Una tesi di laurea sulla rappresentazione cinematografica dei conflitti balcanici. "Schermi di guerra - Le guerre jugoslave (1991-1999) tra cinema, storia e società" segnala la distanza dei registi dall'isteria nazionalista degli altri media, e il riferimento costante al mito del destino. Il caso di Underground
Di Mauro Ravarino
L'analisi della rappresentazione cinematografica, e più in generale audiovisiva, delle guerre jugoslave ci permette di ripercorrere un decennio, gli anni Novanta, così drammatico per i Balcani. Offre la possibilità di indagare i nodi interpretativi, di esaminare nel complesso la narrazione sui conflitti e sulla disgregazione della Jugoslavia, nonché l'approccio stilistico. Ci consente di individuare il ruolo del cinema come scrittura storica, fonte e agente, che sono aspetti intrinseci del medium cinematografico.
E' una produzione vasta e composita, poiché i conflitti balcanici sono divenuti presto oggetto, e a tratti ossessione, di numerosi registi, prima jugoslavi e poi internazionali. Basti pensare che il primo film Il disertore (1992) di Živjon Pavlović è stato girato a Vukovar quando i fuochi della guerra erano ancora accesi. La filmografia delineata (film di fiction e film documentari) testimonia come la Storia irrompa nuovamente nell'immaginario contemporaneo con un rinnovato slancio, originali forme e ampie problematiche. Nel mio lavoro di ricerca ho adottato un percorso interdisciplinare tra cinema e storia, inserendo i film nel contesto storico, culturale e politico, interessandomi anche al rapporto con altri media e arti, in primis la televisione e la letteratura.
La tesi è divisa in tre parti in dialogo tra loro: rappresentazione e visione, i teatri di guerra sul grande schermo; la storia delle guerre jugoslave (che indicativamente vanno dal 1991 al 1999); la terza ed ultima parte è, invece, dedicata ad Underground di Emir Kusturica.
Il cinema ha espresso uno sguardo critico e creativo sulla realtà contemporanea, sviluppando un racconto stratificato e multiforme. Gli autori hanno rifiutato in maggioranza di associarsi all'isteria nazionalistica, a differenza di altri media, criticando, anche indirettamente, chi ha incitato lo scontro militare e sollecitato l'odio tra i popoli della Jugoslavia. I mezzi di informazione sono stati, invece, il principale strumento della propaganda e uno dei fattori scatenanti il futuro conflitto e il condizionamento popolare.
Ogni regista, che si è confrontato con la tematica, ha scelto in particolare un "teatro di guerra". E' infatti possibile suddividere la filmografia secondo una geografia del conflitto. Da Vukovar in Croazia (Harrison's Flowers, Il disertore, Vukovar: Poste Restante) a Sarajevo, vittima di un lungo assedio e protagonista di una indescrivibile resistenza culturale (Benvenuti a Sarajevo, Lo sguardo di Ulisse, Do you remember Sarajevo?, Teatro di guerra, Il cerchio perfetto, Forever Mozart), ambedue casi di "urbicidio" ovvero di distruzione sistematica di una città; dalla Bosnia-Erzegovina (Pretty Village Pretty Flame, No Man's Land, Beautiful People, Benvenuto Mr.President, La vita è un miracolo, Nemaproblema) a Belgrado e alla Serbia (La polveriera, Ghetto, Premeditated Murder, The Wounds); dal Kosovo (Vento di Terra, Kosovo nascita e morte di una nazione) alla Macedonia (Prima della Pioggia).
Uno dei tratti fondamentali della rappresentazione è la particolare miscela di realtà e mito, messa in scena dai registi sull'ultimo conflitto balcanico. Al mito eroico della nazionalità, contrappongono in un certo senso il mito del destino: la guerra come costante della storia dei Balcani. Il "nemico" non è un'altra nazione o gli abitanti di essa, ma è il destino impassibile o i politici corrotti e i profittatori di guerra, trasversali tra le varie nazionalità. Nella vasta produzione cinematografica sul conflitto balcanico, l'accordo di Dayton, che mette fine alla guerra in Bosnia, segna un punto di snodo. Prima del 1995, la rappresentazione dell'assedio di Vukovar e i drammi di una tragica quotidianità focalizzano l'attenzione dei registi jugoslavi. Dopo il '95, oltre ad aumentare la produzione audiovisiva, si consolida una visione mitico-fatalistica della storia e della guerra, come elemento inevitabile del destino balcanico, che, seppur metta in scena un ritratto sociale articolato e sincero, spesso fugge dalle vere cause della guerra (come diverse "instant history" uscite nel corso del conflitto). Il presente viene frequentemente letto attraverso le vicende passate, in un rapporto di concausa. Tutto ciò si riflette sulla costruzione del racconto cinematografico, definito da articolate strutture narrative: frammentate, circolari o multilineari. La percezione di una storia ciclica può essere simboleggiata da un intreccio non-lineare (Pretty Village, Pretty Flame) o messa in discussione (Prima della Pioggia).
Underground di Kusturica, il film più complesso, noto e controverso, uscito appunto nel '95, codifica - come ha notato Nevena Daković - due caratteristiche importanti di quello che potremmo definire un nuovo genere cinematografico, il film di guerra post-jugoslavo: da un lato, l'utilizzo di un ventaglio di riferimenti mitologici, fatalistici, antropologici e nazionali sulla natura e le cause del conflitto; dall'altro, una struttura narrativa, realizzata attraverso un dialogo permanente tra passato e presente.