Vinko Brešan, documentarista e autore della fortunata commedia "Kako je počeo rat na mom otoku" (Come è iniziata la guerra sulla mia isola), ricorda i suoi esordi nel mondo del cinema e racconta le difficoltà dell'attuale scena cinematografica croata. Nostra intervista
Come, e quando, ha cominciato a lavorare nel mondo del cinema?
In parte è una cosa di famiglia... Mio padre, Ivo Brešan, era sceneggiatore e drammaturgo. Io ho iniziato nel 1976. In quegli anni, la televisione trasmetteva fantastici documentari che mi piacevano da matti, e da lì è nato il mio interesse per il cinema e la regia. Allora mi sono iscritto all'Accademia di Arti Drammatiche, ai corsi di regia cinematografica e televisiva, anche se non c'era un corso specifico dedicato al documentario. Nel 1988 ho vinto il premio Oberhausen per il miglior debutto, con il cortometraggio "Naša burza" (La nostra Borsa). Negli anni Novanta ho girato una serie di documentari di discreto successo ottenendo alcuni riconoscimenti, ad esempio ho vinto due premi "Oktavijan" al festival "Giorni del Cinema Croato" di Zagabria nel 1994 e nel 1995, con "Zajednički ručak" (Un pranzo insieme) e "Hodnik" (Il corridoio).
Il mio primo film al di fuori del genere documentario è stato "Kako je počeo rat na mom otoku" (Come è iniziata la guerra sulla mia isola), una commedia sull'inizio delle guerre in Jugoslavia ricca di situazioni bizzarre e comiche, che ha avuto un grandissimo successo di pubblico ed è stato il film più visto negli ultimi vent'anni. Questo è stato il mio esordio nel lungometraggio, nel 1996.
Come è riuscito a finanziare e produrre questo film?
Con molta fatica... Infatti è stato un film a bassissimo budget. All'inizio nessuno voleva nemmeno leggere la sceneggiatura... Del resto, chi avrebbe pensato che il pubblico potesse volere un film sulla guerra solo sei mesi dopo la sua fine?
E secondo lei perché ha invece avuto così tanto successo?
Una delle ragioni può essere il fatto che questo film ha una sorta di funzione terapeutica, è un modo per esorcizzare traumi e frustrazioni della guerra... Un'altra è che è un film molto divertente!
Com'era stato invece il suo lavoro prima della guerra, tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta?
Ho lavorato come assistente in film documentari con diversi registi, tra cui Ante Babaja. Ognuno di loro aveva una diversa sensibilità... Alcuni li ho sentiti più vicini a me ed altri più lontani, ma da tutti ho imparato molto.
Come funzionava allora il sistema dei finanziamenti? Ed oggi è cambiato qualcosa?
La Jugoslavia, anche quando esisteva ancora, era suddivisa in repubbliche, ed ognuna di esse aveva un proprio sistema di finanziamento ed i propri fondi. Quindi possiamo dire che non è cambiato molto, anche oggi ogni paese si organizza autonomamente.
Il mio ultimo film è una co-produzione serbo-croata, ovvero hanno partecipato il ministero della Cultura serbo e quello croato con i loro fondi. Ovviamente i fondi sono minimi, generalmente. Non si fanno film ad alto budget in Croazia, è tanto se si arriva ad un milione di euro.
La casa di produzione era statale?
No, il film è stato prodotto dalla Interfilm, una casa di produzione nata a metà degli anni Novanta in seguito alla scissione di una precedente. All'inizio si occupava di pubblicità e video, poi di cortometraggi e produzioni televisive, e infine di lungometraggi. Comunque le case di produzione sono tutte private o privatizzate. La Jadran Film, ad esempio, ha avuto grossi problemi in seguito alla privatizzazione, perché gli acquirenti avevano visioni divergenti su cosa farne.
Sempre a livello di finanziamenti, quali rapporti ci sono con gli altri paesi? C'è un interesse internazionale per il cinema croato?
Sì, c'è un certo interesse lasciato in eredità dalle guerre. Per il mio ultimo film ho ottenuto dei finanziamenti dal fondo Euroimage. Poi so che esistono delle co-produzioni, ad esempio con l'Austria o la Germania, ma non sono innamorato di questo tipo di meccanismo, perché non voglio che il film e la storia diventino europee invece che croate, o che la parte più forte economicamente influisca sulla sceneggiatura.
Come vede il futuro del cinema croato sul mercato internazionale?
A livello di distribuzione c'è un grosso problema linguistico... Non abbiamo certo le possibilità del cinema americano. Anche in Italia il pubblico ha potuto vedere Kusturica, No Man's Land, Grbavica, e praticamente nient'altro. A nostra disposizione abbiamo solo il mercato che ai tempi della Jugoslavia era quello interno: Bosnia Erzegovina, Serbia, Slovenia e Macedonia. La distribuzione negli Stati Uniti è nulla, in Europa è minima. Forse dovrei girare dei film in inglese!
C'è un problema a livello di canali distributivi?
Direi che c'è un problema comune a tutta l'Europa, ovvero che la gente va molto meno al cinema e, a partire dagli anni Ottanta, la distribuzione è crollata, e la produzione di conseguenza. In Croazia si faranno sei film l'anno.
Esiste un modello cinematografico croato, ad esempio in termini di tematiche, metodi di lavoro e così via?
È difficile da dire... Ogni autore è un microcosmo a parte. Per la generazione degli anni Settanta è stata molto importante la scuola di Praga. Comunque dobbiamo considerare che fino agli anni Novanta non esisteva un cinema croato, e i film prodotti non sono tantissimi, quindi è difficile identificare un modello. Ogni autore è diverso e ha influenze e legami diversi, non c'è una vera e propria "scuola".
E tornando invece al cinema jugoslavo, esiste oggi un interesse del pubblico verso i vecchi film di quel periodo, o in particolare del dopoguerra?
Sì, è naturale... Del resto il cinema di oggi non è emerso dal nulla, ma proprio da quella tradizione. Sicuramente c'è un interesse speciale per i film partigiani, ma non solo. Del resto anche i film partigiani sono molto eterogenei: alcuni hanno un carattere più epico e tendono a mitizzare gli eventi, altri invece sono più concentrati sull'analisi e la problematizzazione. Esistono quindi approcci molto diversi ai problemi della guerra. Io stesso ho dedicato alla guerra due dei miei quattro film, una commedia e un film drammatico. Una commedia ovviamente ammicca di più al pubblico, mentre un dramma è meno comunicativo. La cosa importante, secondo me, è che ogni film possa ampliare i confini della nostra libertà artistica e politica, anche solo un passo alla volta, metro per metro. E questo ovviamente non vale solo per la Croazia, ma per il cinema in generale.