In questa ricerca si analizza il processo d'integrazione della Croazia nell'Ue, da una parte, e il processo d'integrazione europea nella sua fase più recente, dall'altra, ripercorrendo tutti gli aspetti politici di rilievo. Una tesi di laurea
di Aleksandra Šućur
Si analizza il processo d'integrazione dello stato croato nell'Unione europea, da una parte, e il processo d'integrazione europea nella sua fase più recente, dall'altra, ripercorrendo tutti gli aspetti politici di rilievo. L'interesse croato ad aderire all'Ue scaturisce dal giorno del suo riconoscimento internazionale ed è direttamente influenzato dalla Politica di Allargamento e Approfondimento dell'Ue. Le motivazioni della Croazia ad aderire all'Unione europea sono simili a tutti i paesi di recente adesione (2004 e 2007): aspettative di maggiore prosperità economica e sociale, maggiori necessità verso integrazioni economiche, maggior senso di sicurezza e stabilità, di democrazia e di credibilità internazionale all'interno di un importante fenomeno d'integrazione come quello dell'Unione europea. L'Unione, invece, è motivata all'allargamento dalle necessità di estendere il proprio spazio politico ed economico nonché da necessità strategiche: sopratutto quella di definire il proprio limes verso la Russia integrando anche l'area balcanica.
Inserita nella regione geografica nota come il "Sudest europeo" o i "Balcani" - la quale per oltre un decennio ha risentito di conseguenze della guerra che hanno accompagnato la dissoluzione dello stato federale jugoslavo ed è stata solo parzialmente e recentemente abbracciata dal fenomeno integrativo (Romania, Bulgaria) - il secondo fattore che ha influito e influisce direttamente su questo processo è la situazione nella regione del Sudest europeo nonchè la policy che l'Ue adotta nei confronti della stessa.
Il terzo fattore influente sul processo di adesione è la situazione interna croata: la sua capacità di far fronte agli impegni derivanti dalla futura membership, la quale viene valutata in base ai cd. "criteri di Copenaghen", ovvero, la capacità di uno stato di adempiere politicamente, economicamente e giuridicamente ai doveri derivanti dalla membership.
Questi tre aspetti vengono concettualmente approfonditi attraverso cinque capitoli che ricalcano il "modello di cicli d'integrazione" dalla teoria dell'integrazione:
1. relazioni Croazia-Ue durante il ciclo d'integrazione nel suo periodo di espansione
2. relazioni Croazia-Ue alla fine del periodo di espansione
3. relazioni tra la "vecchia" e la "nuova" Europa
4. analisi e prospettive dell'attuale periodo di stallo
5. proiezioni sulle future relazioni tra Croazia, Unione europea e il resto del Sudest europeo.
Aprendo con uno sguardo sugli importanti avvenimenti accaduti a cavallo tra gli anni ottanta e novanta, che interessarono l'intero continente e alimentarono il ciclo espansivo, si osservano i fatti contemporaneamente accaduti in Croazia, i quali determinarono il suo tardivo inserimento nel processo d'integrazione con l'Ue. La sua condizione di stato nato dalla dissoluzione jugoslava e colpito dalla guerra la legano in modo peculiare alle politiche europee dell'epoca, concentrate soprattutto sulla sicurezza, la pace e la stabilità, sulla necessità di maggiore coesione e coordinamento allo scopo di incidere di più nell'arena internazionale e di dotarsi di una forza militare e di sicurezza propria. Il dibattito, lungo e problematico, sulle politiche e gli strumenti da adottare, trovò i maggiori stati europei spesso contrapposti anche negli approcci verso l'area ex-jugoslava in generale e verso la Croazia in particolare. Fu la potenza monetaria tedesca a determinare il riconoscimento della Croazia il giorno dopo la seduta del Consiglio dei Ministri Europeo che decise l'unificazione monetaria europa e sotto minaccia di un Alleingang tedesco, se il riconoscimento non fosse stato condiviso da altri stati europei.
Dal 1997 in poi l'Ue, motivata soprattutto dalla ricerca di una pace e di una stabilità durature nella regione del SEE, lanciò numerose iniziative politiche che interessarono anche la Croazia e dal 2000 in poi si ebbe un vero e proprio slancio nelle trattative che portarono alla firma di importanti accordi, quale l'Accordo di stabilità e associazione, prospettandole l'effettiva candidatura nel prossimo futuro. La prima fase del processo d'integrazione all'Ue si svolse, senza particolari interruzioni o disturbi, a ritmi sostenuti, sino al temporaneo arresto dei negoziati - "per motivi politici" (mancata consegna del generale Gotovina, latitante nel paese stesso) - verificatosi nel mese di marzo 2005 e durato sino al 3 ottobre 2005.
A questo punto il ciclo d'integrazione volge verso il suo periodo di stallo, determinato dalla tensione scaturita dopo il grande allargamento del 2004 ed espresso con la bocciatura della Costituzione europea in Francia e Ollanda (maggio '05). L'Ue si accorge inoltre che l'adempimento ai criteri di Copenaghen non era di per sé garanzia che uno stato aderente sarà davvero in grado di recepire velocemente l'acquis communautaire dopo l'adesione, a causa di una certa perdita d'entusiasmo e di zelo nell'attuare le riforme necessarie che contraddistinsero il periodo di pre-adesione nei paesi della cd. "Nuova Europa".
Un intero capitolo viene dedicato all'approfondimento degli aspetti economici dell'integrazione, ovvero, delle relazioni tra la "vecchia Europa" e i paesi di recente adesione, ponendo in risalto l'"agognato" processo di transizione, in modo comparativo con la Croazia. L'allargamento dell'Ue viene analizzato prendendo come punto di partenza la sua "seconda" motivazione, cioè, la sua corresponsione alle dinamiche capitalistiche, che vede la membership nell'Ue come un sicuro involucro esterno con lo scopo di garantire la ristrutturazione neo-liberale nell'Europa, servendo contemporaneamente come un "test funzionale" per capire se l'Europa si voterà definitivamente verso la sua interezza o l'intero processo verrà arrestato.
Nonostante il "test funzionale" regge sotto il profilo degli indici economici complessivi, la fatigue d'Europe si registra sia nella "vecchia" che nella "nuova" Europa e l'europeismo risente il peso di diversi fattori: l'aumento della complessità, il fatto che le buone performance economiche nascondono aumenti delle disparità interne agli stati, le tensioni intrinseche in un apparato così grande ed eterogeneo come quello dell'Unione che lo rende vunerabile, meno efficace, coordinato e incisivo. Questi argomenti, ai quali vanno aggiunti l'incompiutezza degli assetti istituzionali e i limiti finanziari dell'Ue, hanno influenzato il dibattito sulla cd. capacità d'assorbimento europea e un visibile rallentamento nella politica del suo allargamento verso il SEE.
Il perdurare dello status quo nella regione risulta però altamente rischioso e preme in senso opposto rispetto all'inattività determinata dallo stallo prodotto da queste tensioni europee. L'Unione è cosciente del rischio geo-politico della non-integrazione dell'area e propone gli strumenti di tutela aggiuntiva (per i due stati aderiti nel 2007 si tratta di strumenti di monitoraggio e di salvaguardia, mentre per l'adesione croata vengono valutati i cd. benchmarks) e le politiche alternative all'adesione (la Politica del Vicinato per tutti gli altri paesi).
In base alle analisi qui condotte, la Croazia in sè risulta uno stato che - per aspetti politici di rilievo, per aspetti economici comparati, nonché per il rating tra i cittadini dell'Ue - avrebbe già dovuto far parte dell'Unione. Tuttavia, gli elementi che hanno provocato lo stallo, combinati alla ben nota e persistente mancanza di una precisa, coerente e unitaria posizione dell'Ue nei confronti del SEE, bloccano o perlomeno rallentano le prospettive di riconoscimento delle riforme e dei progressi compiuti dalla Croazia, con probabili negative ripercussioni sul resto della regione, la quale ha spesso frainteso i segnali di Bruxelles. Sotto questo profilo, il ritorno nel linguaggio politico ad un'astratta "visione regionalistica" come formula d'integrazione sarebbe pretestuoso (per non impegnarsi seriamente sotto vari aspetti: rispetto degli accordi, azioni concrete per migliorare l'inter- e infra-connessione dell'area, rigore olistico che vede come "regione" un'area le cui parti sono - se non del tutto simili - perlomeno funzionali e funzionanti tra di loro) e controproducente (perché non premierebbe gli impegni e i risultati raggiunti dai singoli paesi, suggerendo comportamenti diversi da quelli addottati dalla Croazia fino d'ora). Tuttavia, esaminare la sola situazione croata, disinteressandosi del tutto dei paesi adiacenti sarebbe altrettanto controproducente.
Allo stato, la Croazia risulterebbe l'ultimo stato che farà l'ingresso nell'Ue (nel 2009 o 2010) e l'Ue non dovrebbe venire meno a questo impegno. Gli interessi specifici dovuti alla prossimità, rendono la Croazia anche utile (come modello da esportare e come soggetto attivo) nel contesto del SEE e della sfida europea che ha come obiettivo l'unificazione attraverso: il consenso, la democrazia e nella pace. I suoi buoni risultati la mettono in condizione di aiutare a sua volta e - se adeguatamente supportata - tale prospettiva gioverebbe sia ad essa, sia agli altri paesi della regione, sia all'Unione.