Bill Clinton - Pixabay

Una tesi di laurea. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

07/06/2018 -  Gezim Qadraku

Si pensa che l’essere umano abbia toccato il proprio punto più buio durante la Seconda guerra mondiale e in particolare con l’Olocausto. Nessuno, dopo il 1945, si sarebbe aspettato di sentir parlare ancora di campi di concentramento e tanta crudeltà. Nel 1992 al di là dell’Adriatico iniziava una guerra che avrebbe portato l’uomo a compiere atti altrettanto gravi e crudeli.

Parlando del conflitto bosniaco tornano alla mente delle istantanee precise e impossibili da dimenticare, come per esempio l’assedio di Sarajevo, i campi di concentramento di Omarska e Trnopolje e infine la strage di Srebrenica. Un conflitto iniziato nel 1992 e conclusosi con gli accordi di Dayton nel dicembre 1995, anni dai quali è possibile estrapolare un triste e incontestabile verdetto: a nessuno interessò niente della Bosnia.
Da questo responso nasce la volontà del sottoscritto di approfondire questo tema e capire perché il conflitto bosniaco sia potuto durare così tanto e soprattutto comprendere quali furono i motivi che portarono Bill Clinton a decidere di intervenire troppo tardivamente.

Il primo capitolo è una descrizione storico-culturale della Bosnia, con l’obiettivo di mostrare al lettore quella che è stata la realtà di questo paese dalla Jugoslavia di Tito fino ai giorni dello scoppio della guerra. Una terra contraddistinta da differenze etniche e religiose piuttosto significative. Il capitolo si conclude con lo scoppio della guerra e le prime violenze che avvengono durante gli ultimi mesi alla presidenza degli Stati Uniti di Bush Senior, il quale venne duramente attaccato durante la campagna elettorale dal suo successore, Bill Clinton, soprattutto per il modo in cui la superpotenza mondiale stava gestendo la crisi. Ovvero con un totale disinteresse.

Il secondo capitolo è anch’esso descrittivo e riguarda i primi anni di presidenza di Bill Clinton, che si presentò alla Casa Bianca dopo aver dichiarato la ferma volontà di un impegno concreto degli States nel pantano bosniaco. Parole che non troveranno alcun atto concreto, in quanto i primi due anni saranno caratterizzati da un interesse del Presidente statunitense piuttosto insufficiente per poter mettere la parola fine alla guerra. Anni nei quali si osservò l’enorme disinteresse da parte delle grandi potenze nei confronti del neonato stato balcanico, nonostante le cruenti immagini dei campi di concentramento avessero già fatto il giro del mondo.

Il terzo capitolo è di carattere analitico e ha come scopo quello di analizzare la politica estera messa in atto da Clinton e capire quali furono i fattori che portarono gli USA a cambiare repentinamente la loro strategia. I motivi descritti sono quattro: la Bosnia si stava trasformando in un problema interno per l’amministrazione democratica, l’incapacità degli stati europei di gestire il conflitto, la volontà di mantenere buoni rapporti con la Russia per il timore che il vecchio continente potesse subire un’influenza comunista e infinite la necessità della superpotenza di mostrare al mondo un senso di responsabilità e dovere.
Una foreign policy che fu contraddistinta da dicotomie importanti sia sul campo politico che su quello militare. Un conflitto iniziato con la volontà di portare avanti una politica idealistica e soft power, conclusosi soltanto grazie al passaggio ad una politica realistica e hard power.