I conflitti nel Caucaso del Nord e le iniziative di pace della società civile italiana: intervista con Massimo Bonfatti, presidente dell'organizzazione di volontariato "Mondo in Cammino"

01/12/2008 -  Maria Elena Murdaca

Lei è stato in Ossezia poco prima della guerra, a fine luglio, e ci è tornato dopo il violento conflitto di quest'estate: cosa è cambiato?

In Ossezia del Nord la situazione mi sembrava più tesa prima del conflitto, almeno a livello di apparato governativo e dei funzionari. Era diffuso un sentimento di appoggio incondizionato ai fratelli sud-osseti e la voglia di intervenire al loro fianco. Al Sud invece la guerra, se da una parte ha eliminato il "nemico interno" (soprattutto l'enclave georgiana a nord di Tskhinvali), dall'altra ha fatto emergere i conflitti in seno alla stessa popolazione sud-osseta, ovvero fra i filo-kokoityani e gli oppositori. Gli oppositori si ritengono i vincitori della guerra, al contrario di Kokoity e dei suoi fedeli fuggiti a Mosca durante il conflitto. Ma sono soprattutto due gli aspetti che mi hanno colpito del popolo osseto: da una parte la voglia di combattere contro un nemico esterno con l'ansia e l'orgoglio di mostrare i vari trofei (il carro armato "conquistato", il soldato georgiano ucciso, la casa dei fuggitivi georgiani incendiata) e dall'altra una paradossale, ma ostentata tranquillità, come nel caso dell'attentato terroristico che ha causato 12 vittime avvenuto nei pressi del mercato di Vladikavkaz lo scorso 6 novembre. Ci siamo recati sul luogo dell'attentato e la gente, in maniera composta e pregando, deponeva garofani rossi sull'asfalto ed accendeva ceri. Niente schizofrenia, né incitamenti alla violenza. Ho riflettuto molto su questa dualità di atteggiamenti e mi sto convincendo sempre più che il dolore ed il destino della popolazione osseta sono fortemente "manovrati" da Mosca, a tal punto che l'identità osseta ha fatto propri gli orientamenti russi creando l'illusione di essere un popolo "autonomo", piuttosto che un popolo "usato", quale effettivamente è. In questa lettura sta il dramma del popolo osseto e sono decifrabili i rapporti con i vicini (a cominciare dagli ingusci e dall'irrisolta questione del Prigorodny). Ritengo che l'attenzione europea nel Nord Caucaso debba essere di più larghe vedute. Il privilegiare l'attenzione sulla Cecenia è comprensibile ed anche doveroso, come è necessario e fondamentale non dimenticarsi dell'Inguscezia, repubblica ormai sconvolta da una guerra intestina e con attentati che si susseguono ogni giorno e che la stanno minando non solo economicamente (è la repubblica più povera di tutta la Federazione Russa), ma anche a livello di calo demografico. Non va però dimenticato che il destino del Caucaso del Nord ha nell'Ossezia Settentrionale il suo punto cruciale di riferimento. Se si riescono ad inserire elementi in controtendenza, sia dal punto di vista politico che di intervento umanitario e di cooperazione, si potrà in parte depotenziare la miccia dei futuri conflitti in tutta l'area, dato che il Prigorodny è per il Caucaso del Nord quello che la Palestina è per il Medio Oriente.

In che cosa è consistita l'ultima missione di Mondo in Cammino nel Caucaso del Nord?

La missione aveva lo scopo di selezionare i candidati per un futuro stage in Italia di 10 mesi nell'ambito del Servizio per il Volontariato Europeo. Ne abbiamo scelti tre: Tamara (osseta), Ljuba (inguscia) e Laura (cecena). La delegazione era formata dal sottoscritto e da Carlo Spera, più un esperto di cultura russa affiancato in qualità di osservatore, ma senza funzioni associative. Siamo stati 10 giorni fra Vladikavkaz, Nazran' e Grozny. La missione, questa volta, è stata incentrata sugli incontri associativi più che su quelli istituzionali. Abbiamo incontrato i rappresentanti delle sedi Memorial di Nazran' e Grozny, l'associazione statunitense World Vision che da anni opera in Inguscezia e presso la quale sta lavorando una socia di Mondo in Cammino, l'associazione Spasem Pokolenie di Grozny con cui, su indicazione di Lidija Jusupova, abbiamo iniziato a collaborare un anno fa. Con questa associazione per il 2009 lanceremo una campagna antimine ("Generazione senza mine") con interventi pratici sui bambini portatori di protesi.

Quasi due anni fa è partito il progetto del giornale interetnico "Tutti figli di Noè". Che tipo di esperienza è stata?

Abbiamo deciso, per il momento, di sospendere il giornale interetnico per l'impossibilità, dovuta alla distanza, di coordinare l'operazione e per l'assenza, in loco, di una metodologia culturale e giornalistica per affrontare le riflessioni inerenti i differenti aspetti etnici e religiosi. L'operazione verrà ripresa, al rientro dallo stage italiano, dalle tre ragazze selezionate.

Adesso avete selezionato tre ragazze di Cecenia, Inguscezia, Ossezia del Nord: quali sono stati i criteri utilizzati per la scelta?

Oltre ad alcuni criteri quali l'età, la condizione familiare e lavorativa, la selezione è stata condotta puntando sulle forti motivazioni nel voler lavorare ed impegnarsi sulle tematiche interetniche ed interreligiose, non solo durante lo stage, ma per un arco di tempo successivo, creando rapporti di reciproca operatività fra tutti e tre i soggetti prescelti. Al loro rientro in patria dovranno infatti gestire i CSVD (Centri Servizio per il Volontariato e il Dialogo) che Mondo in Cammino realizzerà in loco grazie al contributo dell'8 x 1000 della Chiesa Valdese. Tutte le tre ragazze prescelte hanno 22 anni. Tamara è psicologa e sta svolgendo il dottorato in psicologia dei conflitti; Ljuba studia come avvocato ed intende occuparsi di diritti umani (ha svolto pratica presso la sede Memorial di Nazran'); Laura è studentessa universitaria e sta facendo pratica come giornalista indipendente presso Caucasus Times

Su cosa lavoreranno i tre studenti selezionati?

Le tre ragazze svolgeranno volontariato per Mondo in Cammino, contribuendo alla realizzazione dei progetti associativi. Vivranno assieme ad altri tre ragazzi dell'Unione Europea in un alloggio messo appositamente a disposizione e svolgeranno le loro azioni presso i locali del Centro Servizi per il Volontariato (CSV) di Vercelli. Il CSV di Vercelli svolgerà un'importante funzione di coordinamento per tutto il periodo dei 10 mesi. Per le tre candidate è stato previsto, fra l'altro, un corso di lingua italiana, l'approfondimento delle tematiche di conciliazione interetnica ed interreligiosa, con il conseguente apprendimento di una metodica, un mini corso di giornalismo (e qui sta l'aggancio con la ripresa dell'esperienza del giornale interetnico) e la sperimentazione in diretta del valore dell'impegno in regime di volontariato (partecipazione all'accoglienza interetnica). L'arrivo delle ragazze è previsto per il primo febbraio 2009.

Quali sono gli ostacoli più duri incontrati in questo lavoro di riconciliazione?

L'ostacolo più duro è tradurre in operatività il concetto di pace. Le disponibilità, che a livello teorico tutti dimostrano, ed i buoni propositi, si scontrano con i reali retaggi culturali, con gli stereotipi, con il defilarsi delle istituzioni. Per questo è importante lavorare perché siano gli stessi attori locali a portare avanti i progetti e, in ogni caso, fare in modo che il processo culturale legato alla riconciliazione si affianchi ad azioni che incidano concretamente sulla qualità di vita dei beneficiari. Ad esempio con progetti legati alla microeconomia di un villaggio o ad un miglioramento pratico di alcuni aspetti della loro vita o di settori quali la scuola, la casa della cultura, ecc. Al proposito stiamo trattando per la realizzazione di una "Fabbrica della pace" nel villaggio di Tarskoe. Nevralgico è il rapporto con le istituzioni. Il rapporto con esse è difficile, ma è necessario coltivarlo per non essere sconfitti dai cavilli burocratici od essere preda di provvedimenti che possano impedire la continuazione in loco dei progetti attivati.

In Italia si parla di Caucaso solo in occasione di fatti particolarmente sanguinosi come il Nord-Ost, la scuola di Beslan, l'assassinio di Anna Politkovskaja, o adesso la guerra in Ossezia... Eppure sono aree che hanno un loro fascino e molto da offrire...

Il Caucaso è decisamente affascinante: per la cultura, per i paesaggi, per la gradevolezza del clima, per la varietà di piante officinali, per le riserve naturalistiche, per i reperti archeologici (le famose torri), per le danze sfrenate su temi musicali ossessivi e coinvolgenti, per i ritmi pagani che uniscono la gente alla terra, per il senso dell'ospitalità, ecc. Credo che la costruzione di un immaginario di paura rispetto a quei luoghi impedisca agli stranieri di recarvisi, mentre noi vogliamo essere fisicamente presenti per tenere aperti spazi di confronto, di legalità e di prospettiva, e per riportare qui da noi impressioni, immagini e la passione dell'impegno in questo dimenticato angolo di Europa. In questa direzione si colloca il progetto editoriale "Caucaso, frammenti di pace" che, grazie all'amico scrittore e reporter Carlo Spera, vedrà la luce alla fine della primavera del 2009.

Avete in programma la convocazione di una conferenza sui popoli del Caucaso del Nord: quando si terrà?

Vorremmo realizzare fra un anno una conferenza di pace che riguardi tutto il Caucaso (quello del nord e quello del sud, coinvolgendo, se possibile, tutte le 16 unità territoriali). Sappiamo che anche l'Associazione "Rondine" ne sta preparando una per febbraio 2009. Valuteremo, pertanto, se possibile concentrare le forze per collaborare con loro o se i due momenti possano essere distinti ma reciprocamente arricchenti. Molto dipenderà anche dai finanziatori e sponsor che riusciremo ad attrarre. Oltre ad una conferenza, vorremmo realizzare anche una settimana sul Caucaso.