In Turchia è iniziata con pesanti condanne la lettura delle sentenze per il processo “Ergenekon”, considerato il più importante nel paese negli ultimi decenni. Il servizio di Francesco Martino per il GR di Radio Capodistria [5 agosto 2013]
Gli occhi della Turchia sono puntati sul complesso penitenziario di Silivri, non lontano da Istanbul, dove in un clima di tensione è iniziata la lettura delle sentenze di prima istanza del processo “Ergenekon”, rete golpista che avrebbe tramato per rovesciare il governo islamico-moderato del premier Recep Tayyip Erdoğan.
Sono 275 gli accusati complessivamente in attesa di giudizio: tra i condannati eccellenti, c'è l'ex capo di stato maggiore dell'esercito İlker Başbuğ, a cui è stato inflitto l'ergastolo e tre parlamentari dell'opposizione che hanno ricevuto pene dai 12 ai 35 anni. 21 invece le assoluzioni pronunciate fino ad ora dalla corte.
Dopo cinque anni di processo, i giudici hanno dato sostanzialmente ragione alle tesi della procura, secondo cui “Ergenekon”, organizzazione segreta ultra-nazionalista composta da ufficiali, politici, accademici, ma anche malavitosi, espressione di quello che viene spesso definito in Turchia lo “stato profondo”, avrebbe cospirato per rovesciare il governo Erdoğan, manipolando i media e organizzando omicidi e attentati per realizzare i propri scopi.
La sentenza rappresenta un evidente successo per l'esecutivo, che in questi anni ha lottato con successo per portare l'esercito sotto il controllo del potere civile, dopo i tre colpi di stato effettuati dai militari dal 1960 al 1980 e il “golpe bianco” del 1997.
Con l'approfondirsi dell'inchiesta, però, sono aumentati anche i malumori e i sospetti nei confronti della procura. Secondo crescenti voci critiche, infatti, il governo avrebbe approfittato del caso “Ergenekon” per colpire non soltanto le strutture golpiste dello “stato profondo”, ma anche settori dell'opposizione politica all'esecutivo, attraverso accuse montate ad arte e indagini poco trasparenti.