Un breve viaggio attraverso il mondo della società civile in Bosnia Erzegovina. Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Di Gianpiero Granchelli
Negli ultimi anni, passata la fase dell'emergenza, in Bosnia Erzegovina si assiste ad un' affermazione della società civile che se da una parte mostra segnali di automaturazione, dall'altra soffre di un forte senso di frustrazione. Quest'ultimo sentimento è il risultato di un doppio processo oggi in atto: la robusta presenza di "internazionali" legati al mondo della politica e dell'economia interessati ad imporre dall'alto un modello democratico di garanzia dei diritti umani e la disattenzione per quest'area da parte di agenti della cooperazione decentrata, ora impegnati a fronteggiare nuove emergenze. Durante un recente viaggio in cui ho avuto la possibilità d'incontrare alcuni protagonisti del mondo dell'associazionismo (sia in Federazione che nella Repubblica Serba-le due entità statali che compongono la Bosnia Erzegovina), è emerso in maniera palese questo doppio vincolo; i diversi interlocutori hanno espresso sia la loro richiesta a "non essere lasciati soli" (soprattutto rivolto a chi vuole stabilire una collaborazione equa e dal basso), sia dall'altra, la necessità di trovare un modo per uscire dalla "dipendenza internazionale".
Centro culturale Kosta Abraševic-Mostar
Dopo gli sfarzi della cerimonia del 23 luglio, giornata dell'inaugurazione del ponte di Mostar, incontriamo Denis che ci parla della sua esperienza di "attivismo" nel centro culturale Kosta Abraševic (poeta socialista antimilitarista morto a 20 anni). Prima della guerra questo centro rappresentava uno dei nuclei più vivi della vita mostarina, "era il classico posto dove andavano a ballare i genitori". Durante il conflitto è stato gravemente distrutto trovandosi sulla linea del fronte. Adesso, nonostante la sua struttura fatiscente, è stato riaperto ed è accessibile a tutti in quanto la sua posizione gli permette di avere, anche ora che la guerra è finita ma il fronte continua a dividere, due accessi, uno dalla parte est e l'altro dalla parte ovest. La sua riapertura è stata possibile grazie all'impegno costante di alcuni ragazzi che, riunitisi attorno ad una associazione, la "rete-centro" -sorridendo Denis sottolinea che il temine centro non ha alcun significato di collocazione politica- sono riusciti a far rinascere la struttura costituendo un nuovo punto d'incontro per i ragazzi mostarini. Attualmente vengono svolte diverse attività, tutte finalizzate a costituire momenti di divertimento, di riflessione e di crescita culturale. Nel periodo estivo, dopo l'acquisto di un proiettore portatile, i ragazzi organizzano rassegne cinematografiche proponendo film e dibattiti; inoltre è ancora in corso un grande progetto d'implementazione di un media center con il materiale lasciatogli da una ONG australiana. Dopo averci dato una descrizione della loro attività, Denis cerca di condividere con noi le tante difficoltà. Innanzitutto emerge il problema dei contrasti sorti con parte dell'opinione pubblica e soprattutto con alcune componenti politiche. Se spesso anche in Italia "i giovani dei centri sociali" vengono rappresentati attraverso stereotipi negativi per i loro usi e costumi; dalle parole di Denis si capisce come i soliti appellativi di rifiuto nel loro caso assumono una condanna molto più grave e forte in quanto non è solo il loro modo di "vestirsi" o di "apparire" ad essere messo in discussione ma, soprattutto, la loro condanna alla guerra e la loro voglia di "vivere insieme"; in ultima analisi per la maggior parte della gente di Mostar questi ragazzi oltre ad essere "gay-comunisti-drogati-prostitute" sono anche e soprattutto "traditori". Ancora più problematico il loro rapporto con le forze politiche, in particolar modo con quelle più nazionaliste. Diversi rappresentati politici rimettono in discussione l'operato del centro chiedendone la chiusura, proprio all'inizio dell'estate, durante un tentativo di parlare con una rappresentate di un partito nazionalista musulmano schierata contro il centro, alcuni ragazzi sono stati malmenati L'altra questione difficile riguarda il rapporto di "dipendenza" dagli enti internazionali. L'Alto Rappresentante delle Nazioni Unite, direttamente interessato alla ricostruzione del centro, si è proposto per un possibile aiuto finanziario. Dopo una serie di estenuanti discussioni e attraverso una votazione finale, i ragazzi hanno deciso di accettare il contributo dell'Alto Rappresentate. Questa scelta ha portato come conseguenza la defezione di un gruppo contrario a questa collaborazione. Dalle parole di Denis emerge soprattutto l'amarezza e la tristezza per il fatto che questo "intervento finanziario" per il momento ha prodotto delle fratture profonde tra tanti suoi amici e l'allontanamento di un nucleo vitale dell'associazione. L'entusiasmo, l'impegno e la costanza dei ragazzi animatori del centro rappresentano sicuramente un buon indice di sviluppo della società civile a Mostar ed in particolare del mondo giovanile; dall'altra parte però il problema della mancanza di finanziamenti-soprattutto in un periodo economico molto duro per la Bosnia Erzegovina- rappresenta un grande freno al processo di autonomia del mondo dell'associazionismo. Una ricostruzione della struttura del centro Abraševic, a causa dei suoi alti costi, risultava impossibile senza l'aiuto economico dell'Alto Rappresentate; comprensibilmente però questo intervento non può essere visto se non come una strategia da parte di chi finanzia per imporre in seguito un proprio modello, imposizione capace di mettere a rischio l' indipendenza del centro. Di questa triste verità sembra essere completamente conscio Denis quando critica fortemente l'intervento degli "internazionali" all'interno del mondo della società civile bosniaca; egli definisce la situazione attuale "artificiale" in quanto si tratta di un modello imposto dall'alto "per fingere vera democrazia", gli unici progetti che possono aver successo sono quelli avallati se non promossi dalla comunità internazionale. Nonostante i tanti problemi di cui abbiamo appena parlato, un forte impegno di attori locali, come il caso dei ragazzi di Mostar, potrà contribuire a costruire una democrazia "meno finta", sicuramente in questa direzione un forte contributo potrebbe essere quello di agenti interessati ad una cooperazione dal basso, capaci di contribuire alla piena autonomia e indipendenza della società civile locale.
Prigovor savjesti (Campagna per l'obiezione di coscienza)-Sarajevo
Il secondo appuntamento si è svolto a Sarajevo, nell'ufficio per la campagna all'obiezione di coscienza. La prima attività dell'associazione Prigovor savjesti risale al 2000, periodo in cui l'obbiezione non era riconosciuta (c'era una legge del '96 ma "era solo sulla carta"). Nel 2000-2001 è stata costruita una rete in tutta la Bosnia Erzegovina fino a quando nel gennaio del 2002 è iniziata una vera promozione attraverso l'attività di educazione nelle scuole e di sensibilizzazione con concerti. Nel 2002-2003 ci sono stati cambiamenti sulla legge dell'obiezione, sia in Federazione che in Repubblica Serba. Il primo obiettore della Bosnia-Erzegovina ha iniziato la sua attività a Prijedor (Repubblica Serba) Attualmente in Repubblica Serba sono pochissimi i ragazzi che preferiscono il servizio civile mentre in Federazione, dove è iniziata a maggio una fase pilota con 50 obiettori, le domande sono più di 2000. Oggi, nonostante la politica della difesa sia in comune tra le due entità statali, tra di esse permangono delle differenze: mentre in Repubblica Serba il servizio civile dura 10 mesi, in Federazione la durata del servizio è di soli 6 mesi, inoltre nella Repubblica Serba la commissione che esamina le domande è formata da generali e non da civili come in Federazione ( attualmente fa parte della commissione anche la nostra guida-amica Rada). Nello spirito dei ragazzi che portano avanti la campagna emerge, invece, la voglia di sottolineare il fatto che la loro attività non ha confini; né all'interno della stessa Bosnia-Erzegovina tra le due entità in cui gli "architetti della politica" hanno diviso la Bosnia, né al di fuori. Oltre che costituirsi come una campagna in tutta la Bosnia Erzegovina, gli attivisti hanno anche sviluppato una rete internazionale collaborando con paesi vicini come la Croazia , la Serbia, la Bulgaria la Macedonia etc. Un dibattito interessante si è sviluppato nel momento in cui i ragazzi ci hanno parlato dei loro successi. A parte quelli già menzionati riguardanti le modifiche della legge e l'avvio dell'attività dei primi obiettori, si è parlato molto del cambiamento dell'atteggiamento dell'opinione pubblica nei confronti delle tematiche dell'antimilitarismo e dell'obiezione di coscienza. All'inizio della campagna, nei questionari distribuiti, molti esprimevano la loro non accettazione del diritto dell'obiezione; ora, invece, molti accettano il fatto che ci sia la possibilità di scegliere tra il servizio militare e quello civile. Questo forte cambiamento, sia dell'opinione pubblica- un ragazzo ha affermato che ora tutti vogliono bene alla campagna tranne l'esercito!- che "dell'atmosfera in generale" - all'interno della campagna ci sono quasi mille volontari- se da una parte risulta essere il naturale frutto dell'impegno dei giovani che ci lavorano, dall'altra, come afferma in maniera provocatoria uno dei ragazzi, appare avvenuto solo grazie "al favore degli internazionali". Di nuovo quindi ci troviamo di fronte al problema "dell'ingerenza internazionale" nella società civile bosniaca: uno dei ragazzi si sofferma su questo punto sottolineando la loro dipendenza dal mercato internazionale e soprattutto da quello dei "diritti umani"; in una delle frasi che meglio testimoniano questo sentimento il ragazzo afferma: "hai dimenticato di dire che la comunità internazionale svende diritti umani in Bosnia" . Passando a discutere del rapporto con le organizzazioni politiche bosniache i ragazzi sostengono che la loro campagna è stata soprattutto strumentalizzata per fini elettorali. La grande capacità organizzativa, e non solo, dei protagonisti di questa associazione è stata sicuramente alla radice del successo avuto, nonostante questo non sono mancati accenni critici a mancate collaborazioni con associazioni capaci di instaurare un rapporto di maggior reciprocità rispetto a quelli di stampo asimmetrico che spesso si originano con gli enti politici ed economici internazionali.
Forum di Zena (Forum delle donne)-Bratunac
Lasciata la capitale ci siamo diretti nella parte orientale, più precisamente in due comuni della Repubblica Serba tristemente noti per gli avvenimenti della guerra : Bratunac e Srebrenica. A Bratunac incontriamo le donne Forum di Zena ( Forum delle Donne). Bratunac è un piccolo paese vicino Srebrenica, a pochissimi chilometri dal confine con la Serbia. Durante la guerra molti abitanti di questa cittadina si rifugiarono nell' "area protetta" della vicina Srebrenica in cerca di protezione divenendo le vittime di una delle pagine più nere della storia europea del secondo dopoguerra. Attualmente il forum di Zena con le sue attività si pone come un indispensabile strumento per favorire il processo del "rientro" di diversi profughi, soprattutto donne sole con bambini, ancora stanziati in Federazione. Al momento sono ritornati a Bratunac 6500 bosniaci musulmani, una percentuale molto alta per la Repubblica Serba. Conosciamo Amela, rientrata nel 2002. Ha iniziato l'attività da Tuzla dove era profuga; il forum l'ha aiutata e spinta a tornare.Ci parla del forum e delle sue attività. In particolare si occupano di pace e di donne attraverso progetti di educazione e fomazione, ultimamente stanno cercando d'implementare anche progetti di tipo economico per cercare di fronteggiare i problemi pratici del rientro di madri sole, che sono, nella sola Bratunac, circa 1080 . Inoltre è stato implementato un progetto di consulenza psicologica in collaborazione con il centro di psicologia di Tuzla. Queste donne soffrono di grandi traumi e il punto di partenza della loro azione è che "una donna che è sopravvissuta ad un trauma ha difficoltà a confrontarsi con la vita, ma deve farlo"; ci parlano dei casi più particolari come quello del trauma delle donne che mentre lavorano la terra nel giardino della loro ex-casa hanno trovato dei resti umani Sicuramente per queste donne un fatto del genere costituisce uno dei momenti più drammatici che spinge, proprio nel momento in cui cercano di "ritornare a vivere", sia al ricordo della propria esperienza personale sia alla brutalità che ha dominato la guerra in generale. Un altro problema riscontrato è stato quello dell'andamento scolastico dei ragazzi rientrati, da alcune ricerche è emerso in maniera evidente che questi ragazzi ottenevano risultati scolastici notevolmente migliori quando erano profughi che nella fase del rientro, lasciando emergere il bisogno di un supporto psicologico anche per i bambini. Dal prossimo anno le donne del forum lavoreranno in parallelo sulle madri e sui loro figli. Passiamo in seguito ad ascoltare un'altra ragazza, un insegnante d'inglese; il forum organizza anche diversi corsi di formazione d'inglese e d'informatica. Con molto orgoglio, oltre a presentarci i tanti corsi in dettaglio, l'insegnante ci mostra i suoi "successi": attualmente alcune ragazze lavorano in Svizzera e in Austria grazie alle competenze acquisite con il Forum di Zena. Dopo l'attenta descrizione delle proprie attività, le nostre interlocutrici ci hanno espresso i loro timori. Inizialmente hanno parlato degli ostacoli incontrati sin dalle prime attività. Oltre a tutte le difficoltà proprie del fondare un'associazione di sole donne, c'era il problema "etnico". Quando é stata fondata non c'erano bosniaci-musulmani, erano solo 7 donne senza appoggio, trattate come "traditrici", male accolte dalle autorità politiche e in particolar modo dal sindaco (poi cacciato per pressioni internazionali, a Bratunac,infatti sono rimaste diverse "sacche" di esponenti legati alle fazioni serbo-bosniache più nazionaliste, 3 sindaci sono stati espulsi dall'OHR, tra le 59 cariche rimosse da Ashdown durante l'estate ben 4 erano di Bratunac). Ora la situazione sembra essere migliorata soprattutto grazie alla stima di cui gode la presidentessa del Forum divenuta rappresentante nel consiglio europeo della Bosnia Erzegovina per l'autonomia e l'autogestione locale; grazie a questo riconoscimento l'opinione pubblica ha iniziato a rispettare il lavoro del Forum e l'unica diffidenza sembra essere quella " dei tanti criminali di guerra, pesci piccoli, ancora in giro che vedi per strada". Per quanto riguarda i rapporti con le autorità politiche si è instaurata una buona relazione tra il forum ed il comune di Bratunac; nonostante questo buon rapporto, l'associazione non ha però mai ricevuto un finanziamento. In particolare sono state evidenziate quelle che sono le differenze tra le attività del Forum e quelle degli enti politici locali. La priorità del forum data alla "ricostruzione delle anime" non è assolutamente compresa dagli esponenti politici locali completamente impegnati in quella che è la ricostruzione fisica delle infrastrutture. Questa incomprensione, a livello pratico, comporta notevoli difficoltà per l'economia dell'associazione. Riprendendo uno dei fili conduttori della nostra analisi, ossia il ruolo svolto dagli organismi internazionali nello sviluppo della società civile in Bosnia, dalle parole delle protagoniste del forum delle donne di Bratunac emerge un ennesimo problema: il legame tra gli enti internazionali e le autorità locali. Il Forum non è riuscito ad ottenere dei finanziamenti da parte dell'Agenzia per lo sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) a causa della mancata collaborazione dei sindaci di Bratunac e Srebrenica. Il caso particolare riguarda la richiesta di un finanziamento per un progetto sanitario che prevede sia un parte educativa sulla sensibilizzazione alla prevenzione dei tumori al seno, sia la messa in funzione dell'attrezzatura per la diagnosi mammografica; sicuramente l' UNDP con le sue grandi disponibilità finanziarie poteva essere uno dei maggiori contribuenti, purtroppo questa soluzione è stata ostacolata e bloccata dalla mancata collaborazione delle autorità politiche locali, gli unici capaci di richiedere questo tipo di finanziamento. Anche se, ricordando il caso di Mostar, questa può sembrare una situazione completamente opposta, credo che il punto focale resti lo stesso: la necessità che vengano a coincidere le finalità dell'associazione con il volere degli enti politici, siano essi locali o internazionali. In maniera ironica possiamo affermare che in questa particolare zona della Bosnia, prima di "svendere i diritti umani" gli internazionali stanno svendendo mattoni e materiali edili; per chi si occupa di problemi legati alla salute e alla convivenza non resta che aspettare e forse in futuro avranno dei finanziamenti per iniziare a costruire anche in questo territorio una "società civile artificiale"; fortunatamente le donne che abbiamo incontrato non hanno niente affatto l'aria di chi resta ad aspettare ma ottimizzano al massimo le loro risorse cercando di dar vita ad una "società civile reale".
Madri di Srebrenica
Lasciamo Bratunac per la visita al memoriale di Potocari e l'incontro con Hatidza Mehmedovic (Djija), una delle fondatrici delle "Madri di Srebrenica". Questa associazione è stata fondata per volontà di donne che hanno perso mariti, figli e fratelli durante la caduta di Srebrenica nel luglio del 1995 quando i militari serbi, con la complicità dei caschi blu olandesi, "ripulirono etnicamente " la zona durante uno dei momenti più drammatici della guerra in Bosnia. A 9 anni dal massacro molte donne sono ancora in Federazione mentre alcune hanno deciso di tornare e ricominciare a vivere nella loro ex-casa. L'associazione è nata quindi con una doppia finalità: trovare un maggior senso di sicurezza e di forza unendosi e confrontandosi con donne che hanno vissuto lo stesso lutto e riuscire, grazie alla forza dell'unione, a far emergere e conoscere tutte le verità sul massacro. Per la sua caratteristica di "monoetnicità" l'associazione riscontra notevoli problemi, soprattutto al livello di finanziamenti e di riconoscimento. Credo che le parole di Rada pronunciate durante la visita al memoriale di Potocari riescano da sole a rappresentare gli ostacoli che queste donne hanno deciso di affrontare dando vita alla loro associazione.
"Quando è tornata Djija n.d.r. ha deciso di trovare delle altre e di fondare un gruppo delle donne, per unirle e stare un po' insieme e per dare un sentimento di sicurezza, di forza. E loro hanno fondato questa associazione che si chiama Madri di Srebrenica e hanno provato a cercare un finanziamento, un aiuto per le loro attività. Ma quasi tutte le porte sono chiuse per loro perché non sono un gruppo multietnico. Questa è la spiegazione del perché non accettano i loro progetti. E' una cosa assurda. Non si può capire neanche dal punto di vista umano. Per i finanziamenti devi essere un gruppo multietnico, con tot numero di donne, con tot numero delle diverse etnie. Tutto deve essere programmato da qualcuno che sta non si sa... in qualche parte, non so dove, a Bruxelles, e che ha questi criteri. Tu lo vedi questo cimitero? Non è multietnico" .
Djija riprende in seguito il problema delle loro difficoltà, ci parla del loro isolamento dovuto dall'atteggiamento d'indifferenza se non di fastidio con cui vengono trattate dagli uomini politici locali e spesso anche dall'opinione pubblica. Per quanto riguarda la questione del rapporto dell'associazione delle Madri di Srebrenica con gli esponenti politici è emerso il problema della manipolazione a cui sono esposte; soprattutto da parte dei nazionalisti musulmani esse sono "usate" per ogni elezione attraverso gli stereotipi del vittimismo. La mancanza di appoggi (siano essi locali che "internazionali") comporta notevoli problemi organizzativi potendo contare solamente sulle poche risorse a disposizione. Nonostante i problemi concreti, il solo spostarsi nei villaggi attorno alla Drina per degli incontri di sensibilizzazioni rappresenta una grande spesa non sempre affrontabile, dalle parole di Djija emerge una forma di soddisfazione quando dice: "se non c'era associazione, se non c'erano le famiglie, non ci sarebbe stato neanche il centro memoriale di Potocarì; non si sarebbe potuto sentire verità, cosa è successo" Inoltre ci spiega come, sempre tramite l'associazione, sono riusciti ad avere degli aiuti economici "informali"; uno dei casi più particolari riguarda la donazione di mucche. Tramite l'interessamento di un'amica delle "Madri di Srebrenica", alcuni privati (spesso stranieri come il caso di un tedesco di origini bosniache) hanno donato delle mucche a diverse famiglie. Questi aiuti contribuiscono molto, come tiene a sottolineare la nostra interlocutrice, al processo di stabilità economica e sociale della popolazione che decide di ritornare in Repubblica serba, una mucca per la loro economia è una grande risorsa e permette una forma d'investimento per la propria sussistenza. Se questi esempi ci servono a comprendere come l'associazione si occupi, nonostante l'assenza di finanziamenti, dei diversi problemi pratici delle donne rientrate, non sono mancati, durante il nostro incontro, accenni alle attività riguardanti la sensibilizzazione su quello che è successo a Srebrenica. Dalle parole di Djija è emersa una forte volontà di collaborazione per diffondere la verità su ciò che è accaduto, in particolare ha evidenziato l'importanza di progetti finalizzati a far conoscere la storia di Srebrenica a tutti i bambini del mondo. La volontà di stabilire rapporti con associazioni, scuole, enti pubblici etc, interessati a stabilire relazioni di reciprocità a prescindere dai "legami istituzionali" in questo frangente è divenuto il fulcro del nostro colloquio. Djija, infatti, ha espresso l'importanza di promuovere in tutte le parti del mondo attività spontanee e soprattutto viaggi che permettessero a tutti i bambini di conoscere quello che è successo affinché non si ripeta. Da queste richieste ci rendiamo conto come in questo caso emerge chiaramente la voglia da parte di una delle protagoniste dell'associazione di costituire una realtà associativa diversa che prescindendo sia dal mondo della politica-definita come "cosa sporca capace di generare odio"- sia da quello della comunità internazionale, trovi la sua energia da un sentimento di solidarietà generale. In questo frangente, sia le varie esperienze economiche sia gli incontri di sensibilizzazione, si pongono come momenti attraverso i quali favorire forme di collaborazioni tra l'associazione e tutte le diverse realtà che in ogni parte del mondo si occupano di questi temi nelle stesse modalità. In conclusione quindi possiamo considerare questi piccoli esperimenti, sorti nel caso delle Madri di Srebrenica in seguito ai diversi problemi contingenti, come delle possibili soluzioni ai diversi en-passes di cui ci siamo occupati. A questo scopo appare necessario un interessamento maggiore per quest'angolo di mondo sia da parte dei media affinché ci sia una buona conoscenza dei problemi ancora irrisolti e delle tante piccole esperienze nate, sia soprattutto da parte di associazioni capaci di contribuire al processo di autonomia e indipendenza della società civile senza contribuire ad una nuova dipendenza o peggio ad una "colonizzazione umanitaria" .