Da una parte la soddisfazione per avercela finalmente fatta. Dall'altra la consapevolezza che è ancora presto per poter esprimere liberamente in Serbia il proprio orientamento sessuale. Belgrado all'indomani del Gay Pride
Si è tenuto ieri domenica 10 ottobre il Gay Pride in Serbia. “L'evento che Belgrado ha aspettato per nove anni”, come hanno dichiarato gli organizzatori dal palco nel parco Manjež da cui è partita la marcia. Ma a Belgrado domenica è stata anche una giornata di guerriglia urbana con scontri tra gruppi di hooligans e ultra-nazionalisti, scesi nelle strade per tentare di bloccare la parata LGBT e le forze di polizia massicciamente dispiegate, per proteggerla.
Il bilancio degli scontri è stato di 141 feriti di cui 124 poliziotti e 17 civili, 204 persone fermate di cui 100 arrestate e circa un milione di euro di danni. La città domenica aveva l'aspetto di un campo di battaglia. Secondo quanto detto dal ministro dell'Interno Ivica Dačić si sono visti sul campo 6000 estremisti contro 5.600 poliziotti.
Il primo tentativo di manifestare l'orgoglio gay in Serbia si era tenuto nel 2001 ed era finito con un massacro dei pochi partecipanti ad opera di gruppi organizzati di ultra-nazionalisti e hooligans. Nel 2009 il movimento LGBT ci riprovò, ma le autorità serbe spinsero all'ultimo momento gli organizzatori a cancellarlo perché, a fronte di fortissime minacce da parte di gruppi estremisti, non sarebbe stato possibile garantire l'incolumità dei partecipanti.
Quest'anno il governo serbo, anche grazie ad una forte pressione internazionale, ha deciso di appoggiare direttamente l'organizzazione della parata e ha predisposto delle misure di sicurezza imponenti. La marcia del movimento LGBT, super protetta, si è svolta in maniera tranquilla percorrendo un breve tragitto dal parco Manjež fino allo Studenski Kulturni Centar, ma questo non è bastato a fermare gli oppositori violenti al Gay Pride.
Il giorno precedente intanto si era tenuta una manifestazione convocata dall'associazione religioso-conservatrice Srpski Dveri alla quale avevano partecipato migliaia di persone. In maniera pacifica con famiglie, ma anche giovani ultras che sfilavano al grido di “uccidi i gay”.
Il giorno dopo questi ultimi sono passati all'azione. Gli scontri tra le forze dell'ordine e i “manifestanti” anti-gay sono iniziati nelle vie appena fuori il cordone di sicurezza, in Piazza Slavija dove vi è stato un tentativo di fare un'incursione verso il pride, altri scontri violenti si sono avuti a Terazije e nel Bulevar Kralja Alexandra. La polizia ha risposto respingendo gli aggressori, con unità antisommossa, con l'intervento della polizia a cavallo e con lancio di lacrimogeni. Gli ultras però sono riusciti ad incendiare la sede del Partito democratico (DS), il partito del presidente Boris Tadić e ad attaccare con lanci di pietre la sede del Partito socialista (PSP), l'ex partito di Milošević, oggi al governo con i democratici.
La città ha assistito a scene surreali come quella dell'attacco ad un filobus, la distruzione di negozi, auto, barricate e cassonetti incendiati nelle vie del centro, cestini della spazzatura e arredi stradali divelti.
Il governo ha fortemente condannato le violenze e il presidente Tadić ha affermato che i responsabili saranno consegnati alla giustizia. “La Serbia garantirà il rispetto dei diritti umani per tutti i cittadini, indipendentemente dalle loro differenze e qualsiasi tentativo di negare loro questa libertà con la violenza non sarà permesso”, ha affermato Tadić.
Le notizie degli scontri hanno sovrastato quelle dello svolgimento del Belgrade Pride che, nonostante tutto, è stato considerato dai partecipanti un grande passo in avanti per tutta la Serbia. La marcia con lo striscione “Možemo zajedno” (insieme possiamo) è durata circa venti minuti. In apertura della manifestazione hanno parlato diversi esponenti delle istituzioni europee che hanno celebrato il grosso contributo che l'evento di domenica ha dato al pieno raggiungimento dei diritti umani in Serbia. Circa mille i partecipanti tra cui associazioni di gay e lesbiche da altri paesi ed esponenti politici serbi come Čedomir Jovanović dell'LDP e il ministro per i Diritti umani Svetozar Čiplić.
Palloncini colorati, bandiere e l’impressione di avercela fatta, è l’atmosfera che si respirava al parco domenica mattina, ma anche la consapevolezza che è ancora pericoloso esprimere l’orgoglio gay in Serbia. “È dai tempi dello stato di emergenza per la morte di Zoran Ðinđić che non si vedeva la città in queste condizioni”, dice ad Osservatorio Balcani e Caucaso un partecipante.
Sabato notte le Donne in nero di Belgrado sono state attaccate nella loro sede, una di loro è finita all’ospedale. Domenica si ritrovano insieme a tante altre associazioni. “Io e tutte le compagne delle donne in nero siamo molto orgogliose e commosse di aver potuto organizzare quest’evento, che è molto importante a livello politico” - racconta Staša Zajević presidente dell’Associazione, e prosegue dicendo: “Anche se uno dei motivi dell’appoggio del governo è la necessità di raggiungere standard per l’UE, dobbiamo approfittarne poiché questo Pride crea una discontinuità nella politica di negazione dei diversi in questo Paese, siano essi minoranze sessuali, etniche o semplicemente di chi la pensa in modo diverso”.
Ma ci sono anche, pochi e coraggiosi, cittadini che sono venuti per dare il loro personale appoggio ad un gruppo di persone che viene marginalizzato e che non si può esprimere liberamente. Quando la manifestazione si conclude i partecipanti vengono accompagnati dalla polizia in luoghi sicuri, mentre le scene di guerriglia in città hanno preso il sopravvento su tutti i media nazionali e internazionali.
Alla fine della giornata chiamiamo di nuovo gli organizzatori del primo vero Gay Pride serbo. “Lo stato, se vuole dare un vero segno di discontinuità con la politica degli ultimi anni – dice Staša Zajević – deve fare molte cose, non solo per gli standard europei. Deve fare applicare la legge e proibire le organizzazioni neofasciste che generano violenza e che, come si è visto, devono essere prese molto sul serio. Il governo deve essere più deciso e dimostrare a questi gruppi che non hanno più alcuna protezione”.
“Sono molto contento – dice Lazar Pavlović, del Gay Straight Alliance a Osservatorio – abbiamo avuto il nostro pride dopo quasi dieci anni. È stato bello essere tutti insieme, partecipare all’organizzazione di un evento storico e incontrare tanti amici che hanno fatto oggi il loro coming out. La violenza è inaccettabile e lo Stato deve fare quello che può per proibire i gruppi che la promuovono ma ciò non toglie che oggi è stato il nostro D-day”.