"Senki" (Ombre)

Rapporto con il tempo e con l'industria cinematografica, pomodori e "morti viventi". Milcho Manchevski ha da poco visto uscire nelle sale "Senki" (Ombre), definito dai critici "il suo progetto più ambizioso". Il nostro corrispondente lo ha incontrato durante l'ultimo "Sofia Film Fest"

24/04/2008 -  Francesco Martino Sofia

Nato a Skopje nel 1959, Milcho Manchevski, dopo molti anni trascorsi negli Stati Uniti, dove si è fatto notare soprattutto nella produzione di video-clip musicali, è diventato noto al grande pubblico nel 1994, quando vinse il "Leone d'oro" a Venezia col suo film d'esordio, "Pred dozdot" (Prima della pioggia), seguito nel 2001 da "Prah" (Polvere).
Nell'autunno del 2007 è uscito sul grande schermo il suo terzo lavoro, "Senki" (Ombre) film definito dai critici "il suo progetto più ambizioso", e con Fabio Cianchetti direttore della fotografia. Il film, ambientato nella Macedonia di oggi, parla del rapporto tra la vita e la morte, delle paure dell'uomo di fronte all'ignoto e del difficile e tortuoso percorso che porta alla liberazione dell'anima.
Il nostro corrispondente ha incontrato Manchevski subito dopo la proiezione del film durante la dodicesima edizione del "Sofia Film Fest", tenutosi nella capitale bulgara nella prima metà di marzo.

Con "Senki" sembra tornare a galla un suo particolare legame artistico col tema del tempo, che se in "Pred dezdot" era circolare, nel suo nuovo lavoro è a tratti sospeso e immobile. Qual è il suo personale rapporto col tempo?

Credo che il cinema sia lo strumento migliore per esplorare il tempo. La stessa natura di questa forma di espressione rende possibile trasformare il tempo in spazio, in pellicola, al ritmo di ventiquattro fotogrammi al secondo. Di conseguenza, muovendo avanti e indietro la pellicola si può, in un certo senso, viaggiare nel tempo. Personalmente, attraverso il cinema, ho tentato di riflettere su come la società nel suo complesso abbia elaborato un'idea lineare del tempo, un'idea che si rivela in molte occasioni soltanto illusoria.

Anche in "Senki", come negli altri suoi lungometraggi, appare un pomodoro. Qual è il significato simbolico che contiene, per lei, questo ortaggio semplice e solare?

Milcho Manchevski

Quando lavoravo a "Pred dezdot", ho pensato a quale oggetto potesse simboleggiare la Macedonia e dare insieme il tono complessivo al film. All'inizio ho pensato all'uva, visto che i macedoni si vantano spesso di avere un buon vino. Io, però, non ne sono molto convinto, e alla fine ho scelto il pomodoro, che nella sua rotondità richiamava a perfezione proprio la circolarità del tempo nel film. Da allora, visto il successo ottenuto dalla pellicola, ho deciso, un po' per gioco, di inserire un pomodoro in ogni mia opera. In "Prah"i pomodori sono in mostra in un piccolo negozio. In "Senki" ho fatto un ulteriore passo avanti: i pomodori sono virtuali, e compaiono sullo schermo di un computer. Questo perché tutto il mondo di cui parla il film è, in qualche modo, artificiale.

Tornando al tema del tempo: nel suo film sono presenti il passato ed il presente. Dov'é il futuro?

L'embrione del futuro è presente in quanto succede alla fine della storia, è racchiuso in quanto si percepisce potrà accadere dopo l'ultima scena del film. Il senso di futuro emerge dal processo di liberazione del protagonista, dalla sua capacità di rompere le catene che lo tengono imbrigliato al passato. In senso metaforico è nell'immagine di attraversare un lungo tunnel per poi tornare alla luce.

Lei vive parte della sua vita in America e parte in Europa. Perché, secondo lei, gli americani non hanno problemi a creare film che parlano della modernità, mentre in Europa si tende a cercare storie che affondino le proprie radici nel passato?

Ci sono infiniti modi di guardare alle differenze tra Europa ed America, anche se sono convinto che le persone in fondo siano le stesse in ogni parte del mondo. Le sfumature che rendono l'America particolare, hanno però spesso proprio a che fare con l'assenza di ossessione verso il passato, sia personale che collettivo. Dall'altra parte dell'Atlantico c'è un senso di eccitazione verso il presente, che può essere paragonato all'eccitazione di un teenager nei confronti dell'attimo che vive. Gli americani, più che dal passato, sono ossessionati dal proprio dal presente, e da se stessi. Tutto questo, naturalmente si riflette sulla cultura americana in genere, e quindi anche nella loro cinematografia. Questa vitalità è per me davvero interessante, e non nascondo di esserne affascinato.

L'ossessione verso il passato è un tema che emerge spesso nei Balcani. Secondo lo storico greco Erodoto, nella vita ognuno di noi paga in qualche modo i debiti contratti dai propri progenitori. Un tema molto vicino a quello di "Senki"...

In realtà questo tema è presente in molte culture. Ad esempio è parte del concetto legato alla reincarnazione, o a quello del peccato originale presente nella Bibbia. E' probabilmente un modo attraverso il quale le società hanno tentato di responsabilizzare gli individui rispetto alle proprie azioni in senso più ampio, insegnando loro che le nostre azioni non riguardano solo noi stessi, ma anche i nostri figli e nipoti. In qualche modo io lotto con questo concetto, e non sono davvero sicuro che sia reale, anche perché lo percepisco come ingiusto. La vita però, non sempre è giusta, e quindi probabilmente le cose stanno proprio così.

Nel suo film i morti sembrano personaggi più caldi e presenti rispetto ai vivi. Sono davvero loro le "ombre" a cui fa riferimento il titolo?

Prima di iniziare a girare il film ho mostrato la sceneggiatura ad alcuni amici, tra cui anche un "vladika", un vescovo ortodosso, molto giovane ed esperto di arte moderna. Mi ha fatto notare che ogni personaggio che ruota attorno al protagonista ha un riflesso negli spiriti che aleggiano nel film. Non intenzionalmente, ma forse proprio per questo in modo più vero, durante la lavorazione le anime dei morti sono emerse come personaggi più compassionevoli, consapevoli, umani, mentre i vivi sono egoisti, affamati di potere, di denaro. I vivi diventano "morti viventi", perché non sono mai pronti a donare, ma solo a ricevere.

Pensa di essere percepito come un regista "balcanico"? Se sì, cosa significa questo per lei?

Credo di essere percepito innanzitutto come un outsider, ma in seconda battuta anche come regista "balcanico". Questo non mi piace, perché credo che i registi non si dividano in "balcanici", "francesi" o "americani", ma soltanto in bravi e incompetenti. Io non voglio parlare esclusivamente di una cultura, né di un particolare gruppo di persone. Credo sia un approccio razzista, e lo rifiuto. Mi sforzo affinché i miei film abbiano un linguaggio comprensibile a tutti, al di là delle frontiere politiche e culturali.

Quali sono gli autori che hanno influenzato maggiormente il suo modo di fare cinema?

Più che autori, sono stati singoli film ad esercitare su di me un fascino particolare. Ci ho riflettuto parecchio: più che l'intera filmografia di autori come Milos Forman, Todd Solondz, Martin Scorsese, Nagisa Oshima, Ingmar Bergman, sono solo alcuni film di questi autori che mi hanno davvero colpito. Alla fine ogni film è un oggetto unico, un momento irripetibile una storia a sé.

Nonostante trascorra buona parte della sua vita negli Stati Uniti, i suoi produttori sono sempre europei. Questo è frutto di una scelta, oppure non c'è interesse in America a sostenere le sue idee?

Io rifiuto il sistema in cui produttore, distributore e soldi contano di più del film prodotto artistico e della proprietà intellettuale. Fare film in America significa sottostare proprio a questo sistema. Ecco perché finisco sempre per cercare la collaborazione di produttori europei.

Quanto è difficile trovare le risorse artistiche necessarie a fare un film che vuole parlare un linguaggio universale in un piccolo paese come la Macedonia?

Riuscire a portare a termine un film è sempre un'impresa maledettamente difficile. E' un inferno senza redenzione, ma è il prezzo da pagare per creare quel piccolo oggetto, fatto di tempo e spazio, chiamato film. Le difficoltà sono di certo rese maggiori dal mio rifiuto di scendere a compromessi col sistema che produttori e distributori vogliono importi.