Aveva mediato il loro incontro il Presidente russo Medvedev. Ma i recenti colloqui tra il presidente armeno Sargsyan e il collega azero Aliyev si sono conclusi con un nulla di fatto. Ancora una volta negoziati senza passi avanti concreti, con i due Presidenti che continuano a far poco per preparare i propri Paesi alla pace, ma molto per prepararli alla guerra
Si è risolto con un nulla di fatto l’ultimo incontro tra i presidenti di Armenia e Azerbaijan per risolvere il conflitto per il Nagorno Karabakh. Il summit a tre si è svolto il 24 giugno nella cittadina russa di Kazan dove Sargsyan e Aliyev, con la mediazione del presidente russo Medvedev, erano attesi per la firma di un documento decisivo per il processo di pace. L’incontro si è invece concluso con l’ennesima dichiarazione congiunta dove i due leader dichiarano di aver “raggiunto un’intesa reciproca su vari punti, la cui soluzione contribuirebbe a stabilire le condizioni per l’approvazione dei principi-base”.
Il fallimento di Kazan
Il “fallimento di Kazan” – così come definito dalla stampa armena – arriva dopo settimane di crescenti pressioni da parte dei mediatori internazionali per giungere ad un accordo definitivo sui “principi-base” per la soluzione del conflitto. Il 26 maggio al G8 di Deauville, i leader di Francia, Russia e USA – i tre Paesi a capo del Gruppo di Minsk – avevano rilasciato una dichiarazione congiunta in cui invitavano i presidenti di Armenia e Azerbaijan “a dimostrare la loro volontà politica finalizzando i principi-base nel prossimo incontro a tre”. Tali principi – formulati dal Gruppo di Minsk durante la conferenza OSCE di Madrid nel 2007 e successivamente rielaborati – “offrono una base giusta ed equilibrata per la stesura di un accordo di pace globale. Un ulteriore ritardo nel raggiungere un accordo-quadro – avvertivano – metterebbe solo in dubbio il loro impegno alla pace”. Alla vigilia del vertice, poi, il presidente USA Obama aveva telefonato ad entrambi i capi di Stato per incoraggiarli ad accettare i principi-base. Analogamente, il presidente francese Sarkozy aveva inviato loro un messaggio esortandoli a “scegliere la via della saggezza, del coraggio e della pace”.
Le pressioni diplomatiche di alto livello non hanno però determinato alcuna svolta nel processo di pace per il “conflitto congelato”, confermando invece la distanza tra Yerevan e Baku. Al termine dei colloqui, il ministro degli Esteri armeno Edward Nalbandyan ha accusato Baku del “fiasco”. “A Kazan non c’è stata alcuna svolta perché l’Azerbaijan si è dimostrato incapace di accettare i principi-base, proponendo una dozzina di modifiche inaccettabili”, ha dichiarato al network Armenialiberty il 25 giugno. “Yerevan ha preteso concessioni maggiori da parte di Baku” ha subito replicato il Ministro Mammadyarov all’agenzia azera Trend.
Finché manca la volontà politica, l'ottimismo è fuori luogo
Secondo Sargis Harutyunyan, giornalista di Armenialiberty, tali accuse reciproche dimostrano “l’incapacità delle parti di trovare un accordo… e hanno determinato una battuta d’arresto per i mediatori”. Anche per gli analisti Liz Fuller e Richard Giragosian, in un articolo pubblicato il 28 giugno su Radio Free Europe/Radio Liberty (RFE/RL), “la dichiarazione finale di Kazan non è riuscita a mascherare i limiti dei negoziati mediati dal Gruppo di Minsk. Ora potrebbe essere il momento per l’UE di rivestire un ruolo maggiore sostenendo e integrando la diplomazia del gruppo OSCE”.
Secondo quanto dichiarato da un anonimo funzionario del Cremlino al quotidiano moscovita Kommersant il 27 giugno, lo stesso Medvedev “si sente frustrato dalla mancata firma dell’accordo-quadro tra Sargsyan e Aliyev… e potrebbe interrompere i colloqui a tre”. Anche il Dipartimento di Stato USA ha parlato di “esito deludente”, mentre il Ministero degli Esteri francese ha cercato di rilanciare l’attività svolta dal Gruppo: “Kazan ha confermato vari punti d’intesa… permettendo di proseguire sulla base dei principi proposti dai mediatori”, si legge nel comunicato stampa del 27 giugno. “Non è un risultato insignificante: la Francia, insieme a Russia e Stati Uniti, non interromperà gli sforzi per assicurare il proseguimento dei negoziati”. A conferma delle rassicurazioni francesi, i tre co-presidenti del Gruppo di Minsk hanno subito annunciato “una nuova serie di incontri nelle prossime settimane al fine di proseguire i colloqui”.
Per la Fuller e Giragosian, le aspettative ottimistiche dei mediatori “si dimostrano fuori luogo” poiché “è difficile, se non irrealistico, sperare in qualche progresso quando il conflitto stesso si basa su due punti di vista completamente opposti… a causa della contraddizione intrinseca tra i principi di autodeterminazione e integrità territoriale. Sebbene il mandato del Gruppo di Minsk sia proprio quello di mediare tra questi due principi apparentemente insormontabili – proseguono i due esperti – la vera chiave è la volontà politica e il coraggio di fare concessioni.[…] La mancanza di volontà politica, associata alla diplomazia azera basata su un approccio massimalista del 'tutto o niente', ispira ben poco ottimismo”.
A confermare il giudizio negativo degli esperti, contribuiscono le notizie dal fronte – dove si registrano continue violazioni del regime del cessate il fuoco – e la corsa agli armamenti.
Grande parata militare a Baku
Secondo quanto pubblicato dall’agenzia Reuters , alla parata militare del 26 giugno, Giornata Nazionale delle Forze Armate dell'Azerbaijan, il presidente azero Aliyev ha promesso di “incrementare le spese per gli armamenti e riprendere il controllo dei territori occupati". "Il Nagorno Karabakh è una regione azera sotto un’occupazione che non può durare per sempre. Sono sicuro che la nostra integrità territoriale verrà ristabilita in qualsiasi modo perciò dovremo essere più forti”, ha concluso il leader azero, assicurando investimenti militari per 3,3 miliardi di dollari nel corso dell’anno contro i 2,15 del 2010.
Alle dichiarazioni di Aliyev, ha risposto il viceministro della Difesa, Davit Tonoyan, intervistato da RFE/RL il 28 giugno. “L’attuale campagna militare dell’Azerbaijan lascia l’Armenia impassibile. Quelle dichiarazioni sono perlopiù politiche: il nostro vicino è al corrente anche dei nostri mezzi militari” ha chiosato.
Nell’ultimo periodo Yerevan ha infatti rafforzato i legami militari con Mosca: il 17 giugno la Duma ha ratificato il Nuovo Patto Difensivo con Yerevan “per prolungare la presenza militare russa in Armenia e approfondire i legami difensivi tra i due Paesi”. La disposizione conferma quanto già stabilito nell’accordo siglato nell’agosto 2010 che “impegna Mosca a fornire l’esercito armeno con speciali armamenti” e permette all’Armenia di ricevere armi russe a prezzi scontati o addirittura gratuiti.
Dopo il fallimento di Kazan, gli sforzi diplomatici dovranno dunque evitare la “guerra per errore” anche se, come ha riconosciuto Sabine Freizer dell’International Crisis Group, in un articolo sull’International Herald Tribune del 24 giugno, “una soluzione pacifica dipende solo dai due presidenti: entrambi hanno fatto poco per preparare i rispettivi Paesi alla pace ma molto per prepararli alla guerra”.