Il processo di integrazione europea dei Balcani occidentali dopo un 2005 segnato dal trauma del referendum franco-olandese, un autunno di speranza e infine il passaggio del testimone a Vienna. Un contributo dal CEIS, centro studi che raccoglie l'esperienza dell'Associazione BiH 2005. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Di Christophe Solioz*
Nell'assumere la presidenza di turno dell'Unione Europea - per il primo semestre 2006 - l'Austria si trova ad affrontare diverse sfide: i malumori dei cittadini dell'UE per la situazione economica e sociale; l'ulteriore limitazione delle capacità istituzionali dell'Unione dopo l'ultimo allargamento; la crisi costituzionale e la necessità di ridefinire una convincente politica estera comune, non à la carte. Ma dovrà anche dimostrare che il consensus emerso nel 2003 al vertice di Salonicco sulla questione dei 'Balcani occidentali' - confermato dalle conclusioni della Presidenza nel Consiglio Europeo del giugno 2005 - non sono carta straccia.
I pessimisti ritengono che ogni ulteriore integrazione sia ora rimandata, così come in generale il processo di allargamento. Votando contro la carta costituzionale europea nei referendum del 2005, Francesi e Olandesi hanno dato voce ad un 'blues' dell'allargamento e a dubbi sulle prospettive future che molti condividono. Possiamo dunque domandarci se i Paesi dei Balcani occidentali non siano ormai persi, tra la prospettiva di una rafforzata politica di vicinato e la promessa dell'allargamento.
I Paesi del sud est Europa, e in particolare le repubbliche post jugoslave, hanno espresso le proprie aspettative sul mantenimento delle promesse da parte dell'UE, e saranno molto riluttanti ad accettare qualsiasi cosa che non sia lo status di Paesi membri. Siamo nuovamente ad un punto di svolta: osservatori della regione sottolineano che non solo i Paesi dei Balcani ma anche la stessa UE si trova ad un punto di rottura. Come ha affermato recentemente Ivan Krastev: "E' nei Balcani che avrà luogo il vero referendum sul futuro dell'UE". E ancora: "I Balcani dovranno salvare l'UE prima che l'UE abbia salvato i Balcani".
I realisti sottolineeranno che dopo un'estate piuttosto fosca, la fine del 2005 ha portato alla luce un approccio proattivo - basato sul consolidamento, la condizionalità e la comunicazione. In effetti, la comunicazione della Commissione del 9 novembre scorso ha annunciato una strategia di allargamento che rafforza fortemente lo stesso processo di allargamento in quanto "uno dei più potenti strumenti di politica dell'UE". Un "processo di allargamento gestito con attenzione" promette il consolidamento degli impegni dell'UE sull'allargamento. Non si tratta di parole vuote se prendiamo in considerazione i segnali positivi che hanno riguardato la Croazia (3 ottobre), Serbia e Montenegro (10 ottobre), Bosnia Erzegovina (21 ottobre) e Macedonia (9 novembre e 16 dicembre).
Lo stesso documento, tuttavia, sottolinea anche la capacità di assorbimento dell'UE, l'applicazione di una condizionalità rigorosa e di una strategia Paese per Paese. Questo sarà sufficiente per promuovere relazioni di effettivo partenariato tra l'UE e i Paesi dei Balcani occidentali, e per aprire spazi per nuove politiche nei Balcani?
I sostenitori di un'Europa davvero riunificata insisteranno sulla necessità di perseguire l'allargamento rimodellando il processo di integrazione prima nella direzione di una strategia di "costruzione degli Stati membri"; poi con l'introduzione di un accordo multilaterale che porti l'intera regione nell'UE; in terzo luogo introducendo strategie innovative. Il valore aggiunto di un tale approccio è quello di superare gli inconvenienti di modelli basati per lo più su precedenti strategie di allargamento - disegnate e adattate per la penisola iberica o l'Europa centrale - e su di un approccio Paese per Paese che presume una possibile soluzione di questioni in modo isolato e separato dai contesti regionali.
L'alternativa ad un focus posto quasi esclusivamente sul processo di integrazione europeo - che dimentica i Paesi confinanti - è la promozione di un'effettiva cooperazione regionale come valore in sé. Si tratta di un elemento che vale per l'ex Jugoslavia più che per qualsiasi altro caso. Mentre il processo di integrazione europeo rappresenta una prospettiva benvenuta per i Paesi della regione, ci sono ancora resistenze ad elaborare un nuovo necessario concetto regionale - ad esempio come una rete supranazionale che includa in maniera flessibile Paesi dell'Europa centrale, del sud est Europa, dell'area mediterranea e della regione dell'Alpe Adria; in una tale rete, gli Stati nazione continuano ad esistere come nodi di una struttura reticolare dinamica e aperta.
Gli ottimisti devono convincere i pessimisti che ogni futuro allargamento non altererà il ruolo centrale della sovranità statale, e non destabilizzerà l'UE, ma al contrario. Come sconfiggere il nazionalismo tribale, come gestire forti regionalismi, come risolvere i problemi legati all'immigrazione, come integrare una tradizione di Islam europeo, come superare le disparità economiche? La politica tradizionale, definita come l'azione del governo nel garantire gli interessi privati della gente, è fallita miseramente negli anni '30 così come all'inizio delle guerre jugoslave. Solamente l'Unione Europea offre un quadro capace di affrontare le difficoltà e le scelte che ci porta il nuovo secolo. Ma l'UE non rappresenta un processo naïve e monodimensionale di democratizzazione o unificazione. Quelli sono modelli falliti del passato. L'UE ha a che vedere con una visione, una modalità di andare oltre le recenti crisi e di contribuire a ridefinire un "mondo comune" attraverso strategie innovative.
Per i pessimisti: "andare verso est" significa aprire il vaso di Pandora e affrontare calamità e pestilenze, crimini e guerre, il male e la morte... Per gli ottimisti, la questione non è aprire il vaso, ma tenerlo aperto per raggiungere ciò che ancora contiene di buono: la speranza! Quello che oggi manca drammaticamente non può essere risolto con un approccio tecnocratico; è una visione per un continente e una volontà politica di "aprire il futuro" dando speranza ai propri cittadini.
La presidenza austriaca giunge così ad un momento cruciale. L'Austria dovrà affrontare anche la questione del rinnovo della UE, della costruzione di una nuova Europa politica; in altre parole, la necessità di dare all'Europa una nuova visione, che sia centrata sui cittadini. Credo che ci siano tre questioni che vadano prese in considerazione: la prima, quella di ristabilire l'attenzione a livello europeo sul welfare sociale; in secondo luogo, elaborare una politica economica europea pro-attiva; da ultimo, quello di stabilire le priorità per gli investimenti nel futuro, come già suggerito al summit di Lisbona nel 2000: la ricerca, l'educazione, l'innovazione e l'investimento in infrastrutture orientate al futuro devono rappresentare le priorità in un'Europa allargata - che includa i Balcani occidentali.
*Direttore esecutivo del Centro per le Strategie dell'Integrazione Europea (CEIS) / Geneva - Sarajevo - Vienna (www.ceis-eu.org)