La locandina dello spettacolo

Lo smarrimento dello spettatore nei Balcani senza luogo e senza tempo del regista Luca Camilletti. Nostra recensione dello spettacolo Blues (Balcan) & C, presentato dal Laboratorio Nove presso il Teatro della Limonaia di Sesto Fiorentino

08/01/2008 -  Rando Devole

In un mondo di format, che vengono ciclicamente creati, ritoccati e plagiati, per essere rimpallati da una Tv all'altra, da un palcoscenico all'altro, sta diventando sempre più difficile raccontare in modo originale. La sfida è grande poiché da una parte c'è un pubblico sempre più assuefatto a strutture narrative che sfiorano i cliché, dall'altra ci sono alcuni temi che di per sé costituiscono una sfida artistica per ogni autore.

I Balcani sono uno di quei temi che sono difficili da trattare, perché l'immaginario e le mappature mentali del pubblico sono pieni di luoghi comuni. Il fatto è che i Balcani sono stati presentati all'opinione pubblica principalmente dai media. E "l'incontro" ha avuto luogo in condizioni eccezionali, cioè in occasioni di crisi, guerre e conflitti interetnici. Quindi, intraprendere un racconto sui Balcani significa spesso camminare in un campo minato, con tanti rischi di essere malinteso. Infatti, perfino questa metafora del campo minato potrebbe essere travisata e sembrare fuori luogo, quando si parla di quelle terre.

Il regista Luca Camilletti, che ha curato, inoltre, testi e musiche dello spettacolo "Blues (Balcan) & C" - messo in scena dal "Laboratorio Nove" presso il Teatro della Limonaia di Sesto Fiorentino, ma anche in vari festival italiani di teatro e perfino a Pechino - ha tentato con originalità di sorpassare i tranelli dell'ordine narrativo costituito, per andare verso altre esplorazioni narrative, dove l'evocazione diventa una bussola per lo spettatore, mentre i flash onirici gli illuminano incessantemente la via. Infatti, lo spettatore si deve affidare al suo istinto, al proprio immaginario, alle proprie cartine; ma per farlo deve lasciare alle spalle le certezze scontate della trama sicura, prevedibile, prefabbricata. Tra giochi sapienti di buio e luce, di ombre e chiarori, di dialoghi e gesti, lo spettatore si perde. Inizialmente. Per ritrovarsi dopo, oppure durante.

Nel teatro prende corpo una forte complicità tra regista, attori e spettatore. Il regista, tramite gli attori, i suoni, le musiche, più che aprire la mente agli spettatori, crea le condizioni che ciò avvenga. L'ambiente da sogno che si crea sul palcoscenico, con figure indistinte e spesso ambigue, con musiche ritmiche e talvolta surreali, così come i dialoghi che accompagnano, attornia lo spettatore con un mantello narrativo senza coordinate evidenti, senza posto, senza luogo, in uno spazio-tempo sfuggente. In un habitat di questo tipo, i personaggi sfuggono alla linearità della storia e al rigore della giustizia. Le vittime diventano carnefici e i carnefici vittime. Se non altro per la concezione ciclica delle scene stesse.

Chi cerca in "Blues (Balcan) & C" certezze geografiche e politiche rimarrà deluso. Una scelta sicuramente coraggiosa da parte degli autori, ma nello stesso tempo naturalmente logica. I Balcani sono la regione par excellence del nebuloso, dove storia, politica, arte, si fondono fino a diventare tutt'uno. La storia di secoli viene spesso sintetizzata, in una parola, in un discorso, in un'immagine. La storia di ieri viene vissuta come se fosse attuale, il mito come se fosse verità. Tutto corredato da sentimenti eccessivi, iperbolici, ma realmente percepiti. Dunque, l'irrealtà del passato diventa la realtà di oggi. Una tale concezione della storia e dei miti ha necessariamente bisogno di schemi rudimentali, che non vanno oltre la divisione tra "noi" e "loro", colpevoli e giusti; una divisione intesa da molti punti di vista: politico, geografico, culturale, etnico. Ma poi sono esse stesse, la storia, la memoria, la politica, la geografia, la cultura, che non sopportano la vessazione dei miti e testimoniano il contrario. Poiché le certezze delle divisioni non esistono, esistono le figure indefinite, le penombre, i chiaroscuri, i monologhi dialoganti, le contaminazioni musicali. Nell'arte, come nella storia.

"Blues (Balcan) & C" fa proprio questo. Tenta di sovvertire l'ordine narrativo e le schematizzazioni. In fin dei conti non si vive di sola storia. Lo spettacolo crea smarrimento, confusione, disorientamento, specialmente in chi di luoghi comuni vive da sempre, senza mai chiedersi se sono ragionevoli oppure no. E tanto meno su chi li strumentalizza. I Balcani costituiscono emblematicamente l'essenza dei pregiudizi e delle contraddizioni, nella loro rappresentazione e nel loro vissuto. Lo si vede chiaramente in tante scene dell'opera in questione. Immerse in uno spazio senza tempo. La stessa foto della mano, che illustra lo spettacolo nella locandina, denota un insieme di ingredienti balcanici. Ma se da un lato si intravedono ingenuità, furbizia, kitsch, sfoggio, materialità, illegalità, ignoranza, strafottenza; dall'altro si riconoscono frustrazione, insicurezza, delusione, solitudine, contraddizione. E infine, tanta voglia di essere capito e capire. Quindi, di vivere.

Si avvertono tanti aspetti che evocano i Balcani: la presenza dei bambini, la donna e il suo disagio emancipativo, il rapporto sofferto tra i generi, la dittatura nelle sue sfumature infinite, i contrasti della modernità, ... Ma sono evocazioni, appunto. E come tali possono benissimo riferirsi ad altri mondi. E perché no, i Balcani intesi come un pretesto, come uno strumento per creare un corto circuito dei materiali che hanno costituito il punto di partenza concreto dell'immaginario rielaborato per l'opera, che se ne nutre avidamente. Insomma, un modo intelligente per parlare dell'Italia e dei suoi problemi. Anche la presenza dei bambini, crudi e crudeli come gli adulti che copiano, dolci e saggi come solo loro sanno esserlo, rimanda al mondo contraddittorio degli adulti e alle loro paure.

Infine, sotto la coltre impalpabile di fumo azzurro, che copre le scene da una dissolvenza all'altra, si nascondono tanti elementi biblici, ma anche del mondo classico e postmoderno. Un intreccio di richiami da immaginari diversi. Un vero trionfo dell'evocazione. Di fronte al quale lo spettatore si ritrova spoglio, fragile e potente nello stesso tempo. Con la trama immaginaria tra le mani.