Potocari, monumento alle vittime del genocidio di Srebrenica - Giovanni Vale

Potocari, monumento alle vittime del genocidio di Srebrenica - Giovanni Vale

Affrontare le gravi violazioni di diritti umani avvenute in un cnoflitto. E' questo il cuore della cosiddetta giustizia di transizione. Una tesi di laurea, riceviamo e volentieri pubblichiamo

22/06/2022 -  Leonardo Torelli

All’indomani di un conflitto, affrontare le gravi violazioni dei diritti umani occorse è centrale per consolidare la stabilità della costituenda società. Per descrivere questo processo può essere utilizzato il termine giustizia di transizione. Questa si pone in un rapporto di genus a species con la giustizia penale internazionale, includendola senza esaurirsi.

Nella regione dell’Ex-Jugoslavia, complice la strategia della condizionalità dell’Unione Europea, il compito di fare i conti con il passato e promuovere la riconciliazione è stato interamente affidato al Tribunale Penale Internazionale (ICTY) e l’obiettivo è chiaramente fallito.

Verità contrastanti, guerre tra memorie e spinte nazionalistiche imperversano nella regione ed in particolare in Bosnia Erzegovina.

La scelta del paese come caso studio è dettata da due ragioni. La prima è rappresentata dall’attualità e dall’importanza delle dinamiche sociopolitiche che in Bosnia Erzegovina vi sono e dal fatto che questo Stato si appresti lentamente a presentare la propria candidatura per l’ingresso nell’UE. La seconda si radica invece sulle sue peculiarità, che lo rendono un territorio unico e variegato, abitato da comunità con esigenze fortemente diverse tra loro. Perciò, l’esempio bosniaco enfatizza più di altri i limiti di un approccio unicamente penalistico a fronte delle atrocità di massa lì commesse.

Il primo capitolo di questa tesi si concentra in particolare sulla nascita e struttura della Costituzione della Bosnia Erzegovina, che è fondamentale per comprendere la storia del Paese, la ancora forte presenza internazionale e le attuali criticità del processo di riconciliazione.

In questo contesto, emerge come l’atteggiamento dell’UE e della comunità internazionale si inserisce in una tendenza a caricare lo strumento penale di aspettative che vanno oltre l’aspetto meramente punitivo. Questo vale tanto per il diritto sostanziale, quanto per il processo internazionale.

Al primo, attraverso la recente legge che criminalizza il negazionismo dei crimini internazionali giudizialmente accertati, si chiede di proteggere la memoria di valori fondanti per la società, senza considerare l’assenza di una memoria collettiva sulla storia del conflitto.

Al secondo sono invece attribuite svariate funzioni, spesso persino in contrasto tra loro. Tra queste spicca la capacità di contribuire alla riconciliazione in contesti di transizione, che si fonda sull’assunto per cui il Tribunale sarebbe in grado di svolgere due compiti.

Il primo è di ricostruire storicamente le gravi violazioni dei diritti umani. Così, il processo penale accerterebbe una verità giudiziale, poi protetta come memoria dal diritto sostanziale. Il secondo è invece la capacità del processo penale internazionale di fungere da momento catartico e satisfattivo per le vittime delle atrocità di massa.

Dopo aver discusso le criticità dello strumento penale, si passerà ad analizzare alcune forme alternative alla pena. In particolare, si discuterà dell’opportunità di costituire una Truth Commission in Bosnia Erzegovina, rilevando alcuni profili problematici dell’esperienza Sudafricana e la necessità di ovviarli. Preso atto di alcuni limiti geografici e politici, si procederà a raccontare l’iniziativa RECOM e la Women’s Court, approcci transnazionali e non giurisdizionali alla giustizia di transizione.

Se, come sostiene Antoine Garapon, i crimini internazionali non si possono né perdonare né punire, quale può essere la soluzione? Ammesso che vi sia, il tema è di grande complessità ed interesse.