Gli accordi di Dayton hanno dato al mondo una Bosnia formalmente in pace ma ancora segnata da profonde ferite, anche istituzionali. Un paese sulla carta unitario ma che subiva forti spinte centrifughe. Fabio Bonin analizza gli anni del dopoguerra bosniaco con un occhio di riguardo ai percorsi avviati nel Paese dalle istituzioni europee e verso l'UE.
Di Fabio Bonin
Nel 1995 in BiH non è solo finita una guerra ma è stato anche intrapreso un lungo progetto di State Building ed Institution Building guidato dalla comunità internazionale, mirante a ridare unità alla BiH dopo quattro anni di guerra civile, a costruire istituzioni democratiche e a compiere la transizione dal sistema socialista a quello liberale e da stato inserito nella Federazione Jugoslava a stato indipedente parte del sistema delle democrazie europee.
La risoluzione del conflitto, che inizialmente doveva essere una questione dell'UE ha visto presto intervenire le Nazioni Unite ed ha finito per essere risolta dalle armi della NATO e dalle decisioni di un gruppo di stati (USA, UK, Russia, Germania, Francia). Il sistema politico ed istituzionale che la BiH ha ereditato dalla guerra e dalla sua risoluzione è segnato dal compromesso tra le due anime presenti sul tavolo di pace a Dayton: quella della comunità internazionale e quella degli stati confinanti.
La comunità internazionale (il gruppo di stati sopra citati) ha portato a Dayton istanze unitariste, espresse nel mantenimento da parte della BiH dei confini internazionali della Repubblica di BiH (la repubblica socialista della Federazione Jugoslava). Questi soggetti hanno inoltre enfatizzato molto il ruolo dei diritti umani nella ricostruzione del nuovo stato, per assicurare un ambiente in cui vivere sicuro per tutti e per scalfire le rigide divisioni etno-nazionaliste della BiH postbellica.
I paesi confinanti, Croazia e Serbia e Montenegro, hanno invece cercato di creare ambienti etnicamente omogenei all'interno della BiH per avere delle proprie aree di influenza. Da qui la creazione delle entità (RS e FBiH) con caratteristiche di mini stati e capaci di imporsi sulle deboli istituzioni centrali. Hanno inoltre posto l'accento delle trattative sui diritti dei gruppi etno-nazionali, ne è nato un sistema politico che prevede la spartizione meccanica delle cariche istituzionali tra i rappresentanti delle tre comunità costitutive.
L'implementazione dei trattati di pace di Dayton è stata poi affidata ad un consorzio formato dalle maggiori organizzazioni internazionali (NATO, ONU, OSCE-Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, IMF-Fondo Monetario Internazionale, WB-Banca Mondiale) coordinato sul campo dall'OHR (ufficio dell'alto rappresentante), la cui linea politica è indirizzata dal PIC (Peace Implementation Council), organo di coordinamento degli stati e delle organizzazioni internazionali impegnate nella ricostruzione.
La storia della costruzione delle istituzioni bosniache vede confrontarsi i movimenti centrifughi della RS e dei cantoni croati della FBiH con il tentativo della comunità internazionale di creare un unico spazio multinazionale. Quest'ultima non ha avuto gli strumenti per imporsi sulle forze centrifughe fino al PIC di Bonn del 1997.
L'HR in quell'occasione ha ottenuto i così detti Bonn Powers, tali poteri danno all'HR la facoltà di rimuovere politici ostruzionisti rispetto alla realizzazione del trattato di pace, di imporre provvedimenti amministrativi e di convocare le riunioni delle istituzioni comuni. Da quella data i vari HR succedutisi in BiH hanno fatto ampio uso di tali poteri.
L'altra novità fondamentale che potrebbe innescare il cambiamento in BiH verso una maggiore unità e coesione dello stato sono gli emendamenti alle costituzioni delle due entità imposti dalla così detta decisione sui popoli costitutivi della corte costituzionale. Introdotti nell'aprile 2002 tali emendamenti dovrebbero innescare dei cambiamenti nelle leggi e nelle istituzioni delle entità che porterebbero alla costruzione di un unico spazio bosniaco in cui i cittadini godano degli stessi diritti a prescindere dalla loro appartenenza etno-nazionale. Attualmente l'HR in carica, Paddy Ashdown, ha avviato una politica che si propone di attuare le riforme ritenute necessarie per la ripresa economica e la democratizzazione del paese. Per fare questo oltre ad imporsi con l'uso dei Bonn Powers può fare leva sul fattore attrattivo dell' UE come obiettivo comune a tutte le forze politiche e a tutti e tre i popoli costitutivi della BiH.
Nella fase odierna l'UE si trova nelle condizioni di poter riscattare il fallimento degli anni novanta giocando il ruolo principale nella transizione della BiH sotto tre aspetti che procedono di pari passo:
- Come orizzonte e obiettivo comune a tutti i bosniaci, rappresentato da Ashdown che ha assunto anche il titolo di EUSR (Rappresentante Speciale dell'Unione Europea)
- Con il partenariato Europeo, previsto dopo il vertice di Salonicco del 2003, che consiste in un rapporto individuale della Commissione Europea con ogni paese dell'area balcanica occidentale al fine di favorire la stipula di un ASA (Accordo di Associazione e Stabilizzazione) ed un più rapido ingresso nell'UE.
- Con il coinvolgimento diretto delle strutture di polizia e difesa dell'UE in sostituzione di quelle dell'ONU e della NATO, per una gestione europea dell'ultima fase della transizione.
Accanto all'intervento e alla lettura ufficiale della transizione ci sono soggetti internazionali, associazioni ed istituti di ricerca, che tengono vivo il dibattito in merito a questi temi. Nella mia ricerca analizzo due proposte o percorsi di disimpegno della comunità internazionale e di restituzione della piena sovranità alle istituzioni locali. Una è la proposta di ESI Making federalism work, l'altra è l'esperienza di Association Bosnia and Herzegovina 2005.