A chi sono stati destinati i finanziamenti internazionali nei Balcani nel corso degli ultimi 15 anni? E qual è stato il loro andamento nel tempo da paese a paese? Il terzo articolo sull'aiuto internazionale alla regione
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Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Marzia Bona
Nel periodo successivo all'intervento NATO in Kosovo del 1999 e alla ratifica del Patto di Stabilità per il sud est Europa, gli Stati Uniti hanno ripetutamente criticato lo scarso impegno finanziario dell'Europa verso i Balcani. L'accordo implicito fra i partner Euro-Atlantici prevedeva, riguardo all'intervento in Kosovo, che gli Stati Uniti avrebbero sostenuto il costo militare dell'operazione, mentre l'Europa si sarebbe fatta carico delle spese della ricostruzione.
A metà del 2000 gli Stati Uniti iniziarono a manifestare insofferenza per la reticenza dell'Europa rispetto agli impegni presi. La stampa pubblicò una lettera inviata dal Segretario di Stato americano Madeline Albright al Ministro degli affari esteri europeo nella quale, in tono molto serio, veniva confermato l'impegno finanziario statunitense, condizionandolo tuttavia all'impegno a fare altrettanto da parte europea. "Teniamo in particolar modo a capire più chiaramente l'esatto impegno che l'Europa è pronta a garantire" aveva scritto Albright nella lettera, secondo quanto riportato da The Guardian.
Chris Patten, responsabile per le relazioni estere dell'UE, si dimostrava a sua volta preoccupato per la mancanza di un accordo, temendo che un litigio su questioni finanziarie "avrebbe potuto avvelenare le relazioni Euro-americane".
Secondo le parole di James Lyonsan dell'International Crisis Group, "l'Europa è sempre l'ultima arrivata - non un mese, ma un anno o più in ritardo. Gli Stati Uniti intervengono dall'inizio mentre gli europei rilasciano dichiarazioni e poi impiegano anni a mantenere i loro impegni. Nel momento in cui lo fanno, l'impatto è notevolmente ridimensionato", aggiungeva secondo The Guardian.
Allo stesso tempo, alcuni stati membri dell'Unione ritenevano che i Balcani stessero ricevendo fin troppi aiuti (su fondi europei), rispetto a zone più bisognose. La critica più dacisa da questo punto di vista veniva dalla Gran Bretagna. Ciò che si contestava al riguardo era che l'aiuto europeo destinato ai Balcani fosse dettato più da considerazioni di carattere politico piuttosto che dal livello di povertà ed emergenza umanitaria e che l'Europa stesse riducendo l'assistenza necessaria altrove per consolidare la propria presenza nei Balcani.
Naturalmente, non tutti i paesi dell'area ricevevano la stessa quantità di aiuti: il paese principale destinatario di aiuti è stata la Bosnia Erzegovina, in cui la cifra media ricevuta è stata di 180,34 dollari per abitante nel periodo1990-2005. Questa cifra è circa 9 volte maggiore di quella registrata nel paese meno assistito in termini di aiuto pro-capite, la Romania, in cui la media in 16 anni è stata di 20,90 dollari a persona. E il dato è sorprendente perché la Romania era e rimane uno dei paesi più poveri della regione. Lo scarto si deve in parte alla dimensione della sua popolazione, ma la Romania rimane senza dubbio meno assistita in termini pro-capite anche se comparata a paesi europei più popolosi, come la Polonia, che usufruisce di 46,48 dollari.
La maggior parte degli aiuti esteri, ad ogni modo, si è concentrata in Bosnia Erzegovina e in Serbia. La somma delle cifre ricevute dai due paesi copre il 70% dell'APS (Aiuto Pubblico allo Sviluppo) destinato all'intera regione. La Macedonia, a sua volta una dei principali destinatari di aiuti in termini pro-capite ed in relazione al PIL, conta solo il 9% degli stanziamenti totali, dovuto alle sue dimensioni ridotte.
Tuttavia, anche se la Bosnia Erzegovina e la Serbia condividono il dato di essere i principali beneficiari degli aiuti esteri in termini assoluti, la tipologia di aiuto ricevuto dai due paesi è molto differente, così come la tempistica. Gli aiuti destinati alla Serbia sono iniziati ad arrivare solo a partire dal 2000, dopo la caduta di Milosevic. Prima di allora, il paese era sottoposto ad embargo.
Un'altra differenza da notare fra gli aiuti esteri destinati ai Balcani Occidentali e quelli diretti verso Romania, Bulgaria ed Europa centro-orientale è la quota di APS affidata alla cooperazione multilaterale, in particolare gli stanziamenti di Banca Mondiale e Unione Europea.
Nel caso di Romania e Bulgaria il 97% dell'assistenza proviene dalla Commissione Europea; nei paesi dell'Euorpa centro-orientale, allo stesso modo, la quota di aiuto legata a finanziamenti europei si aggira attorno al 98%. Il quadro è differente per i Balcani, in cui l'aiuto proveniente dall'Unione Europea arriva solo al 62% del totale.
In termini di assistenza bilaterale, i 5 principali donatori contano per il 59% dell'aiuto totale ai Balcani. La Germania fa da capolista, (così come per Romania, Bulgaria e PECO), seguita dagli Stati Uniti.
Anche in questo caso uno sguardo ravvicinato sulla destinazione dell'assistenza bilaterale rivela quelle che possono definirsi "relazioni privilegiate" fra ciascun paese donatore ed i rispettivi paesi destinatari.
Per esempio, la presenza dell'Italia fra i 5 grandi donatori si deve specialmente alla sua relazione privilegiata con l'Albania. Nello specifico, più della metà, ovvero il 51% del totale versato dall'Italia fra il 1990 e il 2005 è stato destinato all'Albania negli anni immediatamente seguenti all'inizio della transizione. Ciò ha costituito il fattore principale nell'incremento di aiuti destinato all'Albania durante il periodo 1991-'93.
Il 44% dell'ammontare di aiuti destinato ai Balcani da parte dell'Inghilterra è stato diretto alla Serbia, in un solo anno - il 2002, dopo l'estradizione di Milosevic al Tribunale dell'Aja. Il caso degli Stati Uniti risulta ancora più evidente: il 63% dell'aiuto economico versato da questo paese è stato destinato alla Serbia in soli due anni - 2001 e 2002. Allo stesso modo, il 61% dei suoi trasferimenti ai paesi del centro-est Europa si sono indirizzati verso la Polonia nel periodo 1990 - 1994.
Queste relazioni privilegiate si differenziano ulteriormente in termini di tipologia dell'aiuto dato. Per esempio, mentre nel caso della Serbia e della Polonia queste sovvenzioni si concretizzano nel ridimensionamento del debito estero, il denaro italiano versato all'Albania è un contributo monetario - vale a dire, denaro contante.
La Francia figura fra i cinque donatori principali di Bulgaria e Romania, mentre il suo sostegno ai paesi della ex-Jugoslavia è decisamente minore.
L'argomento della distribuzione degli aiuti nei Balcani conferma alcune conclusioni già note in letteratura riguardo alle motivazioni dei donatori (questioni legate alla sicurezza; sostegno alla democratizzazione al termine della guerra fredda; sostegno al riavvicinamento tra paesi ex-comunisti ed Unione Europea, ecc.), ma mette anche in evidenza il fatto che i Balcani non sono un soggetto omogeneo in termini di assistenza internazionale ricevuta.
Alcuni paesi hanno ricevuto molto all'inizio della transizione, altri hanno dovuto attendere per molto tempo. Alcuni hanno ricevuto flussi consistenti e continui mentre altri hanno subito repentini picchi e crolli nei finanziamenti. In alcuni casi si è trattato di sostegno in liquidità, in altri della cancellazione dei debiti.
Alcuni, come la Croazia, hanno avuto molto poco. L'ammontare destinato a ciascun paese è stato ulteriormente ridisegnato dalla crisi umanitaria del 1999, anno in cui Macedonia ed Albania hanno rispettivamente accolto 300.000 e 400.000 rifugiati, registrando come conseguenza anche un incremento considerevole nel flusso di aiuti internazionali ricevuti.
Tutto ciò significa che la questione relativa all'efficacia e all'impatto degli aiuti differisce notevolmente da un paese all'altro, nonostante il diffuso "approccio regionale" applicato ai Balcani.