Una tesi di laurea sull'esperienza ormai quasi decennale dell'Agenzia della Democrazia Locale di Prijedor, nord della Bosnia. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Di Eugenio Berra
Il presente lavoro nasce dalla mia esperienza all'Agenzia della Democrazia Locale di Prijedor, presso la quale ho svolto uno stage di sei settimane dagli inizi di Maggio alla fine del Giugno scorso.
In questo periodo ho avuto la possibilità di analizzare sul campo, attraverso lo studio del materiale presente negli uffici della ADL e dell'OSCE di Prijedor, ma soprattutto attraverso gli incontri e le interviste condotte alla popolazione locale (sia coloro che partecipavano ai progetti della ADL che i cittadini), una nuova modalità di cooperazione che è stata definita cooperazione comunitaria, incentrata sull'incontro e scambio tra due diverse comunità; nel caso specifico tra la comunità trentina e quella di Prijedor.
Parlare di incontro, di scambio, significa richiamare tra le priorità del "fare cooperazione" quei concetti di reciprocità e prossimità che secondo una parte della letteratura scientifica da me analizzata sono andati perduti negli ultimi vent'anni per far posto a nuovi diktat più in linea con i cambiamenti nelle relazioni Nord-Sud così come Nord-Nord, cambiamenti che trovano un loro comun denominatore nel variegato e stratificato processo chiamato globalizzazione.
Partendo proprio dalle conseguenze (specialmente in termini economici di aumento della povertà) della globalizzazione e in particolare del suo impatto nel aree del sud del mondo, il primo capitolo si muoverà per studiare la risposta che il mondo della cooperazione (sia quella governativa che non governativa) ha saputo dare, risposta che si è però risolta da una parte con l'emergere, a partire dalla fine degli anni settanta, delle cosiddette politiche di aggiustamento strutturale di Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, presentate come strumenti per prevenire e curare l'instabilità finanziaria di molti paesi del Sud del mondo ma in pratica generatori di nuove disuguaglianze e povertà; dall'altra in un graduale indebolimento dell'aiuto pubblico allo sviluppo al cui posto è subentrata, con la fine della guerra fredda e del blocco est-ovest, una nuova logica denominata dell'Aiuto umanitario d'emergenza.
Il secondo capitolo cercherà di analizzare finalità (politiche) sottese e metodi d'intervento di questo nuova modalità, nel tentativo di far uscire le "ambiguità" sottostanti, riassumibili in tre concetti delineati da Michele Nardelli in un articolo apparso su Comunitas l'aprile scorso: invasività, insostenibilità e inefficacia. Invasività ovvero la non conoscenza e il mancato rispetto dei contesti locali in cui si va ad operare; l'insostenibilità di quel procedere per progetti che considerano la sostenibilità in uno spazio finito e oltretutto senza prendere minimamente in considerazione i bisogni reali dei beneficiari che non vengono in alcun modo coinvolti nell'implementazione dei progetti; inefficacia infine, ossia la considerazione finale che dopo cinquant'anni di politiche di cooperazione la spirale di disuguaglianze e povertà non si è ristretta ma anzi i processi di globalizzazione ne hanno provocato un drastico aumento. Nella parte finale del capitolo in questione si tratteggeranno possibili soluzioni e nuovi scenari futuri di rinascita della cooperazione, da rifondare partendo da quei concetti di prossimità e reciprocità appena accennati: con questi due termini ho voluto riferirmi alla necessità da parte del mondo dell'aiuto umanitario di tornare a radicarsi nei contesti in cui opera, mettendosi in gioco con l'Altro che si vuole aiutare e smettendo una volta per tutte di concepire il rapporto solamente in termini assistenzialistici (quando non paternalistici); la prossimità come mezzo per conoscere a fondo i meccanismi presenti in una situazione e prevenire le possibili conseguenze negative, fatto questo che può portare al limite ad una profonda revisione delle proprie metodologie lavorative. Reciprocità e prossimità significa, più in generale, che il fare cooperazione non è mai solo e soltanto un "dare", ma implica anche un ricevere (saperi, conoscenze, cultura, affetti) e che dunque rappresenta un momento di arricchimento e cambiamento personale.
Seguendo il percorso di Alberto Magnaghi (Magnaghi, 2002), ho trovato nei concetti di territorialità e sviluppo locale autostenibile un possibile punto di partenza verso un nuovo modo di intendere il "cooperare", che tratterà i territori nei quali opera come "organismi complessi di lunga durata" (Magnaghi, 2002, pag.34) e lavorerà al fine della loro valorizzazione attraverso lo stimolo e la crescita delle identità locali presenti e del patrimonio di cui ogni comunità è ricca (se non si intende con questo termine solo la ricchezza economica, in ciò allontanandosi da tutti gli approcci classici di sviluppo di stampo economico); e parallelamente concepirà la sostenibilità di ogni forma di sviluppo solamente a partire dalle capacità auto-organizzative dei soggetti che fanno parte della comunità in questione, intendendo con ciò che qualsisasi modello di sviluppo (come pure tutti i progetti) non può appoggiarsi a sostenibilità esterne, eterodirette e tecnicistiche ma andrà auto-sostenuto dalle stesse popolazioni coinvolte, sottolineando in tal modo l'importanza di stimolare forme di autogoverno e processi di diplomazia popolare necessarie per sviluppare capacità di cura del proprio territorio autonome.
Il terzo e ultimo capitolo si concentrerà sull'analisi di un caso, quello dell'Agenzia della Democrazia Locale di Prijedor. Partendo da una descrizione della guerra a Prijedor (la quale, questa la mia tesi, ha riprodotto a livello "micro" le stesse dinamiche analizzate nel primo capitolo per parlare della guerra in Bosnia ) e della situazione economico-sociale di Prijedor oggi, sono passato a descrivere l'Agenzia della democrazia locale: il suo inquadramento giuridico nel mondo delle ADL, in particolare il rapporto col Congresso dei poteri locali e regionali del Consiglio d'Europa; il lungo percorso che ha portato alla nascita di quella di Prijedor e infine i numerosi campi di intervento in cui è coinvolta la ADL. In conclusione ho riportato due progetti specifici da me seguiti durante lo stage: il progetto "giovani imprenditori", che dal 2003 si occupa di lanciare giovani nel mondo della piccola imprenditoria attraverso un lungo corso di formazione che prevede anche un periodo di stage a Trento e un piccolo finanziamento attraverso il sistema del micro-credito; e il "Gruppo sulla trasparenza e la riforma della pubblica amministrazione" che dal 2002 ha stimolato la crescita del lungo e difficile processo di democratizzazione iniziato con la fine della guerra. Nel Gennaio del 2003 è stato a tal proposito aperto un URP a Prijedor, sul modello dei nostri Uffici Relazioni con il Pubblico,preceduto da un periodo di stage a Trento durante il quale alcuni rappresentanti del Governo cittadino sono entrati in contatto con il personale dell'URP della cittadina trentina.