Un'analisi socio-economica e storico-politica della Romania post-comunista. Particolare attenzione viene riservata agli investimenti italiani nel Paese e al fenomeno dell'immigrazione. Una tesi di laurea. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Di Giuseppe Ivan Candela
A partire dal 1989, la dissoluzione dei paesi del socialismo reale porta alla ribalta - e alla migrazione - individui che erano stati sottoposti "a una delle più possenti spinte livellatrici e uniformanti dell'età moderna", persone che avevano subito "severi limiti all'iniziativa individuale" e una negazione della libertà di movimento -spaziale e sociale- nel nome di una pretesa razionalità che doveva superare la forma capitalistica e permettere a tutti una vita dignitosa.
Nei primi anni della transizione, la Romania si mostrava come "un paese sospeso fra la miseria e lo smarrimento di una popolazione per troppo tempo deresponsabilizzata, abituata all'invasività dello stato in ogni aspetto della propria esistenza, con un rapido insorgere fra le seconde e terze file del vecchio regime dei nuovi ricchi. L'accumulazione originaria da parte delle élites tecnocratiche e la penetrazione del capitale internazionale erano infatti fenomeni strettamente correlati che si estendevano sui territori neo privatizzati".
Le società italiane che hanno investito in Romania nel periodo successivo al 1990, oltre ad aver inciso sull'economia del paese, hanno anche avuto un profondo impatto sull'ambiente sociale. Quegli anni infatti, si sono contraddistinti per un caratteristico "doppio movimento": una notevole internazionalizzazione del sistema economico italiano, con investimenti produttivi verso l'estero, accompagnata da una crescita dell'immigrazione interna.
L'aumento della mobilitazione della forza lavoro romena si può attribuire ad una logica comune ad altri migranti diretti in Italia: lasciare un ordine sociale, economico e politico per entrare in un altro dove poter muoversi con maggiori opportunità.
L'attività di ricerca iniziata in Romania nel 2004 è stata articolata attorno a tre macro-aree ben definite: una sociale (analisi degli squilibri, delle disuguaglianze, della povertà, dell'esclusione sociale, delle politiche di genere, delle conseguenze degli investimenti, dei processi migratori), una economica (studio degli investimenti esteri, delle delocalizzazioni, dell'economia romena, dell'attuale congiuntura economica italiana ed europea) ed una terza storico-politica (storia della Romania e dell'Europa centro-orientale, analisi del processo di integrazione europea, storia delle politiche regionali).
Le aree sopra elencate sono strettamente interconnesse tra loro e conducono a tre questioni fondamentali:
1-Perché esiste una forte presenza imprenditoriale italiana in Romania? Quali sono le sue origini economiche, sociologiche e storiche?
2- Quali sono i problemi strutturali fondamentali con i quali si confronta lo spazio romeno nel periodo di transizione alla "democrazia" ed all'economia di mercato? Quali sono i fattori fondamentali alla base del nuovo assetto di determinate zone del paese caratterizzate dalla forte presenza imprenditoriale italiana?
3- Come potrà il lavoratore romeno affrontare e superare la sfide dell'integrazione nell'Unione Europea, tra negazione del diritto alla libera circolazione, richieste di maggiore flessibilità e progressiva riduzione delle protezioni sociali?
Sono tutte questioni che ho sviluppato nel corso del mio lavoro, tentando ogni volta di tracciare un quadro il più aderente possibile alla realtà analizzata, senza per questo puntare ad un'impossibile imparzialità.