Nonostante fossero elezioni amministrative, per la comunità internazionale le consultazioni di ieri in Kosovo rappresentavano innanzitutto una cartina tornasole sulla tenuta degli accordi di normalizzazione dei rapporti con la Serbia e la possibile integrazione delle municipalità a nord di Mitrovica. Le risposte arrivate sono però negative. Un commento
Erano state annunciate come “evento storico per il Kosovo” e “cartina tornasole” degli accordi sulla normalizzazione dei rapporti firmati lo scorso aprile tra Belgrado e Pristina sotto il patrocinio dell'UE.
In sintesi, però, le risposte principali che gli attori internazionali attendevano dalle elezioni amministrative tenute ieri in Kosovo riguardavano le seguenti domande: riusciranno gli sforzi congiunti del governo serbo e dell'Unione europea a convincere i serbi del Kosovo settentrionale a partecipare alle consultazioni, tenute nella cornice delle istituzioni di Pristina? La prospettiva dell'integrazione europea di Belgrado e Pristina è una carota sufficientemente succulenta per superare l'impasse decennale sul Kosovo del nord?
La risposta arrivata ieri dalle quattro municipalità a nord di Mitrovica è negativa. In un'atmosfera di palpabile tensione, sono stati pochi i serbi del nord a recarsi alle urne, spesso sotto lo sguardo minaccioso di chi si era fatto promotore del boicottaggio. In serata gravi incidenti hanno poi definitivamente macchiato la giornata elettorale, soprattutto quando un gruppo di estremisti ha attaccato a Mitrovica il seggio aperto nella scuola elementare “Sveti Sava”. L'aggressione ha convinto l'OSCE a ritirare i propri osservatori al nord, interrompendo in anticipo il processo elettorale nell'area.
In attesa dei primi risultati parziali, che dovrebbero arrivare in giornata, le elezioni di ieri aprono nuovi punti interrogativi sulla solidità istituzionale del Kosovo, ma anche sulla capacità di Belgrado di indirizzare le scelte della comunità serba, soprattutto quella che vive a nord del fiume Ibar.
Alcune forze politiche hanno già chiesto la ripetizione delle elezioni nel nord. Il risultato deludente e la confusione emersi ieri, segnano però una bocciatura per tutti gli attori impegnati nella ricerca di un nuovo e più stabile equilibrio nell'area.
Il governo di Belgrado, nonostante i propri ripetuti appelli, non è riuscito a convincere i serbi del nord nella bontà del cambio radicale di strategia. Per il Partito progressista di Aleksandar Vučić, si tratta della prima evidente sconfitta politica, nonostante la buona affermazione della “lista serba” sponsorizzata da Belgrado in tutte le municipalità a maggioranza serba del Kosovo centrale e meridionale. Il flop di ieri rischia di ricadere pesantemente sul processo di integrazione europea della Serbia, con la decisione sull'apertura dei negoziati attesa per il prossimo gennaio.
Sconfitta evidente anche per l'Unione europea, che aveva puntato a queste elezioni come punto di svolta, ma che, nonostante i chiari segnali di tensione (primo fra tutti, l'uccisione di un agente della missione EULEX lo scorso settembre) non è stata in grado di indirizzare il processo politico nella direzione voluta, né di limitare le pressioni arrivate dai gruppi estremisti.
Giornata difficile anche per il premier kosovaro Hashim Thaci. Vista la situazione sul campo, le dichiarazioni rese ieri da Thaci, secondo cui “da oggi possiamo affermare di aver ottenuto la piena integrazione del nord [del Kosovo]”, suonano più come una dichiarazione d'intenti che una solida analisi dei risultati.
Come se non bastasse, il suo Partito democratico (PDK) è stato escluso dal ballottaggio a Pristina, e ha perso molte delle municipalità principali, tanto che il leader della Lega democratica (LDK), Isa Mustafa, ha dichiarato ieri che il proprio partito “è tornato ad essere la prima forza politica in Kosovo”.