazione di materie prime dall'estero. I paesi balcanici si presentavano, in tale ottica, come una direttrice di investimento privilegiata, per una serie di motivi: la presenza di risorse del sottosuolo (carbone, petrolio, minerali metallici) abbondanti e meno onerose di quelle acquistabili in paesi più sviluppati economicamente, li rendeva mercati di approvvigionamento d'importanza strategica. D'altra parte, tali paesi, che non avevano ancora raggiunto uno stadio di sviluppo industriale moderno, rappresentavano anche mercati di sbocco potenzialmente molto interessanti per l'industria nazionale, che avrebbe potuto collocare le aliquote di produzione eccedenti il fabbisogno nazionale.

Per i motivi sopra descritti, le principali banche italiane, nell'ambito del processo di sostenuta internazionalizzazione che le vide protagoniste nel corso degli anni Venti, accrebbero notevolmente la loro presenza in Europa Orientale, destinando risorse finanziarie, umane e organizzative in una regione considerata ad alto potenziale strategico.

I settori produttivi in cui s'indirizzarono principalmente gli investimenti industriali italiani furono quello estrattivo (ad utilità più immediata) e quelli legati all'industria elettrica, meccanica, automobilistica e dei trasporti, ovvero i settori propedeutici all'allargamento del mercato e alla creazione di infrastrutture (ad utilità fortemente differita).

Nell'ambito delle iniziative patrocinate dal capitale privato, assume una specifica importanza il ruolo svolto da alcuni esponenti di spicco dell'industria e della finanza del paese (Volpi, Pirelli,, Agnelli, Feltrinelli, Merzagora, Toeplitz, Morpurgo, Frigessi di Rattalma), che, in virtù della grande cultura e preparazione tecnica internazionale, del bagaglio di conoscenze e di relazioni personali accumulate in anni di esperienza maturata nei mercati del Vicino Oriente, e grazie all'individuazione di strategie di espansione finanziaria innovative, consentirono all'Italia di ritagliarsi spazi di manovra significativi nei mercati danubiani, pur in assenza di grandi capitali da destinare all'investimento estero ed in presenza di una bilancia dei pagamenti passiva.

La stima analitica della presenza del capitale italiano nei Balcani alla vigilia della seconda guerra mondiale, basata su documenti d'archivio di recentissima pubblicazione, consente, infine, di esprimere un giudizio obbiettivo sul reale contributo che le risorse economiche della regione avrebbero potuto fornire al fabbisogno nazionale, nel quadro delle prospettive autarchiche delineate dal regime fascista.

La ricerca si basa su documenti appartenenti ai principali archivi storico-economici del paese (Banca d'Italia, Banca Commerciale, Credito Italiano, Banco di Napoli, Fondazione Einaudi, FIAT, IRI), in buona parte inediti o, comunque, non richiamati dalla storiografia che in passato si è occupata dell'argomento.

Il tema, infine, presenta per molti aspetti degli spunti di grande attualità, alla luce della rinnovata vivacità dimostrata da banche, industrie e investitori istituzionali italiani nel processo di trasformazione in senso capitalistico che gli stati balcanici stanno attualmente percorrendo, in seguito al crollo dei regimi comunisti.

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