Una tesi di laurea sulle trasformazioni dell'islam in Bosnia Erzegovina negli ultimi 15 anni. Dal conflitto degli anni Novanta fino ai legami con le reti islamiste mondiali. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
di Davide Denti
La tesi indaga le trasformazioni che l'islam bosniaco ha attraversato negli ultimi 15 anni. In una prima parte, relativa agli anni 1990-2000, vengono analizzati come principali motivi di evoluzione il conflitto e il programma di reislamizzazione del partito SDA e della sua cerchia dirigenziale panislamista, attori comunque di origine locale. In una seconda parte, relativa agli anni 1995- 2006, vengono considerate le reti islamiste mondiali come principale attore di trasformazione dell'islam bosniaco; queste arrivarono in Bosnia con il conflitto e vi rimasero durante la ricostruzione, secondo i tre obiettivi di lotta armata (jihad), soccorso umanitario (ighatha) e predicazione (da'wa).
Una rapida comparazione tra questi due filoni di cambiamento dell'islam bosniaco può essere fatta attraverso una rilettura dei due testi esemplari di riferimento, la "Dichiarazione Islamica" scritta da Alija Izetbegović nel 1970 e il libretto programmatico "Le credenze che dobbiamo correggere", edito dall'egiziano Imad al-Misri nel 1993.
Nella "Dichiarazione Islamica" Izetbegović, pur mantenendo come ideale lo Stato Islamico, ne riconosce l'impossibilità all'interno di una società in cui i musulmani, intesi come sinceri praticanti, non siano una maggioranza assoluta. Per raggiungere tale scopo lo SDA, guidato dalla sua cerchia dirigenziale panislamista, metterà in pratica negli anni successivi, ed in questo sarà fortemente aiutato dallo scoppio del conflitto, un ambizioso programma di reislamizzazione della popolazione bosniaco-musulmana. Tuttavia, a causa delle molteplici ambiguità dovute alla natura stessa dello SDA (vertici panislamisti, maggioranza nazionalista), alle necessità di politica estera causate dal conflitto (ricerca della solidarietà dell'umma, necessità del sostegno occidentale) e alle trasformazioni indotte nel sentimento popolare (passaggio dalla reislamizzazione dell'identità nazionale alla "nazionalizzazione" dell'identità islamica, massificazione delle pratiche islamiche con conseguente caduta di qualità e discredito delle stesse), la corrente panislamista dello SDA non sarà in grado di raggiungere i suoi obiettivi.
"Le credenze che dobbiamo correggere", al contrario, si presenta come un elenco degli errori teologici dell'Islam bosniaco in sé. L'obiettivo di Imad al-Misri, e di tutti gli islamisti dopo di lui, era di riportare sulla "retta via" lo stesso Islam bosniaco, che nel tempo si sarebbe allontanato dall'ortodossia islamica. Un'azione dunque volta in contrapposizione agli attori locali dell'Islam, a cui sostituirsi in virtù della propria forza teologica e finanziaria. Di fatto, nemmeno i militanti islamisti hanno raggiunto il loro scopo durante la guerra. Per quanto si siano sforzati di legare predicazione e aiuto umanitario al ritorno all'ortoprassi islamica, la loro azione non ha prodotto una modifica massiccia e durevole dei comportamenti della popolazione. Paradossalmente, il loro presentare diverse vie per il ritorno all'unico, vero, Islam ha portato ad una pluralizzazione ed individualizzazione della pratica religiosa. Comunque, la persistenza della loro predicazione anche dopo la fine del conflitto si configura come un elemento di profonda modifica della struttura dell'islam bosniaco.
Il problema non va strumentalizzato ed ingigantito a fini sensazionalistici come spesso accade nei mezzi di comunicazione italiani e mondiali, ma nemmeno dimenticato. La possibilità di un serio dialogo interreligioso in Europa e nel mondo passa anche per la valorizzazione delle comunanze, e per lo studio di quelle situazioni in cui, come in Bosnia, le diverse comunità religiose hanno potuto convivere più o meno pacificamente per secoli.