La transizione albanese vista da dietro la macchina da presa: intervista a Vllasova Musta, da oltre 30 anni attiva nell'industria cinematografica nazionale. Dal Kinostudio a Albafilm

01/02/2008 -  Artan Puto Tirana

Quando ha iniziato a lavorare nel cinema albanese?

Nel 1971, appena dopo aver finito l'università. Per me è stata la realizzazione di un grande sogno, lavorare in Kinostudio in quegli anni era considerato un privilegio per chiunque avesse finito gli studi.

Perché?

Lì eri a diretto contatto con la vita, la cultura, le novità, con il mondo degli attori e con le storie raccontate nei film. Lavorare in Kinostudio era una grande fortuna, ed io ho avuto quella fortuna.

Quale era il ruolo del cinema nella società albanese prima del 1990?

Oggi si sostiene, secondo me in maniera erronea, che il cinema fosse solo ideologia. Non era così. E' vero, volente o nolente l'artista doveva trasmettere l'ideologia del partito, ma la maniera con la quale lo faceva non era un tabù, non era una cosa statica. Quelli che oggi hanno un nome come Dhimitër Anagnosti, Viktor Gjika, Kristaq Dhamo ed altri che sono venuti dopo, hanno realizzato cose di valore proprio in quel periodo.

E la propaganda?

Sì, naturalmente Kinostudio era un mezzo per descrivere com'era bella la realtà, "la realtà socialista". E questa propaganda doveva essere fatta al meglio e nel modo più efficace possibile. Il sostegno e gli investimenti, da questo punto di vista, erano totali. Si metteva a disposizione tutto, non mancavano i mezzi, si forniva tutto quello di cui aveva bisogno un film. Erano tempi di crisi, di penuria economica nella vita degli albanesi, ma per descrivere com'era bella la realtà questo sostegno non doveva mancare. Il regime voleva rappresentarsi nel modo migliore possibile, come per dire "ecco quello che puo fare il socialismo, che miracoli, che bellezze, che calma, che sicurezza e che benessere". Anche se il benessere non ce l'avevamo, lo si creava. Se si guardano oggi quei film, si può dire: "Mah, questa gente non ha vissuto niente male!"

Ricordo gli appartamenti che venivano mostrati in quei film... Venivano davvero scelti i più belli e meglio arredati?

No, non si girava negli appartamenti perché la camera non riusciva a muoversi liberamente negli interni, si costruiva cercando di far apparire tutto il più bello possibile. L'ideologia era sempre presente perché bisognava trasmettere una morale che fosse all'interno delle norme del partito. Su questo non potevano esserci equivoci, perché altrimenti il film non veniva distribuito. Pur restando all'interno di queste norme, tuttavia, non si evitava il valore artistico. Cioè il regista faceva l'impossibile perché il film avesse anche un valore artistico.

Qual era l'atmosfera del Kinostudio?

Lavorare al Kinostudio, o venirci anche solo per un giorno, era un evento. Non solo per quelli che vivevano nelle zone lontane da Tirana, al nord o al sud, ma anche per quelli che abitavano in città.

Perche?

Perché lì dal primo momento sentivi di essere in un'altra civiltà, c'era una cultura nelle relazioni tra le persone, un ambiente molto bello, spazi verdi piacevoli. Le persone che hanno fondato il Kinostudio hanno dedicato molto amore a quell'edificio e agli ambienti circostanti. Per esempio c'è stato un dirigente in quegli anni, Vangjush Zallëmi, che ha creato ambienti bellissimi che raramente si potevano vedere a Tirana, fontane, vegetazione, panche. Gli attori stavano lì durante la lavorazione e si riposavano. C'era una sorta di ambiente famigliare. Se negli altri settori della cultura c'erano problemi legati alle ambizioni, agli egoismi, questo in Kinostudio non accadeva. Regnava uno spirito molto bello di collettività. C'era un amore che si tramandava da una generazione ad un altra, ogni persona che veniva lo percepiva, come se ci fosse stata una mano che ti prendeva e ti introduceva nel labirinto del Kinostudio.

Come funzionavano censura e autocensura? Come si trovava l'equilibro tra la passione e l'attenzione a non oltrepassare il limite?

L'autocensura era la corazza che dovevi indossare, e diventava organica. Sapevi che non potevi criticare o avere un atteggiamento verso un dato problema che fosse contro la politica del regime e del partito. Sapendo questo, sin dall'inizio non accettavi di fare un film critico verso un determinato fenomeno. La prima domanda che ti avrebbero fatto era: "Cosa vuoi dire con questo? Questo è un lavoro da nemico, prendi solo quello che è negativo invece di selezionare quello che è bello, il socialismo che sta fiorendo solo in Albania..." Alcuni artisti hanno subìto conseguenze a causa di queste cose. Quando ho cominciato a lavorare in Kinostudio, nel 1971, è stato realizzato un film documentario sulle verità e le menzogne, su quello che si diceva e che non si faceva, insomma un film critico. Per esempio si aprivano delle esposizioni dove si metteva in mostra l'abbondanza dei sandali, delle scarpe. In queste esposizioni venivano mostrate le più belle, come per dire: "Guardate cosa può fare la nostra classe operaia", ma in realtà queste non erano per il consumo di massa. Per questo film l'autore è stato punito e mandato ad essere rieducato, gli hanno tolto il diritto ad esercitare la professione e per lunghi anni ha lavorato guidando i trattori. Questa era anche una lezione per gli altri, per quelli che già lavoravano a Kinostudio e per quelli che dovevano arrivare dopo. Perché di generazione in generazione si tramandava sempre questo messaggio: "Attento, perché puoi essere punito come lui". Dunque l'autocensura ti suggeriva e ti aiutava...

C'erano norme non scritte da osservare?

Sì, c'erano norme non espresse che conoscevano bene tutti, questo è permesso, questo no. Potevi perdere la professione, se non stavi attento a quelle regole. Non era solo quello, potevi perdere anche la vita, potevano esserci molte conseguenze. In generale non si poteva "annerire la realtà", dipingere la realtà a tinte fosche. Inoltre nel tuo film potevi solo "raccontare" la realtà, non prendere posizione. Poi c'erano anche norme più particolari, che rappresentavano una sorta di canone, come ad esempio il fatto che nel tuo film non potevano esserci baci. Tutte queste cose non erano scritte, ma erano conosciute attraverso l'esperienza. Ad esempio non potevi mostrare un rubinetto aperto che non dava acqua, potevi solo mostrare un rubinetto che dava molto acqua, una sorgente.

Come si autocensurava un attore?

Ad esempio un attore non poteva in nessun modo portare capelli lunghi, barba o baffi. Se doveva interpretare il ruolo di un guerriero del XIX secolo, ci pensavano i truccatori. Solo in casi eccezionali, quando la barba o i baffi naturali di un certo attore erano veramente singolari, allora sì. In quel caso l'attore doveva avere un permesso apposito, che veniva rilasciato dal Comitato del partito, "che questa persona può tenere la barba perché sta girando un film". E quindi si sapeva che quella persona tiene la barba o i baffi perché sta girando. Ma andare in giro con la barba in un giorno normale, cioè senza il permesso, era un evento straordinario, ti aspettava senz'altro una qualche sciagura.

Quali erano i temi più cari al regime? Possiamo parlare di periodi, di differenze ad esempio tra gli anni '70 e gli anni '80?

Il Kino studio (foto Andrea Pandini)

I temi concordavano con il programma e le fasi che attraversavano la politica e i plenum del partito. La parola di Enver Hoxha era assoluta. Noi dovevamo rispondere immediatamente ad un suo discorso importante, quando lui ad esempio parlava della burocrazia, della lotta contro la burocrazia, della lotta di classe o delle influenze dell'ideologia straniera, il cinema doveva rispondere immediatamente. Quindi venivano prodotti molti film che trattavano questi temi, per esempio la lotta contro il burocrate, oppure se si faceva appello alla gioventù per il lavoro nei campi il film doveva mostrare la gioventù che andava a lavorare...

E gli altri temi?

Avevamo temi di attualità, la guerra e temi storici. Queste erano le alternative. I registi si sentivano più liberi nell'affrontare il tema storico, cioè la storia dell'Albania, Scanderbeg, il Rinascimento, perché potevano giocare più liberamente con la propria fantasia, con la propria forza creatrice. Prendiamo ad esempio il film "Mësonjëtorja" (La scuola), che raccontava la storia della prima scuola albanese, ambientato nel 1887. Qui il regista non sentiva la pressione della politica, mentre quando si faceva un film sull'attualità era obbligato a inserire il personaggio del segretario di partito...

Qual era il modello cui si ispirava il cinema albanese?

Il modello proveniva dai Paesi nelle cui scuole i cineasti si erano preparati. Le scuole in quegli anni erano in Unione Sovietica, Romania, Repubblica Ceca. In una parola, quello che nelle lettere si chiamava lo spirito del realismo socialista era anche nei nostri film. Cioè noi non potevamo fare dei film fatalisti, senza una prospettiva, senza luce, perché si diceva che "abbiamo la luce del partito che illumina tutto e dà luce al mondo intero, e non solo a noi albanesi..."

Quando abbiamo rotto con l'Unione Sovietica è stato elaborato un nuovo modello anche per la cinematografia?

No, ormai lo stampo era già stato creato ed è stato mantenuto quello.

Ma qual è l'elemento che caratterizza il cinema albanese?

La nostra specificità consisteva nel rappresentare i valori degli albanesi come nazione, le cose migliori del carattere albanese.

In che senso?

Ad esempio il fatto di rispettare la parola data, l'ospitalità, il trasmettere ai più giovani i valori degli anziani, l'importanza dei legami familiari, questo tipo di elementi. In generale c'era sempre un personaggio che impersonificava questo spirito, questo carattere positivo albanese, e cercava di trasmetterlo agli altri.

Cos'è accaduto al cinema albanese dopo il 1990?

Dopo il 1990 il cinema albanese ha seguito altri parametri, ormai non sono obbligatori per realizzare un film i cliché di un tempo. Adesso il regista e lo sceneggiatore possono trovare autonomamente il tema che giudicano interessante. Inoltre direi che è molto presente la realtà del dopo 1990, il degrado...

Quali sono i temi prevalenti?

Il cinema di oggi cerca di raccontare le difficoltà della vita del popolo dopo lo sfacelo della dittatura. L'abbandono, l'emigrazione... C'è una crisi di identità, una crisi famigliare, personale, tutte insieme. Il Paese sembra come una nave senza capitano.

La situazione in cui versa oggi il Kinostudio è emblematica di quanto sta attraversando il cinema albanese?

No, semplicemente il Kinostudio non poteva più restare com'era. Il sistema precedente era interessato ad avere il Kinostudio come proprio mezzo, e questo mezzo per funzionare doveva essere nutrito. Oggi non è più possibile nutrirlo, ci sono altre priorità.

Lo Stato lo ha abbandonato perché non fa parte delle sue priorità?

Esattamente.

Qual è la cosa più importante che abbiamo ereditato dal sistema precedente?

L'esperienza, questo è l'elemento più importante che abbiamo ereditato.

E l'infrastruttura?

No, qualsiasi cosa venga prodotta oggi è in cooperazione con gli stranieri. Quello che c'era nel Kinostudio è ormai obsoleto, non corrisponde più alle esigenze attuali.

Per un cineasta era più difficile lavorare prima del 1990 o oggi?

Adesso è più difficile, perché a quei tempi c'era il sostegno totale da parte dello Stato. Tutti erano al tuo servizio, e un film era un evento. Prendiamo ad esempio la realizzazione di un film a Korça, in quel caso tutti i dirigenti del Comitato del partito oppure del Comitato esecutivo municipio di quel tempo, nda erano al tuo servizio, al servizio del film, per procurare a te regista tutti i mezzi e le persone di cui avevi bisogno. Oggi invece devi fare tutto da solo, pagando ogni cosa, non c'è sostegno da parte delle strutture statali. Il rovescio della medaglia è che a quel tempo eri obbligato a restare all'interno dello schema definito dal partito.

Il pubblico di oggi continua ad avere interesse per i vecchi film, come mai?

Il pubblico ha sempre la tendenza a seguire e vedere quello che non ha vissuto. E' la curiosità per un periodo di cui oggi non si parla molto.

Prevale la nostalgia per quel periodo o la qualità di quelle produzioni?

La nostalgia si intreccia con la qualità. Mi piace che quei film si vedano ancora oggi, per esempio gli immigrati prendono con loro quelle cassette per mostrarle ai propri figli. Molte di quelle battute e dialoghi sono ancora presenti nelle nostre discussioni, il fatto che quei personaggi ci inseguano ancora oggi dimostra che quei film hanno il loro valore.