Quali furono le conseguenze dei due conflitti balcanici del biennio 1912-13? Quali si trascinano sino ai giorni nostri? Il punto di vista dell'Italia d'allora su quel periodo della storia balcanica. Una tesi di laurea
Di Stefano Zanotto
I due conflitti balcanici del biennio 1912-13 segnano il consolidamento territoriale degli Stati nazionali della regione ed il coronamento del loro risorgimento iniziato nel corso dell'Ottocento. I confini tracciati nell'agosto 1913 con la pace di Bucarest, se si eccettuano l'unione di serbi, croati e sloveni, e altre piccole rettifiche conseguenti al conflitto mondiale, resteranno immutati fino alle sanguinose guerre balcaniche degli anni 90 del Novecento, dove ritroviamo questioni e temi già allora ampiamente discussi e di difficile soluzione. Fra tutti il problema del Kosovo o Vecchia Serbia, rivendicata e infine ottenuta da Belgrado, ma abitata in maggioranza da popolazioni albanesi ferocemente nemiche degli slavi, i quali già allora - come si evince dai rapporti dei consoli italiani, conservati all'Archivio storico del ministero degli Affari esteri - si rendono responsabili di operazioni di pulizia etnica.
Ma le guerre balcaniche del 1912-13 hanno importanti ripercussioni anche sul breve periodo: l'Austria, almeno nel prestigio, esce indebolita da questa crisi, che sembra bloccare i suoi disegni espansivi, mentre per contro la Serbia aumenta la sua forza ed il suo potenziale attrattivo sulle popolazioni sud-slave dell'impero asburgico; il concerto europeo appare pericolosamente sempre più diviso in blocchi contrapposti, che aumentano la loro solidità e compattezza interna.
L'Italia può guardare con compiacimento all'esito della Prima guerra balcanica: la vittoria della Quadruplice (Serbia, Bulgaria, Montenegro e Grecia) allontana il pericolo di un'espansione austriaca nella penisola, mentre la creazione dell'Albania, alla quale Roma concorre attivamente, corrisponde ai suoi interessi di salvaguardia dell'equilibrio strategico dell'Adriatico. La Consulta affronta diplomaticamente la crisi balcanica mantenendosi molto vicina alle sue alleate, come raramente è accaduto nella storia della Triplice. Talvolta, però, non manca da parte italiana la consueta ambiguità, come nella questione di Scutari: questa condotta è dettata, in parte, dall'esigenza di controllare da vicino e prevenire le mosse dell'Austria. I rapporti fra Roma e Vienna peggioreranno nei mesi seguenti, soprattutto a causa del problema dell'Albania, dove la loro cooperazione per la nascita di uno Stato autonomo prenderà le sembianze, per dirla con lo storico australiano Bosworth, di una «guerra fredda semicoloniale».
Pur dimostrando in questi anni precedenti la Grande guerra un certo dinamismo diplomatico, l'azione del governo italiano, anche riguardo al conflitto balcanico, è spesso criticata dall'opinione pubblica e dalla stampa nazionale, che rimproverano ai responsabili della politica estera eccessiva cautela, presunta remissività e mancanza di spirito di iniziativa. In particolare la collaborazione con la duplice monarchia nella crisi balcanica non è sempre ben vista, ed è talvolta considerata incompatibile con gli interessi italiani, con la Consulta che viene criticata per la sua debole politica "a rimorchio" dell'Austria. Queste accuse, sicuramente eccessive, non provengono solo dagli ambienti nazionalisti propriamente detti, ma riecheggiano un po' ovunque in un Paese ancora eccitato dall'impresa libica, che ha aumentato la consapevolezza della grandezza della nazione e del suo status di grande potenza. L'opinione pubblica nel complesso è schierata decisamente a favore della Quadruplice: vengono riconosciute diverse analogie fra le lotte di questi Paesi e il risorgimento italiano, mentre prevalgono, come nel resto d'Europa, sentimenti violentemente antiturchi ed antimusulmani. Anche in questo caso certi toni da crociata, la netta contrapposizione fra due civiltà, con quella occidentale che è ritenuta l'unica in grado di condurre al progresso e allo sviluppo della modernità, costituiscono temi e motivi, diffusi allora anche in ambito democratico (con la parziale eccezione dei socialisti), che sono tuttora pienamente attuali. In anni in cui non si perde occasione di ricordare la nocività dei sentimentalismi in politica estera, la simpatia con cui si guarda alla causa balcanica non è incondizionata: quando le pretese degli alleati si fanno eccessive e contrastano con quelli che sono riconosciuti come interessi italiani, ad esempio a proposito dell'Albania, la stampa nazionale si oppone ad esse e ricorda come le esigenze del Paese vengano prima di tutto, in un'anticipazione di quello che qualche mese più tardi verrà chiamato "sacro egoismo".